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NBA, tutto sul caso Rose: le parole di LeBron, Wade e coach Lue, il ruolo di adidas, il possibile addio

NBA

L’allenatore di Cleveland appare il più ottimista, e lo aspetta a braccia aperte, ma le parole di LeBron James, Dwyane Wade e Channing Frye non escludono un clamoroso addio del loro compagno. Che avrebbe ripercussioni importanti anche nell’accordo commerciale col suo sponsor tecnico

Il giorno dopo la notizia anticipata dal solito Adrian Wojnarowski di ESPN, il giallo attorno al nome di Derrick Rose a Cleveland non fa che ingigantirsi. La point guard dei Cavs, arrivata in squadra in estate firmando un minimo contrattuale e attualmente ai box per l’ennesimo infortunio (alla caviglia), ha informato la società di voler prendersi un periodo di riflessione lontano dalla squadra, uno scenario che non esclude clamorosi sviluppi. La parola ritiro, infatti – non ancora pronunciata da nessuno – il giorno dopo la breaking news rimane l’elefante nella stanza, perché non si esclude che quella disputata contro i Bucks lo scorso 7 novembre possa addirittura essere l’ultima gara della sua carriera. Non ci sono certezze, sia chiaro, ma i commenti e le parole dei suoi compagni di squadra all’indomani della notizia non sembrano certo escludere uno scenario del genere. “Penso di poter capire quello che sta provando, ci sono passato anch’io, quasi quattro anni fa”, ha detto Dwyane Wade, un figlio di Chicago proprio come il prodotto delle strade di Englewood. “Sono sicuro che più di un giocatore anche tra di noi abbia contemplato uno scenario simile, soprattutto quando hai delle aspettative di un certo tipo verso di te e poi succedono cose che non ti permettono di esprimerti come vuoi e come sai di poter fare. Oggi sono felice di non aver ceduto a quell’idea, perché ora sono tornato a divertirmi in campo, ma la frustrazione a volte finisce per cancellare il nostro amore per il gioco, che è il vero motivo per cui tutti noi scendiamo in campo, prima ancora dei soldi. È qualcosa di più importante della pallacanestro stessa, ha a che vedere con la tua salute, su come ti senti. E diventa duro affrontare tutto questo”. Il commento dell’ex giocatore di Miami e Chicago sembra voler ritornare sulle parole pronunciate da Rose già nel 2014, quando l’allora leader (infortunato) dei Bulls si era detto preoccupato del suo stato di salute sul lungo periodo, più ancora che nell’immediato, respingendo così le pressioni di tifosi e ambiente che lo volevano presto in campo dopo il terribile infortunio subito ai playoff 2012. “Penso a quando avrò finito con la pallacanestro – disse al tempo – se sarò in grado di camminare, godermi la vita, senza essere un rottame quando dovrò presenziare alla cerimonia di diploma di mio figlio. Voglio gestire questo rientro con intelligenza”, aveva dichiarato. Parole che avevano attirato l’ira soprattutto dei tifosi, ma non quella di Dwyane Wade, che già al tempo lo aveva difeso: “Avevo capito quello che voleva dire. Alla fine il basket è solo una piccola parte delle nostre vite e se tutto va bene non dovrebbe definirci”. 

