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NBA, il grande mistero dei Detroit Pistons: che fine ha fatto Boban Marjanovic?

NBA

Stefano Salerno

Lo abbiamo lasciato dominante e decisivo sul parquet di Istanbul durante l’europeo giocato con la Serbia, prima di scomparire nuovamente in fondo alla panchina dei Pistons. Perché il giocatore più alto della NBA non trova spazio sul parquet?

Essere il più alto di tutti non vuol dire avere la certezza di partire in quintetto, anche in un gioco come il basket in cui “si tende al cielo” a differenza di tutti gli altri, come sottolineava spesso Bill Russell. In NBA poi il discorso diventa ancora più complesso, visto che le componenti d’eccellenza di cui tenere conto si moltiplicano e la stazza diventa spesso un prerequisito a cui aggiungere tante altre skills. Per carità, chiariamo: essere letteralmente il più alto di tutti è un vantaggio, e anche bello grosso, ma spesso non basta, soprattutto nel basket del 2017. Uno di quelli che ne sta pagando il prezzo in termini di minuti e utilizzo ad esempio è Boban Marjanovic, il centro dei Detroit Pistons inghiottito dalle rotazioni di coach Van Gundy e quasi mai rigurgitato in campo. Lo scorso anno la dirigenza del Michigan ha puntato forte sul lungo serbo, proponendogli un triennale da 21 milioni impossibile da rifiutare. Marjanovic in realtà pensò anche di passare la mano pur di restare alla corte di Gregg Popovich, ma l’allenatore degli Spurs fu categorico nell’indicargli la strada da prendere: “Porta il tuo c*** fuori da qui”, fu il consiglio paterno di un coach che aveva saputo massimizzare l’impatto di un giocatore che fisiologicamente non può pensare di restare sul parquet per 40 minuti ogni sera. I suoi piedi infatti sono meno lenti di quanto i 221 centimetri lascino immaginare, ma la fatica nel portarsi in giro quel corpaccione unito al movimento che richiede l’impiego in una difesa NBA, hanno in breve tempo reso marginale il suo utilizzo. E di conseguenza il suo impatto. Lo scorso anno, nella corsa al ruolo di comprimario dietro il titolare Drummond, Aron Baynes ha sempre avuto vita facile nel lasciarselo a sua volta alle spalle, concedendogli soltanto le briciole: sono state 35 le presenze nella regular season 2016-17, con il miglior momento arrivato a fine stagione, quando Detroit aveva ormai abbandonato ogni velleità di raggiungere i playoff. Coach Van Gundy voleva lanciare un messaggio chiaro ai suoi ragazzi e così, nelle ultime quattro partite, il centro serbo ha giocato 22 minuti di media (a fronte dei nove stagionali), viaggiando a 15.8 punti e 11.3 rimbalzi di media e tirando con il 59% dal campo. Queste estate la partenza di Baynes direzione Boston ha poi lasciato uno spazio vuoto e Marjanovic sembrava essere diventato il candidato ideale per occuparlo.

Le parole in estate di Van Gundy e l’europeo con la Serbia

Chi ha seguito con attenzione gli Europei dello scorso settembre è però portato lecitamente a chiedersi: perché Marjanovic non trova un minimo di spazio? La risposta sembrava essere arrivata qualche settimana prima della competizione continentale, data dallo stesso Van Gundy che non aveva escluso l’intenzione di lavorare per puntare al suo inserimento nella rotazione. “Numero uno: deve imparare ad affrontare i suoi problemi e non accertarli in maniera passiva. Numero due: dobbiamo studiare alcune particolari situazioni per utilizzare i cambi in difesa, i raddoppi, gli aiuti piuttosto che ricorrere sempre alla sostituzione preventiva. E poi certo, lo possono attaccare utilizzando un pick&pop, portandolo in generale lontano dal ferro, ma non bisogna sottovalutare il fatto che poi anche gli altri dovranno accoppiarsi con lui nell’altra metà campo. E la scorsa stagione ha già dimostrato quanto sia complesso per chiunque”. Notizie positive per lui, a cui l’ottimo impatto nella corsa conclusa con l’argento europeo dalla Serbia non ha fatto altro che aggiungere consapevolezza: “Non sappiamo come reagisce all’utilizzo prolungato, all’usura e soprattutto all’impegno quotidiano sul parquet – raccontava il coach dei Pistons ad agosto -. L’unica cosa certa è che dispone di una combinazione unica di qualità fisiche e di capacità tecniche. Una base non da poco”. Le prestazioni dominanti da protagonista durante le quali ha mietuto diverse vittime lo scorso settembre (Italia inclusa) apparivano come il trampolino di lancio perfetto alla sua consacrazione NBA: 12.4 punti e 5 rimbalzi di media in 16 minuti di utilizzo, in cui Marjanovic diventava la prima opzione offensiva degli slavi e lo spauracchio difensivo con cui proteggere il ferro. “In Europa però non c’è la regola dei tre secondi difensivi” si dirà; vero, ma anche essendo costretti a mettere un piede fuori dal pitturato ogni tre secondi, la sua stazza e la sua capacità d'intimidazione rimangono tutt’altro che secondarie.

2017-18, tutto come prima: solo 4 minuti in campo

In questa regular season però i buoni propositi sono stati nuovamente accantonati. Tutto come prima: del “mostro a due teste” rappresentato da Jon Leuer e Marjanovic (che non doveva far rimpiangere l'assenza di Drummond mentre riposa in panchina) resta ben poco, con il primo tra i meno positivi in questo super avvio dei Pistons, che fatica ad allargare il campo e deve ancora mandare a bersaglio la prima tripla stagionale. Per il centro serbo invece soltanto quattro minuti di utilizzo totali, tutti arrivati nella sfida vinta contro i Knicks. Tre tiri, un canestro e poi soltanto tanta panchina e DNP per scelta di Van Gundy, scavalcato nelle gerarchie anche da Eric Moreland, messosi definitivamente in evidenza nei 17 minuti d’impatto giocati nel successo contro Milwaukee. Per lui quasi nove minuti di media in cui fare canestro sembra essere davvero l’ultima delle cose a cui pensare, per un giocatore che del suo triennale da 5.5 milioni di dollari molto teorici ne aveva soltanto 500mila garantiti al momento della firma. Essere arrivato al training camp gli ha permesso poi di salire a 750mila; ogni allenamento era decisivo per convincere lo staff a tenerlo in squadra. Giungere all’opening night facendo parte del roster per lui ha significato toccare quota 1 milione di dollari e adesso i Pistons avranno tempo fino al 10 gennaio per confermargli definitivamente il contratto, raddoppiandone quasi l'ingaggio. “Non ho mai pensato alle scadenze del mio contratto - racconta-, non so neanche quali siano. Preferisco così, altrimenti difficilmente dormirei la notte nei giorni precedenti. L’unica cosa che può avere un senso per me adesso è continuare a lavorare allo sfinimento”. Un osso duro e un concorrente in più lungo la strada che separa Marjanovic dal conquistare minuti sul parquet. A questo poi si aggiunge il fatto che Detroit ha cominciato nel migliore dei modi la regular season, seconda della Eastern Conference con un record di 7-3 e godendosi un Andre Drummond convincente a cronometro fermo e rigenerato in questo inizio. Tutto insomma lascia intendere che i Pistons possono tranquillamente fare a meno dei 221 centimetri del centro serbo. Toccherà a lui far capire che, nonostante tutto, essere il più alto di tutti può ancora avere un peso nel basket.