Utah vince in volata anche contro San Antonio e non arresta la sua corsa: 25 punti di Mitchell e Spurs al quarto ko delle ultime cinque. Anthony Davis chiude con 38 punti e 10 rimbalzi e guida al successo New Orleans a Detroit. Zach LaVine ruba e schiaccia il pallone che decide la sfida in favore dei Bulls contro i Magic. Gli Warriors passeggiano contro i Suns
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Utah Jazz-San Antonio Spurs 101-99
A nove minuti e mezzo dal termine Bryn Forbes segna un jumper dalla media che vale il +13 Spurs. Nelle precedenti 778 volte in cui la squadra allenata da Popovich si è ritrovata in questa situazione di punteggio e con quel margine nel quarto periodo, i texani hanno portato a casa il successo in ben 775 casi, battuti soltanto tre volte. Donovan Mitchell e compagni però aggiornano in negativo questo record, piazzando un parziale da 21-6 per chiudere la sfida e prendendosi di forza il decimo successo in fila. Farlo contro una difesa organizzata come quella degli Spurs poi è una soddisfazione ancora superiore. A guidare l’attacco dei padroni di casa è Donovan Mitchell, che batte un po’ in testa, sbaglia tanto (si prende 11 tiri negli ultimi dieci minuti, ad esempio), ma chiude con 25 punti, 9/28 dal campo, sette rimbalzi e cinque assist. All’interno della striscia di dieci successi raccolta da Utah, Mitchell è sempre stato il miglior realizzatore della sua squadra: è la prima volta che un rookie ci riesce durante un filotto di vittorie del genere negli ultimi 60 anni. L’ultimo a riuscirci al suo primo anno nella lega fu un tale Wilt Chamberlain, non roba da poco. Dall'altra parte invece gli Spurs confermano tutte le difficoltà già note di un attacco che sempre più spesso batte in testa, soprattutto quando non c'è LaMarcus Aldridge (fuori per un problema al ginocchio destro). La regular season degli Spurs è palesemente in fase calante (quattro sconfitte nelle ultime cinque), nonostante Pau Gasol provi a tirarla su con i suoi 15 punti e 15 rimbalzi, a cui si aggiungono ben altri cinque giocatori in doppia cifra. Troppo poco per fermare la corsa della squadra più in forma della lega, che si gode anche i 14 punti di Jae Crowder al suo esordio casalingo con i Jazz. Anche lui sembra un giocatore nuovo, ma è sempre così quando tutto gira per il verso giusto.
Detroit Pistons-New Orleans Pelicans 103-118
Non c’è due senza tre, anche se i Pistons avrebbero davvero volute fare a meno di scoprirlo. La luna di miele legata all’arrivo di Blake Griffin sembra già essere finita e il derby delle none, di quelle squadre che restano al momento a un passo dalla zona playoff, lo vincono i Pelicans. Merito, neanche a dirlo, di Anthony Davis, dominante in un match da 38 punti e 10 rimbalzi, al termine del quale porta a casa l’ennesimo record di una carriera già invidiabile a livello individuale. Davis infatti dopo stanotte è il detentore del record di punti messi a referto sia alla Palace od Auburn Hills (59), che alla Little Caesars Arena (38). Un vero e proprio dente avvelenato quello del numero 23, che viaggia a 30.4 punti di media in carriera contro i Pistons ed è il principale motivo per cui New Orleans ha vinto 11 degli ultimi 12 incroci contro Detroit. Da segnalare poi la prima partenza in quintetto degli ultimi cinque anni per Emeka Okafor (8 con 7 rimbalzi), messo sotto contratto dai Pelicans per dieci giorni e catapultato sul parquet alla palla a due per permettere a Nikola Mirotic di ritrovare efficacia in uscita dalla panchina (21 punti e 12 rimbalzi per lo spagnolo). Dall’altra parte invece i big two (in tutti i sensi) non vanno oltre i 22 punti di Griffin e i 13 con 21 rimbalzi di Andre Drummond, che prova a schivare le inevitabili critiche. “Ho difeso nella maniera più forte possibile su Davis; ne ha messi a referto così tanti semplicemente perché è un talento incredibile, in grado di segnare tutti i tiri contestati che vuole”. Di parere diverso coach Van Gundy. “Siamo stati terribili in difesa: non credo ci sia stato qualcosa che siamo riusciti a fare come si deve. Se non torni in difesa in transizione e non metti un corpo tra l’avversario e il canestro, vincere resta una vana speranza. Non avremmo meritato di vincere le ultime tre partite, anzi”. Tre successi che sarebbero significati ottavo posto a pari merito con Philadelphia, che adesso ha preso un po’ di margine. “Vincere ad Atlanta e poi tirare il fiato per una settimana: questo il nostro obiettivo”. Ai playoff poi ci si penserà dopo la pausa dell’All-Star Game.
