NBA, doppio colpo Miami: torna James Johnson, arriva Kelly Olynyk
NBALa squadra di Pat Riley completa la sua estate riconfermando anche James Johnson con un quadriennale da 60 milioni. Dai free agent arriva anche Kelly Olynyk: 50 milioni in 4 anni
Dopo aver fallito il Piano A per arrivare a Gordon Hayward, i Miami Heat non hanno perso tempo nell’attivare il Piano B – anche se con un piccolo accorgimento. La squadra di Pat Riley, dopo aver confermato Dion Waiters, ha rifirmato anche l’altro grande obiettivo della sua estate, vale a dire James Johnson. Per l’ala 30enne è stato “rotto il salvadanaio” con un contratto da 60 milioni di dollari in quattro anni (ultimo anno in team option), mentre nella stessa serata è stato annunciato anche l’accordo con Kelly Olynyk per 50 milioni in quattro anni. Il lungo canadese era stato lasciato libero dai Boston Celtics proprio per fare spazio al contratto al massimo salariale di Gordon Hayward e a Miami avrà anche la possibilità di partire titolare al fianco di Hassan Whiteside nel ruolo di lungo che apre il campo ricoperto nella scorsa stagione da Luke Babbit (anche lui in attesa della decisione degli Heat dopo essere diventato free agent). Sistemate le situazioni di Waiters, Johnson e Olynyk, ora a Pat Riley rimane solo da decidere cosa fare di Wayne Ellington, i cui sei milioni non garantiti per la prossima stagione possono essere tagliati entro la giornata di venerdì. La decisione su Josh McRoberts, invece, è già stata presa: il suo contratto da 6 milioni per il prossimo è stato spedito a Dallas (insieme a una seconda scelta “per il disturbo”) in cambio del centro A.J. Hammons, che può essere tagliato per spalmare i due rimanenti anni di contratto per 2.9 milioni nelle prossime cinque stagioni, in modo da creare lo spazio salariale necessario per firmare tutti i contratti con cui si sono accordati in queste ultime frenetiche ore di mercato.
L’esempio dell’evoluzione di James Johnson
I 60 milioni che James Johnson riceverà nei prossimi quattro anni sono cifre che non aveva mai visto in carriera: basti pensare che il totale delle sue sei stagioni passate tra Chicago, Toronto (due volte) e Sacramento prima di arrivare a Miami era di poco meno di 13 milioni, mentre ora – dopo l’annuale da 4 milioni firmato un anno fa — ne guadagnerà 15 nelle prossime quattro stagioni, con l'ultima stagione in opzione a favore della squadra. La giusta ricompensa per essersi reinventato in modo completamente diverso, in palestra prima ancora che in campo: Johnson è stato a lungo considerato un giocatore indolente e “a rischio” fuori dal parquet, ma nell’ultima stagione si è impegnato tantissimo per ricostruire il suo corpo diventando uno speciman fisico, passando da 124 chili di peso con il 14.5% di massa grassa agli attuali 106 chili con il 6.5%. Per certi versi, Johnson è il testimonial perfetto per il lavoro fatto dallo staff di Miami: Johnson può diventare l’esempio di come un giocatore possa ricostruire il proprio fisico e la propria carriera a Miami scommettendo su se stesso per poi essere ricompensato per l’ottima produzione in campo – cosa che senza alcun dubbio Johnson ha fatto nella scorsa stagione in cui ha saltato solo sei partite. Le sue medie da 12.8 punti, 5 rimbalzi e 3.6 assist in 27 minuti sono ovviamente tutti dei massimi in carriera, così come le 87 triple segnate col 34% dall’arco pareggiano quasi l’intera produzione della sua carriera (97 triple in sette stagioni). Johnson si è però imposto soprattutto come playmaker aggiunto, gestendo in prima persona i contropiedi dopo i rimbalzi o attaccando sugli scarichi, e come difensore d’eccellenza, tenendo gli avversari al 40.3% al tiro (quarto nella lega dietro solo a Patrick Patterson, Jrue Holiday e il Difensore dell’Anno Draymond Green) e secondo nella difesa in isolamento. La sua versatilità sui due lati del campo è ben rappresentata dal suo impatto sulle prestazioni degli Heat: con lui sul parquet la squadra di Erik Spoelstra ha avuto un rating su 100 possessi di +2.6 su base stagionale (+7.5 nella clamorosa seconda metà di stagione da 30-11), mentre è l’unico di tutto il roster con Net Rating negativo quando non è stato in campo (-0.8). Nonostante questa ottima produzione, quello di Pat Riley rimane un azzardo: avendo già scollinato i 30 anni e senza il pungolo di giocare per il miglior contratto della carriera, è improbabile che Johnson mantenga gli elevatissimi standard della scorsa stagione. Eppure Riley è convinto che ci sia ancora del potenziale inesplorato in Johnson ed è convinto di andare ad esplorarlo fino alla fine per quelli che, tutto sommato, è un contratto standard per un titolare NBA: “Johnson ci ha dimostrato di poter essere molto più di quello che la gente pensava” ha dichiarato a fine stagione. “Parlando con lui a fine anno gli ho detto: ‘C’è un livello superiore di efficienza che puoi raggiungere. Se ti mettono il pallone in mano nei finali di partita e vogliono che sia il giocatore che la chiude, significa che hai dentro di te un livello superiore’”. Ora sta a Johnson dimostrare che la leggenda degli Heat ha visto giusto.
La versatilità di Olynyk
L’arrivo di Kelly Olynyk dà a Erik Spoelstra una discreta versatilità con cui potersi divertire: il lungo ex Celtics rappresenta un buon fit sia aprendo il campo ad Hassan Whiteside grazie al suo 37% da tre punti, sia nel caso uscendo dalla panchina e giocando nel ruolo di 5, quello più adatto per sfruttarne a pieno le sue particolari qualità. Whiteside può aiutarlo dal punto di vista difensivo grazie all’ottima intimidazione in area (anche se dover affrontare continuamente i giocatori “persi” da Olynyk i suoi falli potrebbero salire) e soprattutto nel controllo dei rimbalzi difensivi, forse il punto più debole del canadese. Insieme a Johnson, Whiteside e il rookie Bam Adebayo, però, Spoelstra ha a disposizione un pacchetto di lunghi completo e versatile, sempre tenendo buona la possibilità di schierare Justise Winslow da lungo se la situazione lo richiede. Olynyk è certamente un miglioramento notevole rispetto a Babbit, completa bene le doti con la palla in mano di Goran Dragic (che nella sua annata migliore in NBA fece benissimo con Channing Frye a Phoenix) e il contratto da 12.5 milioni a stagione è in linea con quello di una riserva di lusso o quello di un titolare tattico, che magari non può essere affidabile per 30 o più minuti ma che può fare la differenza in strutturazioni particolari. Quelle per le quali Spoelstra si è meritato il secondo posto per il premio di Allenatore dell’Anno e quelle che un roster ora quasi completo (restano tre posti, due dei quali possono essere occupati dai ritorni al minimo salariale di Udonis Haslem e Luke Babbit) possono offrirgli: dopo la delusione dei mancati playoff dello scorso anno, gli Heat si candidano per un posto tra le prime otto nella Eastern Conference.