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NBA, come giocheranno i Clippers con Danilo Gallinari?

NBA

Stefano Salerno

Gallo

Con la partenza di Chris Paul e J.J. Redick, la squadra di coach Doc Rivers cambia fisionomia dopo oltre un lustro; in questo nuovo contesto dovrà inserirsi anche Danilo Gallinari, chiamato a modificare alcuni aspetti del suo gioco per dimostrare di poter essere un realizzatore efficace anche in maglia Clippers

Dopo sette anni trascorsi a Denver, Danilo Gallinari ha deciso di cambiare aria e di fare le valigie destinazione Los Angeles, convinto non soltanto dalle prospettive di vita offerte da una città del genere, ma anche dai tanti milioni di dollari che i Clippers hanno deciso di investire su di lui. A livello economico infatti, il numero 8 azzurro è riuscito a massimizzare la possibilità di guadagno in una sessione di mercato che si è rivelata meno dispendiosa di quella della scorsa estate e in generale molto più oculata rispetto alle cifre folli che si erano inseguite una dopo l’altra lo scorso luglio. Gallinari ha aspettato il suo turno, come è normale che sia in un mercato in cui il movimento dei giocatori è collegato da un effetto domino che influenza una dopo l’altra tutte le scelte fatte dalle franchigie. Filtrata la notizia che i Denver Nuggets avevano deciso di puntare su Paul Millsap, era ormai chiaro che i giorni dell’azzurro in Colorado fossero giunti al termine. Per quello aspettare un’eventuale controfferta di Boston in caso fallito assalto a Gordon Hayward si sarebbe rivelato troppo rischioso: a 29 anni, con diversi infortuni sia alla schiena che ai legamenti del ginocchio che ne hanno in parte limitato l’utilizzo (oltre a fargli saltare un’intera stagione nel 2013/2014), 65 milioni in tre anni sono un’offerta impossibile da rifiutare. Anche se i Clippers hanno perso dei pezzi importanti per strada, anche se a Ovest diventa sempre più difficile farsi largo in ottica playoff e nonostante un fit tutto da inventare in un roster che lo costringerà spesso a giocare da ala piccola lontano dal ferro. Stimoli per l’azzurro chiamato a una difficile sfida dal prossimo autunno.

Il tiro da tre punti, la vera chiave di volta

Il primo grande punto interrogativo che alcuni hanno posto appena circolata la notizia della firma, riguarda la tenuta e le garanzie fisiche di Danilo, che nelle ultime stagioni ha dato delle buone risposte in tal proposito, giocando 116 gare negli ultimi due anni (oltre il 70% di quelle disputate dai Nuggets), limitato soltanto in parte da un problema all’inguine durante la regular season appena trascorsa. Non solo tanti minuti, ma soprattutto una ritrovata vena realizzativa dalla lunga distanza che peserà nel suo inserimento all’interno del nuovo assetto dei Clippers: il 38.9% con i piedi oltre l’arco infatti, è la miglior percentuale realizzativa raccolta in carriera dalla lunga distanza dal numero 8 in NBA, eccezion fatta per il 44.8% della sua annata da rookie (su un numero però risibile di tiri rispetto a quelli tentati negli ultimi mesi). In una squadra rimasta orfana di J.J. Redick (42.9%), Chris Paul (41.1%) e Jamal Crawford (36%), le sue capacità di realizzatore da tre punti diventano dunque vitali per spaziare un attacco già fin troppo affollato nei pressi del ferro dalla presenza di DeAndre Jordan e Blake Griffin. Il numero 32, fresco di rinnovo al massimo salariale, aveva provato già la scorsa regular season a dare una svolta al suo gioco, mandando a bersaglio ben 38 triple (più della somma di quante ne avesse realizzate nei cinque anni precedenti messi assieme); un’opzione ancora molto lontana dal diventare affidabile e che obbligherà Gallinari a restare molto più a lungo del solito sul perimetro, al contrario di quella che poteva essere la sua naturale tendenza ad avvicinarsi al canestro con il passare degli anni, sfruttando così i centimetri a disposizione. Da cavalcare invece ci saranno le eccellenti doti di passatore di Griffin, che dopo la partenza di Chris Paul è finalmente libero di poter dare sfogo alle sue sempre troppo sottovalutate qualità di assistman. L’intesa con Nikola Jokic la scorsa regular season era stata uno dei motivi che avevano portato i Nuggets a essere il miglior attacco dopo la promozione del centro serbo in quintetto (113.3 di rating offensivo dal 15 dicembre in poi, meglio anche degli Warriors). Immaginare risultati del genere anche sull’asse Gallinari-Griffin è una delle speranze dei Clippers.

