Una serie di brutte prestazioni al tiro e di errori dalla lunetta nelle ultime tre gare rimettono in discussione il ruolo e l'importanza di Carmelo Anthony all'interno degli Oklahoma City Thunder. In una stagione non certo facile per l'ex realizzatore di Nuggets e Knicks
La settimana orribile di Carmelo Anthony è iniziata ancora martedì scorso, nella sfida sul parquet di Boston. Una partita difficile, certo, ma complici anche le assenze di casa Celtics una gara che i Thunder sembravano aver quasi vinto, sopra di 5 con meno di 17 secondi da giocare. Poi una tripla di Rozier porta Boston a -2 e il fallo immediato ordinato da coach Stevens manda in lunetta proprio Anthony. Che sbaglia li primo libero e poi anche il secondo, permettendo così poi la tripla della vittoria sull’ultimo possesso a Marcus Morris. Le sue parole nel postpartita sono quelle d’ordinanza, di un veterano che cerca di non dare troppa importanza a un singolo evento: “Cerco di non chiedermi quel che è successo o cosa avrei dovuto fare, anche perché a questo punto è troppo tardi”, dichiara quasi rassegnato. “Succede, posso sopportarlo. Ne segni alcuni, ne sbagli altri”. Il suo linguaggio del corpo, però, raccontava di uno stato d’animo diverso: a lungo seduto dopo la gara al suo armadietto, in silenzio, con il ghiaccio sulle ginocchia. Quegli errori hanno lasciato il segno, perché se è vero che Anthony sta segnando in media più di tre liberi su quattro, le sue cifre stagionali (76.4%) sono il minimo in carriera, peggio anche del 77.7% tenuto da matricola al suo ingresso nella lega e notevolmente inferiore alle sue cifre in carriera (81.2%). E non solo quello: a lungo celebrato come giocatore di isolamento, oggi Anthony comanda ancora tre possessi e mezzo a partita di questo tipo, dato che lo rende il tredicesimo giocatore di tutta la NBA per frequenza di isolamenti. Dei dodici che lo precedono, solo il suo compagno Russell Westbrook ha un’efficienza offensiva minore, perché ‘Melo oggi ricava dal suo uno-contro-uno solo 0.93 punti per possesso. “’Melo è una leggenda, e come tale verrà ricordata al termine della sua carriera. A maggior ragione stupiscono due errori del genere da parte sua – ammette Paul George – ma sa benissimo che siamo tutti dalla sua parte, che abbiamo la piena fiducia in lui. Ha solo sbagliato due liberi”.
Gli errori decisivi contro Portland
Poi però, nella gara successiva contro Miami (vinta da OKC), Anthony segna gli unici due liberi che si guadagna ma in compenso sbaglia sei dei suoi otto tiri dal campo e chiude con 0/4 da tre punti. Fa ancora peggio nell’ultima gara contro Portland (0/5) in una serata che lo vede ancora con la mano freddissima (3/13 dal campo) e che soprattutto lo vede fallire nel finale, prima con una palla persa a una decina di secondi dalla sirena (dopo essere stato raddoppiato in angolo) e poi con l’errore da tre punti a due secondi dal termine per la tripla che avrebbe impattato la gara. “Non avrei potuto chiedere un tiro migliore – ammette Anthony negli spogliatoi – ne avevo già avuti due precedentemente, in fila, e poi un terzo a due secondi dalla fine. Tiri che di solito segno quasi a occhi chiusi, ma stavolta sono usciti”. Ancora, aggiunge qualcuno. E Carmelo Anthony è stato troppo a lungo in questa lega per non sapere che quel qualcuno è pronto a farne una storia da dare in pasto all’opinione pubblica. “Se guardo alla gara di Boston e poi a questa contro Portland, visto che in passato ho abituato tutti a segnare questo tipo di tiri, anche per me è dura accettare i miei errori, perché mi viene quasi istintivo interrogarmi e magari mettermi in dubbio. Ma so che non devo esagerare, non posso essere troppo duro con me stesso”. Il primo a correre in sua difesa, senza mezzi termini, è coach Billy Donovan: “Per me Anthony è uno che nei minuti decisivi di una gara è giusto che sia in campo, com’è sempre stato finora. Ok, non ha tirato bene in queste ultime gare, ma lo ha fatto lungo tutto l’arco della sua carriera. Non ho nessun problema coi tiri che si è preso. Carmelo ha dimostrato negli anni di essere uno dei grandi realizzatori di questa lega e per tanti anni ha messo canestri di grande importanza, per cui ha tutta la mia fiducia. Sono pronto a tornare da lui in una situazione simile, perché pensare di togliergli questo tipo di fiducia sarebbe non dar credito al lavoro che ha fatto per noi fino a qui, adattando il suo gioco, sacrificandosi per il bene della squadra”.
La metamorfosi nel suo ruolo
Un lavoro – e un sacrificio, come l’ha chiamato Donovan – che si riflettono nelle cifre dell’ex giocatore di Denver e New York, al minimo di sempre per punti segnati (16.5 a sera) e percentuali al tiro (appena sopra il 40% dal campo). Cifre che fanno dire a qualcuno che con una carta d’identità che presto dichiarerà 34 anni la parabola discendente nella carriera di Anthony sia già iniziata e tenerlo in campo oltre 32 minuti a sera oggi non sia più vantaggioso per gli equilibri di squadra, visto anche l’emergere di Jerami Grant. Il suo ruolo da quando Anthony è approdato a Oklahoma City è ovviamente cambiato rispetto a quello da alpha dog abitualmente ricoperto sia nei Nuggets che ai Knicks. I punti nelle sue mani fanno sempre comodo e la sua capacità di colpire dal mid-range e da fuori aiutano ad aprire l’area per le incursioni al ferro di Russell Westbrook o per liberare spazio d’azione sotto canestro a Steven Adams, ma oggi il n°7 di OKC è ragionevolmente la quarta opzione offensiva di coach Donovan, dietro a Westbrook, Paul George e lo stesso Adams. L’allenatore dei Thunder, però, uno come Anthony non vuole “perderlo”, anche in un momento come questo di difficoltà: “Credo in lui, credo sia un ottimo giocatore di squadra”. E il diretto interessato insiste: “Non permetterò a questi errori di condizionarmi mentalmente. Non mi farò abbattere”. Quello che si augurano anche i tifosi dei Thunder, soprattutto in vista dei playoff.