LeBron James dalla parte di Rose, citando Theodore Roosevelt

Sulla stessa lunghezza d’onda anche il leader dello spogliatoio dei Cavs, LeBron James: “Qualsiasi cosa voglia decidere, noi vogliamo solo il meglio per lui. Non c’è niente che possa sostituire la felicità di una persona. Ci auguriamo davvero che questa non sia la fine di tutto – le parole del n°23, che per la prima volta pronuncia ad alta voce lo scenario da tutti tenuto sottotraccia – ma se dovesse esserlo sono felice di aver trascorso questi mesi con lui e averlo visto giocare ai suoi vecchi livelli. Più di questo, però, come individuo, come uomo, come padre voglio soltanto che Derrick sia felice, qualsiasi sia la sua decisione”. Dove invece James la pensa diversamente dal suo grande amico Wade è sulla capacità di chiunque non sia Derrick Rose di capire realmente quello che il n°1 dei Cavs sta provando: “Se so come si sente? No, non posso saperlo. Nessuno può, è impossibile, non posso sapere quello che sta attraversando”. E per ribadire la sua posizione torna a utilizzare le parole a lui tanto care pronunciate da Theodore Roosevelt in un famoso discorso pronunciato a Parigi nel 1910 e conosciuto come L’uomo all’interno dell’arena: “Non vanno ascoltati i critici, non va dato merito a coloro che fanno notare le cadute degli uomini forti e le loro mancanze. Il merito va sempre riconosciuto all’uomo che è all’interno dell’arena, il cui viso è sporco di polvere, sudore e sangue”. Stampata e in bella vista già sul suo armadietto a Miami negli anni dei titoli con gli Heat, James ha sempre sentito molto sue queste parole e il messaggio gli è sembrato adatto anche al particolare momento del suo compagno di squadra. 

Tyronn Lue aspetta il rientro della sua point guard

Se anche le parole di un altro compagno di Rose, Channing Frye, arrivano a dimostrare la compattezza dello spogliatoio a sostegno del più giovane MVP della storia NBA (“Derrick non ci deve nulla. Per questo gioco ha sacrificato la sua vita e il suo corpo, ho solo il massimo rispetto verso di lui. Se vuole tornare siamo tutti felici, se decide altrimenti gli auguriamo davvero il meglio”), una nota di ottimismo la vuole portare coach Tyronn Lue: “Mi aspetto che torni nel gruppo, lo vogliamo con noi”, dice l’allenatore di Cleveland. “Non ho nessuna tempistica al riguardo, voglio che si prenda il tempo di cui ha bisogno e voglio che alla fine faccia ciò che realmente desidera, ma sappia che la squadra, gli allenatori e l’organizzazione sono tutti dalla sua parte”. 

Il capitolo sponsorizzazioni

Dalla sua parte anche lo sponsor storico del giocatore, adidas, che dopo averlo firmato da matricola (per 4 anni, poco sopra il milione di dollari a stagione) era riuscito a rinnovare quel primo accordo già a febbraio 2012, sfruttando la finestra che gli permetteva di giocare d’anticipo sulle concorrenti (libere di parlare con l’atleta solo da luglio in poi). Di fronte all’offerta di adidas – un contratto di 13 anni per 185 milioni di dollari per quello che al tempo era l’MVP NBA in carica – il sì di Rose è arrivato immediato ma solo due mesi dopo l’infortunio contro Philadelphia apre il calvario destinato a rovinare per sempre la carriera del giocatore di Chicago, cambiando totalmente anche la valutazione dell’accordo. Che oggi, di fronte a un possibile addio di Rose, torna di grandissima attualità: dopo che le vendite delle Rose nel solo 2012 avevano portato in cassa 40 milioni di dollari (più di quanto ricavato dalle scarpe di Kevin Durant, ad esempio, dietro solo a quelle di Kobe Bryant), con il giocatore in campo solo in 237 delle ultime 412 gare possibili di stagione regolare anche il ritorno commerciale legato al suo nome è diminuito fortemente, e gli 80 milioni di dollari ancora da versare per i  prossimi sette anni appaiono oggi come un autentico macigno. Fonti vicine a giocatore e azienda confermano l’impegno di adidas, che una clausola all'interno dell'accordo vincola a produrre – per ogni stagione in cui Derrick Rose è, formalmente, un giocatore NBA – un modello di scarpe a suo nome (già otto fino a oggi) ma anticipa anche l’esistenza di ulteriori clausole che permetterebbero al colosso tedesco di non versare la rimanente parte del contratto se la point guard di Cleveland dovesse effettivamente scegliere di non tornare più sul parquet. Un risvolto interessante che va ad aggiungersi a quello che ormai è diventato un vero e proprio giallo, che troverà la sua soluzione solo quando lo stesso Rose accetterà di gettare luce su quanto gli sta succedendo. Nella speranza che nel suo mondo torni presto il sereno e che il suo n°1 si possa nuovamente ammirare in campo al fianco di LeBron James e Dwyane Wade.