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Alla scoperta di Malik Monk: il miglior realizzatore del Draft?

NBA

Stefano Salerno

Monk

Un tiratore speciale, già affidabile anche a livello NBA. Una guardia duttile, con alcuni evidenti limiti difensivi, ma con un’esplosività e una capacità realizzativa invidiabile. Prospetto ancora acerbo, ma con tanti punti nelle mani: un giocatore che deve ancora fare molta strada, ma che potrebbe davvero arrivare molto lontano

In una lega sempre più polivalente, alla continua ricerca di giocatori che devono saper fare tutto, l’arte del realizzatore ha perso in parte la sua attrattiva. Difensori in grado di marcare la point guard avversaria e all’occorrenza anche i lunghi, atleti aggressivi per 48 minuti sul parquet e attivi su tutte le linee di passaggio, ma allo stesso tempo realizzatori a tempo perso dalle buone percentuali e passatori discreti. Giocatori tuttofare insomma che mettono inevitabilmente in secondo piano un prospetto che fino a qualche anno fa avrebbe fatto letteralmente saltare tutti sulla sedia: Malik Monk è un realizzatore puro, dal tiro efficace, sicuro nelle scelte (al limite dell’egoismo) ed esplosivo ogni volta che può arrivare fino al ferro. A guardare le clip delle sue giocate alla high school infatti viene il mal di testa a sentire il rumore delle sue inchiodate a canestro, già all’epoca entrato nei radar degli scout collegiali e in cima alle liste dei desideri di tante università. Non meraviglia quindi il fatto che un prospetto del genere sia finito anche nel mirino di coach Calipari e della sua Kentucky, che alla fine è riuscita a mettere le mani su un ragazzo di assoluto livello. Nelle dinamiche di squadra dei Wildcats, Monk è stato soprattutto cavalcato per quello che gli riesce meglio, ossia fare canestro; una scelta che ne ha limitato però in parte la maturazione, non permettendogli di mettere a frutto le discrete doti di passatore (almeno intraviste) e quelle di giocatore che può mettere palla a terra. Tutte possibilità soltanto annusate e mai realmente palesate, tanto che la domanda che in molti si fanno è: saprà rivelarsi più completo rispetto a quanto messo in mostra fino a oggi?

Percorso scolastico e storia personale: da Lepanto alla NBA

Alla storia personale di Monk non manca davvero nulla per diventare un possibile cult anche a livello NBA. Originario di Lepanto (cittadina di 2.000 abitanti in Arkansas), il prospetto di Kentucky è cresciuto in strada come tutti gli abitanti di un paese in cui l’unico incrocio stradale serve più che altro a definire il confine tra le case dei bianchi da quelle dei neri, piuttosto che facilitare il traffico di quelle rare automobili che ne percorrono le vie. Unica concessione in una cittadina con un tasso di povertà doppio rispetto alla media nazionale è il “The Woods”, il campo da basket di fronte la casa del nonno di Malik e su cui lui ha graffiato le gambe per anni, almeno fino a quando sua madre non decise di seguire di cogliere la palla al balzo e mettersi al seguito di Marcus, il fratellastro promessa del football e selezionato dai Chicago Bears al Draft NFL 2008, fermato sul più bello però da un problema alle ginocchia che gli ha concesso soltanto due stagioni di basket professionistico in Germania. “La cosa migliore che gli potesse capitare era quella di andare via da qui il prima possibile”, racconta la madre, mentre l’obiettivo di Monk già a quel tempo era quello di diventare il migliore atleta di Lepanto, provando ad affermarsi più del fratello: “Le mie origini in Arkansas sono un passaggio fondamentale nel mio sviluppo perché quelle esperienze sono state decisive nel formare il giocatore che sono adesso”, ha più volte raccontato Malik, come testimoniato dal tatuaggio che campeggia sul suo petto con la scritta “The Woods”. Nonostante le battute d’arresto non siano mancate nella sua giovane carriera – come ad esempio la dolorosa esclusione dalla selezione statunitense Under 17 -, grazie anche alle impressionanti prestazioni alla LeBron James Skills Academy di qualche anno fa alla fine è arrivata una chiamata così importante al college, in una stagione chiusa con la vittoria del premio “Jerry West Shooting Guard of the Year”, dopo aver fissato il nuovo record di punti per un freshman alla corte di Calipari - 754, superati i 720 di Jamal Murray. Uno dei tantissimi traguardi raggiunti in un'annata da incorniciare a livello realizzativo. Chiunque vada alla ricerca di canestri quindi, sa benissimo dove trovarli.

