Meno di due mesi fa Damian Lillard chiedeva un incontro chiarificatore con il proprietario dei Blazers; ora la squadra cavalca una striscia di otto successi in fila ed è salita fino al terzo posto a Ovest. Ma come è potuto succedere?
A meno di una ventina di partite dal termine della regular season, si sta delineando il quadro della griglia playoff. A Ovest è lotta a due per la prima piazza tra Houston Rockets e Golden State Warriors; alle loro spalle c’è la terza forza Portland che cont…
No, un momento. In che senso Portland terza forza? A Ovest? I Trail Blazers? Questi Trail Blazers?
Eppure la classifica parla chiaro: 39 vinte e 26 perse, 4 vittorie di vantaggio sulla nona posizione - occupata dagli L.A. Clippers - in un’autentica tonnara che coinvolge ben otto squadre per soli sei posti. E a comandare la fila ci sono proprio i Blazers.
Al di là dell’ironia, sorprende e non poco la posizione raggiunta dai ragazzi di coach Terry Stotts. Soprattutto se pensiamo ad inizio stagione, quando la squadra era rimasta invariata rispetto all’anno passato nel quale aveva raggiunto i playoff prima di essere spazzata via dagli Warriors. Con un monte salariale elevato e l’impossibilità di muoversi con un minimo di flessibilità, bisognava fare di necessità virtù e lavorare con il materiale a disposizione. Materiale giovane, visto che i Blazers hanno mantenuto l’età media più bassa della Lega.
Resta la curiosità: come fa Portland ad essere terza forza ad Ovest e quinta in generale in NBA? Le risposte sono principalmente due.
La difesa flessibile dei Blazers
Se Portland è così in alto non è certo merito dell’attacco. L’Offensive Rating a quota 105.6 è il 16° della lega, i 19.1 assist su 100 possessi sono il peggior dato del campionato e i 7.6 punti in contropiede pure. Quest’ultima voce però si può leggere anche in modo diverso, ovvero come emblema di una squadra che ha bisogno di tenere i ritmi bassi per controllare meglio lo sviluppo del gioco - e il numero di possessi a quota 99, nella metà bassa della NBA, lo conferma. Aggiungiamo anche appena tre giocatori in doppia cifra di media (Damian Lillard, C.J. McCollum e Jusuf Nurkic) e una percentuale effettiva dal campo che non va oltre il 51.1% (21esimi in NBA) e possiamo ragionevolmente dedurre che no, non è l’attacco il punto forte dei Blazers – per quanto dall’arco facciano meglio in percentuale solo gli Warriors e, di poco, i Kings. Allora non ci sono alternative: dobbiamo volgere lo sguardo nell’altra metà campo.
Portland viene da due stagioni in cui è stata 20^ e 21^ per Defensive Rating. Bisognava invertire la rotta e, come detto, senza aggiunte di rilievo – fatta eccezione per Jusuf Nurkic, che sin dal suo sbarco a stagione in corso di un anno fa fa fece capire che il suo apporto nella metà campo difensiva sarebbe stato ben superiore a quello di Mason Plumlee. Con lo stesso materiale umano a disposizione restava un’unica opzione concreta a disposizione di Stotts: far diventare la sua difesa più malleabile possibile, capace di adattarsi a contesti diversi, individuando un punto di forza degli avversari e lavorando per neutralizzarlo. Non uno stile unico difensivo, dunque, ma una capacità di lettura di livello avanzato per far giocare male gli altri. Stotts e il suo staff hanno scommesso sull’intelligenza cestistica e la familiarità dei loro ragazzi e ora stanno passando all’incasso.
I Thunder sono la squadra che più di tutte va a rimbalzo offensivo e trova punti dalle seconde opportunità. La priorità per i Blazers, dunque, è stringersi in area e aumentare le braccia che possano controllare il pallone dopo un errore al tiro. Qui Westbrook si ritrova davanti Collins: è un mismatch da sfruttare anche perché il #33 è tutt’altro che ben messo con il corpo. Ma l’area è intasata e non c’è spazio per una penetrazione: Russ però è già in modalità “ci penso io” e si prende comunque il tiro dal gomito. A rimbalzo il solo Adams prova inutilmente a lottare. Alla fine del match, vinto dai Blazers, i rimbalzi offensivi dei Thunder saranno appena 9 e i punti da seconda opportunità 8.
Portland dunque punta a togliere certezze e punti di riferimento all’avversario di turno. Non difende in maniera aggressiva – è 27^ per recuperi a partita a quota 6.9, 29^ per palle perse degli avversari con 12.8 – ma con la disciplina e la testa. Non è un lavoro facile, ma porta i suoi frutti: Portland è settima per rating difensivo (103.9) e quarta per percentuale di canestri concessi agli avversari (44.7%), ma soprattutto è la squadra che concede meno assist dopo gli Utah Jazz (20.2): quest’ultimo è un ulteriore dato che corrobora la tesi di cui sopra.
Naturalmente ci sono dei principi base su cui si fonda la difesa Blazers, ad esempio il controllo del pitturato. Qui, pur sfidando gli Warriors, Portland vuole ugualmente mantenere il comando delle operazioni sotto le plance anche a costo di lasciare spazio ai tiratori. Thompson nel caso specifico sbaglia e i Blazers hanno quattro uomini pronti per il rimbalzo difensivo, che controllano nel 78.8% dei casi (sesti in NBA).