Chicago Bulls-Orlando Magic 105-101
Ci sarebbero tanti modi per raccontare la disastrosa stagione dei Magic, tanti paragoni da poter fare per descriverne il tracollo e la sostanziale inutilità. Gli ultimi due quarti della sfida contro i Bulls però sono il microcosmo ideale, una sintesi di 15 secondi che rende al meglio l’idea. Squadre sul 101-101, rimessa Orlando con l’opportunità di portare il cronometro a zero e provare a vincere la sfida. In caso di tiro sbagliato, overtime. È una win-win situation per gli ospiti, non c’è possibilità per ritrovarsi sotto. A meno che non si batta una rimessa come quella effettuata da Jonathon Simmons, finita storta e sbilenca nelle mani di Shelvin Mack. A quel punto per Zach LaVine è un gioco da ragazzi rubare il pallone e volare a schiacciare il più due. Timeout e nuova rimessa sempre dallo stesso punto, stavolta affidata nelle mani di Mario Hezonja che prova con la tripla a vincere la sfida. La sua conclusione non arriva però neanche al ferro, presa da un giocatore da 24 punti, 8/13 dal campo e 3/3 dalla lunga distanza fino a quel momento. Dall’altra parte invece sono 18 punti per LaVine, 19 in uscita dalla panchina per Bobby Portis e 21 per Lauri Markkanen, nonostante non trovi mai il fondo della retina con i piedi oltre l’arco. In casa Bulls vale più per l’orgoglio che per altro: “C’è chi sta peggio di noi nella lega”, sembrano voler dire. E a guardare i Magic è impossibile dargli torto.
Golden State Warriors-Phoenix Suns 129-83
Davvero tutto troppo facile per gli Warriors, che passeggiano alla Oracle Arena contro i Suns, svolgendo quello che è sembrato più che altro un allenamento a porte aperte. Draymond Green si prende un turno di riposo a causa di un dito lussato e in quintetto al suo posto c’è Omri Casspi, uno dei cinque giocatori in doppia cifra con i suoi 19 punti, 10 rimbalzi e 7/10 dal campo. Steph Curry si ferma a 22 punti, uno in meno rispetto alla soglia per diventare in combinata assieme a papà Dell la terza coppia “familiare” più prolifica della NBA (al primo posto c’è quella Bryant, in cui Kobe l’ha fatta leggermente da padrone). Gli Warriors tirano con oltre il 58% dal campo, mettono il pilota automatico e coach Kerr dopo il traguardo delle 250 vittorie in carriera, può permettersi il lusso di lasciare spazio a dei collaborati molto particolari. Andre Iguodala prima e David West e Draymond Green poi, dirigono dei timeout come fosse loro il capo allenatore, con i compagni in religioso silenzio ad ascoltare. “Contro questi Suns è troppo facile”, verrebbe da dire: Phoenix infatti incassa la quarta sconfitta stagionale con oltre 40 punti di scarto (tutta la NBA messa insieme ne ha subite quattro in totale), pareggiando quante ne aveva incassate nei 49 anni precedenti di storia della squadra. Elfrid Payton le prova tutte per tenere a galla la sua nuova squadra: parte tirando 8/8, in una gara conclusa con 29 punti, otto rimbalzi e cinque assist, ma niente e nessuno sembra poter fermare il crollo verticale della peggior squadra NBA.