Il 6 febbraio 1988 andò in scena a Chicago la gara delle schiacciate più bella della storia dell'All-Star Game NBA. A vincerla fu Michael Jordan grazie alla schiacciata diventata negli ultimi tre decenni il marchio sportivo più famoso e ricco del mondo
Esistono alcuni momenti nello sport che si fissano nella memoria degli appassionati, che diventano icona e porto sicuro nel quale ritornare almeno una volta ogni 365 giorni. E ogni 6 febbraio da 30 anni a questa parte è inevitabile riandare con la mente alla gara delle schiacciate più celebre della storia NBA; il testa a testa tra Michael Jordan e Dominique Wilkins vinto dal numero 23 dei Bulls grazie a una giocata entrata di diritto nella leggenda. “Le aspettative a Chicago erano qualcosa di indescrivibile”, racconta Wilkins, ritrovatosi a giocare in trasferta contro il beniamino di casa. Una gara fatta di schiacciate letteralmente mai viste prima. Ripercorrerla a distanza è ancora emozionante nonostante il tempo trascorso. Il primo è Wilkins che poggia la palla al tabellone prima di volare a inchiodarla al ferro. Pubblico in delirio e cinque 10 raccolti senza grossa sorpresa. Risponde Jordan che prende il volo dopo una rincorsa laterale e dando le spalle al canestro chiude la bimane con irrisoria facilità. Il boato degli oltre 18.000 presenti coinvolge anche i giudici, che sventolano cinque cartelli con su scritto 10. Alla fine del primo turno è 50-50. Wilkins a quel punto alza ancora di più l’asticella: prende la linea di fondo e sale ben oltre i tre metri e mezzo, chiudendo con una forza che scatena l’euforia del pubblico. Arriva un altro 50 a incoronare tre schiacciate che entrerebbero già di diritto nella storia NBA, se non fosse che la migliore deve ancora arrivare. Jordan infatti risponde partendo dall’altro lato del campo, ma con la sua inchiodata non convince i giudici, i cui voti raggiungono soltanto 47. Il pubblico di Chicago non ci sta e inizia a fischiare la scelta. Wilkins con un 48 è aritmeticamente il vincitore, a prescindere dalla replica di Jordan nell’ultimo round. La sua windmill a due mani è un gioiello, ma i voti non vanno oltre il 46. “Sono rimasto molto sorpreso. Sarei stato il primo a dargli un 49 o un 50 per quella giocata”, commenterà Jordan anni dopo, consapevole di quanto in fondo sia pesato anche il suo status.
Il volo dalla linea del tiro libero: una giocata diventata un’icona
A quel punto resta l’ultimo tentativo alla leggenda dei Bulls (all’epoca un 25enne talentuoso e carismatico). L’idea di cosa fare era ben chiara in testa, ma prima dell’esecuzione Jordan aveva chiesto consiglio a Julius Erving, seduto a bordocampo: “Mi sono guardato intorno e ho visto che seduto in prima fila c’era l’uomo che quella schiacciata l’aveva inventata, Dottor J. Mi ha detto di andare dall’altra parte del campo, prendere la rincorsa lungo tutti i 28 metri di parquet e staccare alla linea del tiro libero. E io ho eseguito”. Detta così sembra facile, ma a differenza del suo predecessore Jordan aggiunge un particolare: inizia a palleggiare. Erving era riuscito a prendere il volo tenendo in mano il pallone come un’arancia e preoccupandosi solo di librarsi in aria. Il numero 23 invece si coordina come se stesse spingendo il contropiede, interrompe il palleggio a 15 metri dal ferro, allunga la falcata e una volta giunto sulla linea del tiro libero stacca i piedi da terra. Le gambe si allargano, il braccio si allunga verso il ferro e l’istantanea di quella giocata diventa da subito qualcosa di speciale. La schiacciata è perfetta, il pubblico esplode di gioia e il 50 incorona Jordan come re delle schiacciate. “Quando ti ritrovi a battagliare a casa del tuo avversario, non puoi far finta che non sia più difficile del previsto – racconta Wilkins -. La sua è stata una grandissima schiacciata, lo devo ammettere. Se avessi dovuto scegliere da chi farmi battere, non avrei potuto chiedere di meglio”. In fondo, entrare nella storia dalla parte sbagliata non è mai stato così piacevole.