Un realizzatore efficace (e spesso sottovalutato)

Doc Rivers in questi anni ha sempre ribadito la sua volontà di tenere in campo contemporaneamente tutti i migliori giocatori a disposizione; scelta più volte criticata e che ha impoverito l’impatto in uscita dalla panchina in questi anni dei suoi Clippers. Una coerenza e un’ossessione nel seguire sempre lo stesso maniacale piano partita: i primi possessi del match disegnati per Redick, Griffin che solitamente parte forte nel primo tempo, con Chris Paul che nella prima metà di gara coinvolge i compagni e poi (se serve) si mette a lavoro come realizzatore. Tutte consuetudini che verranno meno in una gerarchia che dovrà essere riscritta e che non potrà di certo prescindere dallo sfruttare il punto forte del gioco di Gallinari: la capacità di lucrare falli e di andare con frequenza in lunetta. L’azzurro ha costruito una parte importante del suo attacco a gioco fermo, nell’élite NBA sia per numero di tiri liberi conquistati che per percentuale di realizzazione. Il Gallo in realtà ha chiuso la stagione dimostrando un’efficacia spesso sottovalutata: il numero 8 è stato meglio di quattro quinti della lega in diverse situazioni offensiva; dal pick&roll (sia come palleggiatore che come rollante) al post up, dal gioco sui tagli a quello in uscita dai blocchi. Un giocatore completo che all’occorrenza fa meglio di tre giocatori su quattro anche in isolamento, a dimostrazione di come possa far variare le soluzioni cavalcate. Giocare più spesso da ala piccola infatti lo costringere a rivedere buona parte delle scelte nella metà campo offensiva, ma quello è un aspetto che preoccupa poco il coaching staff dei Clippers: un modo per mettere a proprio agio un realizzatore così versatile si riesce sempre a trovarlo.

Una difesa tutta da inventare

In difesa invece i losangelini sono tutti da inventare ed è lì che Gallinari potrebbe pagare lo scotto maggiore del passaggio da quattro a tre, visto che si ritroverà a fronteggiare avversari più veloci e dinamici, che con il passare degli anni potrebbero diventare sempre più difficili da limitare. La presenza di un lungo come DeAndre Jordan dovrebbe garantirgli una copertura maggiore nel pitturato e fare un minimo da paracadute, a differenza della disastrosa esperienza della passata edizione dei Nuggets, in un contesto in cui diventa difficile valutare l’apporto difensivo del singolo visto il disastroso risultato di squadra raccolto. I dati di NBA.com danno conferma di quanto già raccontato, sottolineando come le percentuali di chi si ritrova a fronteggiare Gallinari in attacco peggiorino nei pressi del ferro, dove si rivela un difensore migliore di quanto non riesca a essere lungo il perimetro. In generale però gli avversari tirano percentualmente meglio quando vengono marcati dal numero 8 e questo è un dato che potrebbe peggiorare in un contesto che prevede la sua presenza in campo assieme a Griffin e Jordan, soprattutto considerando la tendenza NBA a giocare con quintetti via via più piccoli. Questioni che potrebbero costringere in caso di emergenza a rendere alternativo l’impiego di Gallinari rispetto agli altri due lunghi, in maniera tale da fargli giocare il maggior numero di minuti possibile da quattro tattico (complesso al momento immaginarlo addirittura da cinque); una scelta fortemente in controtendenza con i dogmi di coach Rivers, che cercherà in tutti i modi di riuscire a tenere in campo il più a lungo possibile i migliori realizzatori a disposizione (ci sarebbe anche Lou Williams, ma lì veramente salta ogni velleità difensiva). Scenari tutti in divenire, parte di un grande cantiere che garantisce una sola certezza: non vediamo l’ora che ricominci la stagione per capire se Gallinari riuscirà a essere all’altezza di una sfida così intrigante.