Cinque mesi di mistero e tensioni, poi all'improvviso il ritorno in campo: l'assurda stagione da rookie della prima scelta assoluta ha vissuto ieri notte l'ennesima svolta inattesa. Ma sulle cause del suo infortunio alla spalla vige il più ermetico dei silenzi...
Per dirsi completa, la stagione dei Philadelphia 76ers aveva giusto bisogno di un segnale da parte di Markelle Fultz. Un segnale di qualsiasi tipo, verrebbe da dire, visto che da ormai cinque mesi attorno alla prima scelta assoluta era calato un silenzio carico di tensione e mistero, con pochi e interlocutori aggiornamenti sulle sue condizioni fisiche. Una situazione che avrebbe mandato in crisi tantissime altre franchigie (immaginatevi se una cosa del genere fosse successa a Lonzo Ball…) e che invece a Philadelphia, complici i tanti personaggi interessanti già presenti e l’andamento ampiamente positivo della squadra (18 vittorie nelle ultime 23 partite, a una sola gara di distanza dal terzo posto occupato dai Cleveland Cavaliers), è passata quasi in secondo piano. Nonostante le evoluzioni di Joel Embiid, Ben Simmons e tutti gli altri, i tifosi di Philadelphia e gli appassionati di NBA però non si sono dimenticati del talento intrigantissimo di Fultz, che nella sua sola stagione all’università di Washington aveva ammaliato tutti con la sua combinazione di fisico, capacità in palleggio e soprattutto doti di tiro. Un profilo offensivo simil-James Harden che aveva convinto Philadelphia a cedere la terza scelta assoluta (poi diventata Jayson Tatum) e un’altra scelta al Draft (con ogni probabilità quella di Sacramento del prossimo anno) pur di affiancarlo ad Embiid e Simmons per creare il terzetto giovane più entusiasmante della lega. Una visione che si è concretizzata in campo solo ieri notte, perché nelle sole quattro partite disputate a inizio stagione era palese che qualcosa non andasse nel fisico e nella testa di Fultz, lontano parente del giocatore ammirato in NCAA o anche solo in Summer League.
Il silenzio assoluto sull’infortunio
Un infortunio definito come “scompenso muscolare alla spalla destra” su cui vige ancora un mistero che continuerà ancora a lungo, visto che l’unico in grado di parlarne con cognizione di causa, vale a dire il diretto interessato, non ha alcuna intenzione di parlarne. Una volontà ribadita in maniera chiara anche ieri notte: incalzato dai giornalisti dopo la gara che gli chiedevano spiegazioni sulle cause del suo infortunio e sul motivo per cui non ne ha mai voluto parlare, il rookie dei Sixers si è trincerato dietro un silenzio assoluto, guardando fisso nel vuoto e aspettando la domanda successiva. Evidentemente, il taboo sull’argomento è ancora assoluto. Non che nelle altre domande sia stato particolarmente loquace: al di là delle dichiarazioni di rito (“Non volevo l’ora di tornare in campo coi miei fratelli, volevo solo aiutare la squadra a vincere” ecc…) e i ringraziamenti per famiglia, compagni, staff tecnico, dirigenza e tifosi (“che hanno sempre creduto in me sostenendomi giorno dopo giorno”), Fultz è apparso un filo più sciolto rispetto al passato, ma le telecamere lo hanno immortalato a sudare copiosamente davanti ai microfoni. L’unica concessione che ha fatto dalla corazza dentro la quale si è trincerato l’ha data parlando dei tifosi, che lo hanno acclamato a lungo cantando “Fultz! Fultz! Fultz!” e facendo rientrare in campo per i due minuti e mezzo finali di garbage time. “All’inizio pensavo che stessero cantando ‘Foles! Foles! Foles!’ [il quarterback degli Eagles campioni NFL, ndr]: quando poi ho capito, è stato veramente figo”. Ora i tifosi, che sono impazziti tanto sugli spalti quanto sui social network quando si è sparsa la notizia del suo ritorno, possono cominciare a sognare: nei suoi 14 minuti e 24 secondi la guardia ha chiuso con ottime cifre (10 punti e 8 assist con 4 rimbalzi tutti in attacco: era dal 1980 che un giocatore non produceva numeri del genere in così poco tempo), ma ha anche mostrato di essere ancora lontano dal poter essere un giocatore affidabile in ottica playoff.
Il pezzo mancante del puzzle dei Sixers
Nel primo tempo, in particolare, Fultz ha cominciato male – una palla persa, due tiri stoppati dalla difesa, un airball – mostrando un po’ di comprensibile ruggine pur distribuendo tre dei suoi otto assist finali. Ma è di sicuro un ottimo segnale che non si sia lasciato scoraggiare e abbia continuato ad attaccare la partita una volta rientrato nel secondo tempo, partecipando al parziale del terzo quarto con cui i Sixers hanno vinto la partita (+16 il suo plus-minus a fine gara). Detto questo, Fultz non si è preso neanche un tiro da tre nella partita e non è stato mandato in lunetta neanche una volta dalla difesa porosissima dei Nuggets, mostrando il suo “hesi pull-up jimbo” (il copyright della descrizione appartiene a Kevin Durant) solamente nel tripudio degli ultimi due minuti, quando i Sixers gli hanno concesso tutti i possessi disponibili per mandare in visibilio il pubblico. Ma anche con tutte le attenuanti del caso, è indubbio che si sia intravisto il talento che lo ha reso una prima scelta assoluta, e che il suo recupero possa rappresentare una svolta importante per la stagione di Philadelphia. Tanto coach Brett Brown quanto il presidente Bryan Colangelo non hanno voluto promettere nulla in termini di ruolo e minutaggio per i playoff, e non è del tutto in caso che il suo “secondo debutto” sia arrivato a qualificazione alla post-season già raggiunta, ma Fultz può rappresentare una variabile aggiuntiva per togliere dalle secche un attacco che ha un punto debole nella creazione di tiri dal palleggio. Perché quando le difese si concentrano su Joel Embiid nessun altro giocatore dei Sixers è in grado di crearsi un tiro con buona efficienza, basandosi invece sul movimento di palla azionato da Ben Simmons per trovare tiri ad alta percentuale nel flusso del sistema ideato da Brown. Un difetto strutturale a cui doveva sopperire proprio Fultz, che ha nella creazione di tiri “Hardenesca” la sua miglior qualità – o almeno quella che aveva mostrato maggiormente nel suo anno di NCAA. Riuscire a confermarsi in questo finale di stagione potrebbe rappresentare un’ottima aggiunta dalla panchina per i Sixers, oltre che cambiare le prospettive a medio-lungo termine della franchigia che a quel punto diventerebbe una delle favorite assolute per il titolo nelle prossime stagioni – a maggior ragione se LeBron James decidesse di portare i suoi talenti nella Città dell’Amore Fraterno. Ma per il momento conviene rimanere coi piedi per terra e godersi il secondo debutto della prima scelta assoluta: per come si erano messe le cose negli ultimi cinque mesi, ci si può ampiamente accontentare anche solo di questo.