New York va ancora in altalena – tre sconfitte per iniziare il campionato, ora tre vittorie in fila – ma una costante nella stagione dei Knicks già c’è: l’incredibile rendimento di Kristaps Porzingis. Che qualcuno già vuole candidato MVP
Occorre tornare a cavallo tra novembre e dicembre scorsi per trovare l’ultima volta che i New York Knicks hanno assaggiato il brivido di tre vittorie consecutive. Quest’anno – dopo aver iniziato la stagione con tre ko in fila – ecco il filotto inaspettato, con le vittorie contro Brooklyn, a Cleveland e contro Denver. Abbastanza per attirare l’attenzione sulla Grande Mela, e ovviamente sul suo protagonista indiscusso: Kristaps Porzingis. Il lèttone non è certo l’unico responsabile della striscia positiva dei Knicks – Enes Kanter ad esempio è ai suoi massimi di carriera per percentuale reale al tiro e percentuale a rimbalzo – ma di sicuro è il giocatore che si sta guadagnando attenzioni e complimenti da tutta la lega. Non potrebbe essere altrimenti viste le 5 partite con almeno 30 punti all’attivo (compreso il suo massimo in carriera a quota 38 contro Denver) nelle 6 finora disputate, un’impresa riuscitagli soltanto tre volte in tutta la scorsa stagione e mai nel suo anno da rookie. Di più, nessuno giocatore nella storia dei Knicks era riuscito a toccare quota 30 in cinque delle prime sei stagionali, un traguardo raggiunto solo da due giocatori negli ultimi 25 anni (DeMar DeRozan l’anno scorso e Giannis Antetokounmpo quest’anno). Una crescita in qualche modo attesa – o quanto meno auspicata – da Jeff Hornacek e dalla dirigenza blu-arancio, visto la dipartita di Carmelo Anthony e la conseguente possibilità per il n°6 dei Knicks di subentrare a pieno titolo nel ruolo di prima opzione offensiva e leader di squadra. A dire il vero, però, i dati collezionati nelle ultime due stagioni non potevano portare automaticamente a una conclusione del genere: nei 1.500 minuti giocati da Porzingis senza Carmelo Anthony al suo fianco, le cifre del lèttone restavano praticamente identiche a quando aveva condiviso il parquet con l’ex n°7 blu-arancio. Stesso usage rate e stessa percentuale reale al tiro, a dimostrazione da un lato che anche con un ingombrante compagno al suo fianco Porzingis il suo ha sempre saputo produrlo, ma dall’altro anche che, senza Anthony al suo fianco, non era stato in grado di prendersi completamente il palcoscenico. Obiettivo invece pienamente raggiunto in questo inizio di campionato.
Parlano i dati
Un dato più di tutti evidenzia come i Knicks siano diventati a tutti gli effetti la squadra di Kristaps Porzingis: il suo 35.8% di usage rate è oggi il dato più alto di tutta la lega (alle sue spalle Joel Embiid, con il 35%) e che in attacco i giochi di coach Hornacek vadano spesso a cercare il n°6 è facilmente riscontrabile in un altro interessante dato. Parametrato sui 100 possessi, infatti, oggi Porzingis si prende 33.1 tiri a partita, dieci in più rispetto allo scorso anno (erano 22.8), e il volume delle sue conclusioni regge il paragone soltanto con i 34 tiri a sera (sempre su 100 possessi) tentati da Russell Westbrook nella storica stagione appena passata. Per un giocatore conosciuto principalmente per il suo attacco (“ma in difesa sta migliorando moltissimo”, assicura Kanter) ottima notizia anche la crescita costante nella sua percentuale reale al tiro: dal 51.8% del suo primo anno nella lega al 54.6% della scorsa stagione, migliorata ancora fino al 57% in queste prime gare. “Oggi sono più forte fisicamente – spiega Porzingis, che in estate, dopo gli Europei, ha trovato il modo di allenarsi a 360° gradi, correndo, facendo pesi e salendo anche su un ring di boxe – e questo mi aiuta a mantenere il mio equilibrio in ogni situazione, anche quando i miei tiri sono contestati e c’è molto contatto da parte del difensore. Mi sento più a mio agio in post [6.8 punti a sera per lui, solo Embiid e LaMarcus Aldridge gli sono davanti, ndr] ma sicuramente mi aiuta anche avere sempre più esperienza”.