Punti di forza: fare canestro non sarà mai un problema

Nonostante le sue dimensioni siano nella norma (191 centimetri con un’apertura alare di due metri scarsi), a Monk non difetta la capacità di tirare spesso e volentieri sulla testa dell’avversario, come testimoniato dal fatto che le sue conclusioni rientrano nell’87esimo percentile quando si tratta di realizzare tiri contestati. In generale Malik è un giocatore che crede nei suoi mezzi, in grado all’occorrenza di alternare al suo jumper penetrazioni al ferro che arrivano fino in fondo grazie al suo letale primo passo in partenza a cui pochi difensori riescono a star dietro. Allo stesso tempo però sul pick&roll è impossibile pensare di passare dietro il blocco, pena raccogliere la palla che scende dalla retina, così come quando è lui a uscire in corsa in una frazione di secondo il tiro dopo aver sfruttato il lavoro del proprio lungo lontano dalla palla. Un jumper in sospensione che assieme a quello di Fultz è in lizza per il primo posto tra i migliori di questo Draft, a cui Monk unisce le sue doti letali in campo aperto: il 30% dei suoi punti infatti arrivano da situazioni di questo tipo, in cui alterna le soluzioni con estrema facilità. Un pacchetto ben equipaggiato da realizzatore, a cui potenzialmente Monk potrebbe sommare anche buone doti di passatore, viste soltanto a sprazzi in quel di Kentucky dove, data la rigida disciplina imposta da coach Calipari, la costruzione di gioco non rientrava nelle sue mansioni. In difesa invece, passa spesso in secondo piano la sua abilità in marcatura soprattutto delle point guard avversarie (per questioni di dimensioni, più comode da contenere per lui), in grado di compensare con l’atletismo in recupero quelle che al momento sono delle lacune nella comprensione degli aiuti. Le distanze con quell’esplosività diventano inevitabilmente più brevi, così come le stoppate in recupero vengono fuori con più frequenza del previsto. Tanti aspetti che lo rendono un giocatore da poter sfruttare sin da subito in uscita dalla panchina anche in un contesto NBA.

Punti deboli: c’è ancora tanto lavoro da fare, a partire dall’attacco

I difetti, come è giusto che sia, sono ancora molti: quando la linea di penetrazione è più affollata del previsto ad esempio, la capacità di Monk di portare a casa i due punti è molto relativa, così come quella di conquistarsi tiri liberi; Malik ha infatti più volte messo in evidenza l’incapacità di assorbire al meglio i contatti quando entra in contatto con i lunghi avversari. Un problema che unito alla monodimensionalità delle sue scelte (va quasi sempre a sinistra dal palleggio), rischia di renderlo un tiratore sugli scarichi e poco altro. Specialista in un mondo di tuttofare. I limiti fisici infatti pesano anche quando è impegnato nella propria metà campo, come evidenziato quando si ritrova in marcatura contro le shooting guard o le point guard sovradimensionate che possono portarlo con facilità spalle a canestro e tirargli sulla testa. Lacune in parte compensabili sia con la tecnica difensiva da costruire e soprattutto con l’attenzione che manca in alcune circostanze anche quando si tratta di difendere sul pick&roll - situazione nelle quali si trova spesso e volentieri a inseguire invano dopo il blocco, in ritardo sulla copertura. Un prospetto che dovrà crescere anche nella gestione del pallone, visto che nelle due partite in cui è stato assente De’Aaron Fox, l’essere investito di maggiori responsabilità di playmaker ha portato a ben 11 palle perse a fronte di ben poca costruzione. Metterlo all’interno di un sistema difensivo consolidato potrebbe garantirne la giusta protezione, ma il lavoro che attende Monk dalla prossima settimana sia in palestra che con i trainer sarà davvero molto intenso.

Comparison e fit in NBA: un realizzatore che può far comodo a molti

Al momento la destinazione più probabile potrebbero essere i New York Knicks alla numero otto (sempre che non decidano di scambiare Kristaps Porzingis) che potrebbero così concedergli sin da subito minuti importanti, vista la carenza di guardie nel roster dei blu-arancio. Qualora Phil Jackson decidesse di percorrere altre strade, diventerebbe quindi più difficile immaginare in quale scenario potrebbe ritrovarsi, visto che dai Dallas Mavericks alla nove in giù, chiunque potrebbe voler mettere le mani su un giocatore che nonostante il solo anno di college alle spalle, è molto più pronto a performare su un palcoscenico come quello NBA rispetto a tanti altri colleghi più esperti. Alcuni vedono in lui un futuro simile a quello di Lou Williams o magari di un Devin Booker, ma al momento il suo potrebbe essere un impatto a-là Jamal Murray (quasi tutta gente che come lui ha giocato a Kentucky), che ha già fatto vedere qualche lampo, nonostante a Denver sia stato in parte limitato dalle scelte di coach Malone che gli ha spesso preferito giocatori più esperti. Qualunque sia la sua destinazione, Monk dovrà certamente essere protetto (soprattutto in difesa) e tutelato nel caso molto probabile in cui subisca il contraccolpo fisico di una lega che non lesina scontri e contatti, che non prevede pause e nella quale spesso si è costretti a giocare in apnea. Preservarne la crescita, concedendogli il tempo di sbagliare, potrebbe essere la scelta migliore. Anche perché, una volta spiccato il volo, potrebbe far decollare assieme a lui tutti gli altri.