Il numero 0 dei Thunder, convinto di essere stato scelto per ultimo da James e Curry nel formare le squadre dell’All-Star Game, sfoga la sua "rabbia" segnando 46 punti contro Washington. Agli Wizards non bastano i 41 di Bradley Beal. De’Aaron Fox realizza il canestro del successo contro Miami a tre secondi dalla sirena, Denver in controllo contro i Knicks
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Oklahoma City Thunder-Washington Wizards 121-112
Con un Carmelo Anthony da 4/11 al tiro, accompagnato dal modesto 6/19 di Paul George, l’unico modo per OKC di portare a casa il successo era quello di affidarsi a Russell Westbrook. Il numero 0 non si è certo fatto pregare, arrabbiato perché convinto di essere stato scelto per ultimo dai due capitani dell’All-Star Game (soltanto a fine partita ha scoperto che quello comunicato era l’ordine alfabetico) in una sfida chiusa con 46 punti (19/29 al tiro), il suo massimo in stagione. Tutti canestri decisivi nel regalare la sesta vittoria consecutiva ai Thunder: “Ho semplicemente letto il gioco e so che nel momento in cui serve che io prenda in mano le cose non posso tirarmi indietro”. John Wall e Bradley Beal hanno così imparato a fare i conti con lui, futuro compagno di squadra all’All-Star Game dopo le scelte fatte da James e Curry. La point guard numero 2 degli Wizards ha messo a referto 21 punti e 12 assist, molti dei quali utili ad armare la mano del compagno di backcourt. Beal infatti è incontenibile in una serata da 41 punti, 6/11 dall’arco, 12 rimbalzi, sette assist e due recuperi. Tutto inutile però, visto che a pesare sul groppone degli Wizards ci sono ben 23 palle perse, che hanno reso impossibile agli ospiti avvicinarsi più di tanto nel punteggio ai Thunder. “Ogni tanto abbiamo bisogno di lui nelle vesti di leader e trascinatore come oggi – sottolinea Raymond Felton tornando a parlare di Westbrook -; qualche sera può segnarne 46, altre volte fermarsi a 20 punti. Non è importante il conto alla fine, ma l’aggressività che non deve mai mancare”. Per Anthony invece resta sempre un privilegio potersi prendere una serata di pausa (non una rarità in questa regular season) adesso che gioca in una squadra vincente: “È una di quelle partite che mi ricordano che ho un bel gruppo di compagni al mio fianco. Per me è un onore giocare con loro, non essere costretto ogni volta a dover fare gli straordinari. Prendo quello che la squadra e il mio stato di forma mi concedono. È molto bello godersi un’esperienza del genere, soprattutto adesso che abbiamo iniziato a vincere”. Chi a Oklahoma City ha raccolto tante vittorie è coach Brooks, ritornato per la seconda volta alla Chesapeake Energy Arena da avversario: “Perché ho ricevuto la standing ovation più lunga di tutti gli altri che sono tornati? Forse perché sono l’unico che non voleva andare via”. A buon intenditor poche parole.
Miami Heat-Sacramento Kings 88-89
Essersi dimenticati De’Aaron Fox a rimbalzo potrebbe essere un errore che costerà caro a Miami nella corsa ai playoff. Con tre secondi alla sirena e un misero punto di vantaggio in casa contro un avversario più che abbordabile, gli Heat si fanno beffare dalla schiacciata del rookie dei Kings; la giocata che permette a Sacramento di rimontare 12 punti di margine nel solo quarto periodo (a chiudere un parziale da 17-4 negli ultimi sei minuti scarsi) e regala ai californiani il secondo successo in fila. “Sono saltato provando a spaccare il tabellone e ho dimostrato qual è il mio livello di atletismo”, racconta soddisfatto Fox, autore di 14 punti e quattro assist, a cui si aggiungono i 24 in uscita dalla panchina di Buddy Hield. Questa è soltanto la quarta vittoria nella storia dei Kings a Miami (su 30 gare), la prima raccolta dal 2001 a oggi. “Non una gran partita a livello estetico, ma noi abbiamo giocato molto duro – commenta coach Joerger -. È stata un’ottima vittoria, conquistata su un parquet dove di solito i Kings non hanno molta fortuna…”. Dall’altra parte invece Goran Dragic chiude con 23 punti; l’unico componente del quintetto titolare in doppia cifra. Ai suoi si aggiungono i 20 di Wayne Ellington (con 6/13 dall’arco) e poco altro. “L’azione finale di Fox è l’emblema della nostra pessima serata: un avversario salta per andarsi a prendere la palla e tutti noi restiamo a guardarlo come fossimo spettatori – chiosa amareggiato coach Spoelstra -. Non è di certo questo l’atteggiamento con cui si vincono le partite in NBA”.
Denver Nuggets-New York Knicks 130-118
Quest’anno per i Knicks è già molto complesso vincere lontano dal Madison Square Garden. Farlo nel bel mezzo del giro di trasferte più lungo degli ultimi 30 anni per i newyorchesi, su un campo difficile come quello di Denver sarebbe stata un’impresa. Che come spesso accade nella vita di tutti i giorni, non è arrivata. I Nuggets infatti hanno vita facile nel tenere a bada i blu-arancio, travolti dal fuoco incrociato dei vari Gary Harris (23 punti), Trey Lyles (21), Jamal Murray (18) e Nikola Jokic (18). Alla fine sono ben sette i giocatori di Denver a chiudere in doppia cifra, in una partita in cui i padroni di casa tirano con il 60% dal campo e il 50% dalla lunga distanza di squadra. Troppi canestri per i Knicks, incapaci così di rientrare dopo aver incassato ben 39 punti nel solo primo quarto. Kristaps Porzingis, tornato a disposizione dopo l’assenza contro gli Warriors, è il miglior realizzatore dei suoi con 21 punti (uscito per sei falli nel quarto periodo), al pari del solito Michael Beasley. New York subisce così la settima sconfitta nelle ultime nove gare, mentre Denver consolida il suo ottavo posto a Ovest, allontanando un po’ di più i Clippers e il mancato accesso ai playoff.