Cifre da MVP
L’unico passo falso della stagione del lèttone finora è quello della gara di Boston, chiusa da Porzingis con 12 punti e solo 3/14 al tiro. Dopo quella sconfitta, sull’aereo che li riportava in città, il veterano Jarrett Jack si è avvicinato alla sua superstar (impegnato a giocare a Monopoli con Willy Hernangomez) e ha attirato la sua attenzione con una promessa importante: quella che da lì in avanti avrebbe sempre ricevuto il pallone nelle zone di campo preferite. Detto, fatto: nei 28 minuti condivisi sul parquet da Jack e Porzingis nelle ultime tre vittorie, sono stati ben 12 gli assist distribuiti dall’esperta point guard al n°6 blu-arancio, mantenendo così la promessa nel migliore dei modi. Non è l’unico compagno ad essersi accorto del potenziale infinito di un lungo di 2.20 capace spesso di muoversi come un piccolo: “A volte in campo fa certe cose che a noi in panchina non sembrano neppure vere: ha davvero fatto una giocata del genere?”, il commento di Enes Kanter. Uno che ha giocato con Russell Westbrook (MVP NBA in carica) e con Kevin Durant (MVP nel 2014) e che oggi ha pochi dubbi: “Credo che KP si meriti di entrare nella conversazione per il titolo di miglior giocatore della lega”. Al Madison Square Garden i tifosi hanno già iniziato a far sentire i cori “MVP! MVP!” nei confronti del loro nuovo leader ma Porzingis per il momento fa finta di non averci fatto caso: “Se li ho sentiti? No”, afferma. Per poi sorridere, sornione, consapevole di un inizio di stagione che lo vede terzo marcatore NBA (29.2 di media, dietro ad Antetokounmpo e Cousins).
Gli elogi dei compagni, gli insegnamenti di Kobe Bryant
Dopo averlo affrontato con i suoi Pistons alla seconda gara stagionale (travolti da 33 punti con il 55% al tiro e il 43% dall’arco) Stan Van Gundy non ha avuto dubbi a dichiarare: “Sarà un incubo per tanti anni a venire, in questa lega”, mentre il suo di allenatore – Jeff Hornacek – ha scelto di usare una sola parola, tanto semplice quanto evocativa: “È pura dinamite”, dice il coach di New York. “La metà delle volte che va a concludere sono convinto subisca fallo, perché i difensori avversari gli entrano spesso nel cilindro, ma lui segna ugualmente. Vuol dire concentrazione, vuol dire forza fisica”. “È 2.20, sa trattare il pallone, corre il campo come un’ala. A volte non trovo neppure le parole per descrivere quanto è forte”, l’opinione di Tim Hardaway Jr.. “E sta ancora imparando – aggiunge Courtney Lee – sta ancora migliorando. Noi dobbiamo fare in modo di togliergli il più possibile pressione dalla spalle: non è giusto aspettarsi che segni 30 punti ogni sera, ma finché accade, ben venga…”. Lui giura di non pensare neppure al bottino personale, sera dopo sera: “Mi interessa solo il punteggio della partita, se vinciamo o se perdiamo. Recentemente ho visto un’intervista a Kobe Bryant in cui raccontava di come, la famosa sera dei suoi 81 punti contro i Raptors, il suo atteggiamento fosse quello di non fermarsi mai, di continuare a giocare, incurante del fatto che avesse già raggiunto 50 o 60 punti. Ecco, questo è anche il mio atteggiamento: quando sono in campo voglio solo essere aggressivo. Per controllare le statistiche c’è tempo quando la partita è finita”. E spesso i numeri sono lì a dargli ragione.