Il blogger Nate Mamm in questo suo articolo ha attribuito gran parte dei meriti sulla crescita difensiva della franchigia dell’Oregon a David Vanterpool, assistente allenatore che abbiamo ammirato in passato ad Avellino e Siena nel corso della sua carriera e che fu uno dei prolungamenti in campo di Ettore Messina ai tempi del CSKA, diventandone vice dopo essersi ritirato. Vanterpool è in Oregon dal 2012 e con Stotts ha lavorato a stretto contatto sin dal primo giorno, aumentando il peso della propria voce allenamento dopo allenamento. C’è insomma il suo zampino di eccellente lettore del gioco nel modo in cui i Blazers si adattano come un guanto a chi si trovano di fronte.
L’assurda ascesa di Damian Lillard
La prima risposta al perché Portland si trovi lì in alto è dunque la difesa di squadra. La seconda corrisponde ad un ragazzo che è costantemente in lotta contro chi lo sottovaluta e non crede abbastanza nelle sue qualità.
Damian Lillard sta vivendo l’ennesima stagione strepitosa della sua carriera. Anzi, probabilmente è alla migliore in assluto: viaggia a 26.8 punti di media con 107.4 di offensive rating e la miglior percentuale effettiva al tiro (53.1%) da quando calca i parquet NBA. È lo ying e lo yang di ogni attacco di Portland, che senza di lui in campo perde 6 punti su 100 possessi mentre resta invariato il dato sui punti subiti, che invece nelle stagioni precedenti migliorava quando il numero 0 si accomodava in panchina. Eccola la grande novità del Lillard 2017-18: difende anche lui. Ovviamente senza essere diventato un mastino, ma difende. E segna, segna, segna…
La mappa di tiro di Chartside ci permette di strabuzzare gli occhi e di ammirare quanto sia mortifero Lillard da oltre l’arco - e anche parecchio oltre l’arco. Avendo così tanto la palla in mano gli angoli non sono un’opzione esplorata, ma essendo così efficace altrove (specialmente nel quarto periodo), i tifosi dei Blazers se ne faranno una ragione.
C’è una qualità enorme che Lillard possiede da sempre: il sapersi/volersi prendere responsabilità quando la palla scotta e il cronometro si avvicina allo zero (do you remember this?). Notare qui la naturalezza con cui si mette in ritmo da solo con un crossover e un palleggio laterale verso sinistra, prima di scagliare il tiro che va inesorabilmente dentro la retina. Segue faccia imperturbabile come se nulla fosse accaduto.
La presenza di Nurkic permette a Lillard di avere un punto di riferimento in più in attacco per ampliare il proprio bagaglio tecnico. Qui il bosniaco serve con un timing perfetto il taglio del compagno agevolato dal blocco di Harkless, capitalizzando sulle attenzioni che la difese deve necessariamente dargli anche lontano dalla palla.
Il degno compare di Lillard, C.J. McCollum, pur essendo meno sotto i riflettori - specialmente nella striscia di otto vittorie in fila dei Blazers - sta producendo numeri molto interessanti a sua volta. Rispetto alla passata stagione difensivamente è più produttivo senza che il rendimento in attacco ne abbia risentito particolarmente (21.6 punti con 44.5% dal campo quest’anno, 23 con il 48% nel 16-17 con volume di tiri pressoché identico). Resta comunque un giocatore fondamentale per Dame, che se fosse l’unico terminale offensivo credibile non riuscirebbe ad essere così incisivo.
Questo è uno schema molto frequente nel playbook di Portland e che si basa sul grande feeling tra le due guardie titolari: McCollum parte dall’angolo sinistro con il difensore che si schianta contro il blocco durissimo di Nurkic. Rapido scambio con Lillard poi via verso l’angolo destro, dove McCollum può ricevere il preciso lob di Dame. Nel frattempo Austin Rivers si è schiantato contro un altro blocco, perdendo definitivamente le tracce dell’avversario che va a schiacciare indisturbato.
A un mese e mezzo dalla fine della regular season, Portland è sorprendentemente in corsa per il fattore campo nel primo turno dei playoff. Un risultato che, se ottenuto, avrebbe tre conseguenze: candidare pesantemente Terry Stotts al premio di Allenatore dell’anno; rendere credibili le possibilità in post season della franchigia - poi la dirigenza dovrà pensare ai rinnovi e a un salary cap elevatissimo, ma questa è un’altra storia -; e infine togliere ogni dubbio sullo status da stella di Damian Lillard in questa lega. Tre avvenimenti che non erano così scontate nemmeno fino a poco meno di due mesi fa, visto che lo stesso Lillard aveva richiesto (e ottenuto) un confronto con il proprietario Paul Allen per capire dove volesse andare la franchigia. Da quell’incontro in poi sono seguite 16 vittorie e 5 sconfitte, rilanciando pesantemente le ambizioni dei nuovi Blazers e calmano l’inquietudine di Lillard, la cui inclusione nei primi tre quintetti All-NBA è da considerarsi ormai automatica. E anche questa non era per niente scontata.