Le 5 espulsioni incassate dal numero 35 degli Warriors sono il record negativo degli ultimi 16 anni in una singola regular season NBA , secondo soltanto a Rasheed Wallace nell’ultimo quarto di secolo: "È una fase della mia evoluzione, ma dimostra quanto sia grande la mia ambizione di conquistare un altro titolo"
SAN ANTONIO-HOUSTON IN STREAMING APERTO A TUTTI SU SKYSPORT.IT DOMENICA ALLE 21.30
Al ritorno sul parquet dopo sei gare d’assenza (quattro delle quali perse a causa delle numerose defezioni), Kevin Durant ha ripreso da dove aveva lasciato. Ossia dalle espulsioni, il non-invidiabile marchio di fabbrica della stagione degli Warriors, incassando la quinta in 61 gare di regular season. Un’anomalia per un giocatore che nelle prime dieci stagioni ne aveva ricevute soltanto due (in oltre 850 partite) e che ha fissato il nuovo record degli ultimi 16 anni in NBA. Peggio di lui nell’ultimo quarto di secolo ha fatto soltanto Rasheed Wallace che ne ha raccolte sette sia nel 1999-2000 che la stagione successiva. Una tendenza che il numero 35 di Golden State ha voluto spiegare: “È colpa della mia emotività e dell’amore per questo gioco. Dopo aver vinto il titolo l’anno scorso, ho imparato che in realtà non cambia molto. Pensavo fosse un modo per riempire un vuoto, ma non è così. Quello è il momento in cui ho capito durante la off-season che l’unica cosa che conta in questo gioco è quanto lavoro e sforzo tu ci metta. Tutto quello che riguarda quanto accade fuori dal campo – social media, la percezione del pubblico, ecc – non è importante. Quello che dice la gente, come vedono da fuori le cose, non conta nulla”. In fondo Durant sa bene che a giugno mettersi un anello al dito può appianare qualsiasi tipo di perplessità: “Quello che facciamo come squadra è stato speciale e il mio unico obiettivo è quello di rivivere sensazioni del genere. Il mio amore e la mia passione per il gioco sono sbocciati ancora di più perché ho capito che è tutto lì, che sto trasudando voglia di vincere e di essere coinvolto nel gioco. Ma so che devo tenere a bada questo mio fuoco ed è ciò che farò”. Anche perché le regole arbitrali sono cambiate, ma davanti al turpiloquio continuo manifestato più volte da KD è difficile voltarsi dall’altra parte: “Meritavo l’espulsione contro i Bucks, gli arbitri hanno preso la giusta decisione”.
Cinque espulsioni e 14 tecnici: se succedesse anche ai playoff?
Il conto dei falli tecnici di Durant è arrivato a 14, ma quello non preoccupa lo staff degli Warriors, visto che con l’inizio dei playoff il conto si azzera e il numero 35 non rischierà squalifiche aggiuntive. Coach Kerr ha raccontato di aver inviato un sms a Durant per incoraggiarlo, consapevole del fatto che il suo giocatore avesse caricato di troppe aspettative una sfida in cui sentiva di doversi caricare i destini degli Warriors sulle spalle sin dalla palla a due. Non c’è tempo per recriminare, bisogna lasciarsi tutto alle spalle e pensare alla prossima sfida. “Andrà tutto per il meglio, dobbiamo provare a vincere un altro titolo. È la ragione per cui scendiamo sul parquet ogni sera”. Impossibile però schivare le domande su questa sua nuova versione: “È soltanto parte della mia evoluzione, sarò il primo ha sottolineare che non sono perfetto. E soprattutto non ho tutte le risposte, mi servirà magari la prossima off-season per ragionarci su e dire: ‘Ok, trova una soluzione e abbassa i toni delle tue proteste’. Ma non ho problemi a parlarne, proprio perché ne conoscono le motivazioni”. Nei playoff però colpi di testa del genere potrebbero costare molto cari: “È qualcosa che riuscirai a evitare di fare ai playoff?”, gli hanno chiesto a fine gara contro Milwaukee. “Chi, io?”, ha risposto stizzito Durant”. “Sì”. “Dai, andiamo. Tu mi conosci un po’ meglio rispetto a questa lettura superficiale – ha sottolineato nei confronti di Anthony Slater, il corrispondente di The Athletic -, abbiamo fatto tante belle chiacchierate nei mesi scorsi. Pensi davvero che possa perdere le staffe e farmi buttare fuori da una gara di playoff?”. “No”. “Ecco, grazie. Mi conosci, non recitiamo ruoli che non ci competono. È soltanto un tecnico e so che non avrei dovuto. Chiedo scusa. Anzi, no, sono dispiaciuto, ma credevo di poter continuare fino al termine della partita. Dai, mi conosci. Non sono così”. Se lo dice lui, bisogna crederci.