La point guard dei Boston Celtics ha dovuto sempre combattere nella sua carriera contro i pregiudizi di chi lo riteneva inadatto e non in grado di risultare incisivo su un palcoscenico come quello NBA: "Adesso si sono dovuti ricredere tutti"
Tra due giorni verranno finalmente assegnati i premi per la stagione (un bel po’ in ritardo rispetto alle abitudini), e già da tempo è stato reso noto il terzetto in lizza per quello di MVP della stagione regolare. Russell Westbrook, James Harden e Kawhi Leonard sono stati i protagonisti di prestazioni senza senso, trascinatori e allo stesso tempo finalizzatori unici, difficili da tenere fuori da un ideale podio stagionale. Scelte sacrosante, che tuttavia hanno tenuto fuori campioni di tutto rispetto: non c’è LeBron James, non c’è Kevin Durant, ma la NBA del 2017 è una lega talmente piena di talento, che costringe alle volte a fare delle scelte dolorose. Una di esse è certamente quella di non aver tenuto conto di Isaiah Thomas, MVP romantico secondo molti, andato ben oltre ogni più rosea aspettativa. Quasi 29 punti di media e una tonnellata di giocate decisive nei finali di partita che hanno regalato ai Celtics il primo posto in regular season e una finale di Conference che mancava da un po’ ai bianco-verdi. Il tutto nonostante i 175 centimetri di statura; non una statura inattesa dalla point guard di Boston, come raccontato nell’interessante intervista rilasciata a ESPN: “Nessuno è alto nella mia famiglia. Mio padre era 170 centimetri ed era chiaro fin da subito che non sarei diventato molto più lungo di lui”. Il padre era un body builder, molto attento alla cura del proprio corpo e così il piccolo Isaiah è "cresciuto" trascorrendo buona parte della sua infanzia all'interno di palestre, in mezzo a pesi, attrezzi e soprattutto a persone spesso e volentieri molto più grosse di lui a livello muscolare: “Giocavo spesso a basket con la gente che frequentava quegli ambienti. Durante la mia infanzia il mio idolo era Gary Payton, uno dei re incontrastati del trash talking. Anch’io spesso andavo oltre con le parole quando mi confrontavo con quegli omaccioni, rischiando spesso di prenderle. Ma non mi sono mai tirato indietro”.
“Sono sempre più motivato degli altri. E quella 60^ scelta…”
Il carattere infatti non gli è mai mancato, nonostante restasse l’ossessione e l’ostacolo di una vita intera passata sui campi da basket, costretto a confrontarsi di continuo con la sua stazza ridotta: “Se fossi stato più alto, avrei certamente attirato molte più attenzioni su di me. A causa della mia statura, ogni volta che sono sul parquet la gente che osserva cerca qualcosa che non va nel mio gioco; un problema o un particolare che gli permetta di sottolineare il fatto che non sono abbastanza alto, che non ho i requisiti giusti. Quando sei così basso infatti, tutti continuano a ripetere che hai delle carenze difensive: se un giocatore segna contro un avversario di due metri, si fanno i complimenti all’attacco. Se lo fa contro uno di neanche un metro e ottanta, i commenti sono: ‘è una carenza difensiva: è troppo basso’. Nessuno penserà mai che tu sia un buon difensore”. Considerazioni con cui è complicato fare di continuo i conti: “Se fossi stato un metro e novanta o due metri, sarei certamente il miglior giocatore del mondo. Senza alcun dubbio. E non è qualcosa che penso solo io: tutto il mondo se ne rende conto”. Aver dovuto combattere contro tutto e tutti è sempre stata però la spinta in più per il numero 4 dei Celtics: “Se le persone hanno sempre dei dubbi su di te, questa è una grande motivazione perché devi riuscire a dimostrare di giorno in giorno che stanno sbagliando. Nei primi anni di NBA mi sono caricato sempre pensando di essere stato selezionato soltanto alla 60^ scelta; dal fatto che contro qualsiasi squadra giocassi pensavo: ‘Devo distruggerli in campo; loro sono tra i tanti che non hanno creduto in me e non mi hanno scelto’. È un po’ il riassunto della mia vita: essere considerato fuori dai giochi, scelto per ultimo e riuscire ogni volta a superare tutti gli ostacoli”.
Nel segno di Bruce Lee
La mediocrità infatti, non gli avrebbe mai permesso di raggiungere una doppia convocazione all’All-Star Game negli ultimi due anni, né tantomeno la possibilità di entrare nella storia della franchigia più titolata della NBA: “Quando sei così piccolo, devi per forza di cose essere speciale in ogni cosa che fai: per me non è una novità, ma per tutto il resto del mondo sì”. E tra i tanti esempi seguiti, Thomas cita Bruce Lee come un personaggio che ha segnato il suo approccio: “Era il migliore in ciò che faceva, mentalmente era sempre concentrato più di tutti gli altri e soprattutto alla fine era imbattibile per chiunque. La sua forza era quella di ridurre al minimo gli errori, grazie alla capacità di adattarsi a qualsiasi situazione: ‘Devi essere senza forma, devi essere come l’acqua’, ripeteva spesso. È la stessa cosa che provo a fare io quando scendo in campo”. Per questo la point guard rifiuta ogni tipo di classificazione: “Non amo le definizione, essere catalogato come un determinato tipo di giocatore. Mi fa piacere che la gente stia iniziando a capire che io sono soltanto me stesso, che con me non esiste un’etichetta che permetta di raccontarmi in maniera completa”. Soltanto una delle battaglie vinte con successo da Thomas, capace di far ricredere anche i più scettici: “Adesso rido di quei commenti – chiosa con il ghigno soddisfatto di chi ce l’ha fatta -; gli ho fatto rimangiare tutte quelle parole. E tutte le persone non credevano a me, adesso sono costrette a farlo”.