NBA, Mike D’Antoni ha perso i baffi, ma ha guadagnato la serenità
NBAIn un lungo pezzo su ESPN l’allenatore degli Houston Rockets ha raccontato la scommessa persa con la moglie Laurel, vero segreto della sua carriera e della sua serenità
Sin dai tempi di Milano, Mike D’Antoni è stato conosciuto e riconosciuto soprattutto per i suoi baffi, una caratteristica estetica che lo ha reso noto negli ultimi trent’anni. Per questo a inizio stagione ha fatto “rumore” il fatto che il nuovo allenatore degli Houston Rockets si fosse tagliato i baffi, presentandosi col volto pulito alla sua presentazione ufficiale con la franchigia texana. Inizialmente D’Antoni aveva solo detto con il solito humor che “una volta raggiunta una certa età, scopri che senza baffi sembri più giovane”, ma in un lungo pezzo su ESPN ha rivelato il vero motivo per cui si è rasato: una scommessa persa. Più precisamente, una scommessa persa con la moglie Laurel, che dopo 31 anni di matrimonio è ancora la sua principale confidente, terapista, ma anche antagonista, perché i due sono soliti avere numerose discussioni sugli argomenti più disparati. Un giorno i due hanno iniziato a litigare in maniera bonaria sullo spelling di una parola (i due non hanno saputo ricordare nemmeno quale) e D’Antoni era convinto che si scrivesse in un modo, mentre Laurel sapeva che si scriveva in un altro. Talmente sicura da proporre una scommessa: se Mike si fosse sbagliato, avrebbe dovuto tagliarsi i famosi baffi. Mike accettò, ma come ben sapete i suoi baffi non si trovano più dove sono stati per la maggior parte della sua vita, giunta ormai a 65 anni.
Dietro un grande uomo…
La maggior parte del pezzo, più che parlare di D’Antoni, parla del loro rapporto di coppia (schietto, sincero, diretto), di come è iniziata la loro storia (a Milano, dove lei faceva la modella dopo essere cresciuta nello stato di Washington e in Porto Rico) e di come sia riuscita a continuare per così tanto tempo nonostante i tredici trasferimenti in 31 anni di matrimonio. Un matrimonio che non è stato solamente con un uomo ma con la pallacanestro stessa, come testimoniato da una favolosa foto risalente agli anni di Milano con lei in abito da sposa e lui in smoking, pantaloncini e Sergio Tacchini (ovviamente biancorosse). Ancora oggi, dopo tutto questo tempo, Laurel è fondamentale per smussare gli angoli di un carattere particolare come quello di Mike – definito nel pezzo come “l’indiscusso campione dell’auto-svalutazione”, mentre lui dice di sé che è “il Forrest Gump del basket” – e aiutarlo nel diventare un allenatore migliore, rendendolo più paziente, capace di scherzare e di capire il momento in cui è giusto gridare e quando invece evitare di farlo. E per quanto lui sia stato preoccupato “per la mancanza di filtro” di Laurel quando parla, specialmente con la stampa, è stata sua moglie a dire che Mike “è dannatamente intelligente, solo che non lo mostra. Gli piace recitare la parte del campagnolo, del ragazzo semplice dal West Virginia. Ma non dovete credergli”.
Quando finisce la partita
In realtà D’Antoni, dopo tanti anni in panchina e dopo aver cambiato il modo in cui si gioca la pallacanestro in NBA, non ha davvero più nulla da dimostrare – e per questo è un uomo sereno e tranquillo, nonostante la pressione che inevitabilmente deriva dai playoff. Nel pezzo di ESPN ha addirittura confessato di aver letto un libro nel corso della stagione, cosa impensabile solo fino a qualche anno fa, così come la capacità di dormire tranquillamente la notte. Una serenità data dal fatto che tutte le parti fondamentali della franchigia – proprietario, GM, allenatore e stella – sono tutte sintonizzate sulla stessa onda (“Sembra uno scherzo, non può essere reale” il commento di Laurel a riguardo) ma anche per un discorso molto schietto fatto alla squadra a inizio anno. “Non più alcun vincolo, non mi preoccupo più di far incazzare qualcuno, non ho timore per il mio prossimo lavoro” ha dichiarato D’Antoni. “L’ho detto anche ai giocatori: ‘Potete fare le cose in questo modo che vi propongo, oppure potete farlo come volete voi. A me non interessa. Ma nel mio modo funzionerà, mentre il vostro modo non lo farà. Se volete avere una brutta stagione, andate pure avanti”. Dopo la reazione incredula di Laurel a queste parole (“Non l’hai fatto davvero…”), l’allenatore dei Rockets ha continuato: “Certo che l’ho fatto. All’inizio della stagione ho detto loro: ‘Io voglio solo vincere. Abbiamo osservato ore e ore e ore di filmati. Questo sistema funziona. Se avete un’idea migliore, ditecela e la faremo. Ma ve lo dico fin da ora: quello che avete fatto non funziona”. Un messaggio chiaro, recepito e accettato in primis da James Harden (“Capite perché dorme bene la notte?” dice Laurel nel pezzo dopo un canestro decisivo del Barba) e a cascata da tutti gli altri come Eric Gordon e Patrick Beverley, per i quali D’Antoni è diventato quasi come un padre. Perché "Quando finisce la partita, il re ed il pedone finiscono nella stessa scatola" – un motto (definito come italiano) che campeggia nella cucina della casa texana dei D’Antoni. La prima cosa che vedono uscendo e la prima rientrando per una situazione, finalmente, felice. Anche senza baffi.