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NBA, parla Gilbert Arenas: “Il mio stile di gioco in anticipo sui tempi: ero Harden prima di Harden”

NBA

Una lunga conversazione su Reddit riporta d'attualità "pensiero, parole e opere" dell'ex All-Star di Washington, personaggio controverso dalle opinioni mai scontate. Dall'ammirazione per Steve Nash e Allen Iverson agli scherzi in spogliatoio, tutto l'Arenas-pensiero senza nessun filtro

Undici stagioni nella NBA (una saltata quasi interamente, nel 2008-2009) per una carriera iniziata con due annate a Golden State all’ingresso nella lega, poi trascorsa quasi interamente a Washington e conclusa indossando le maglie di Orlando e, brevemente, di Memphis: è indubbio che Gilbert Arenas un segno nella NBA lo ha lasciato, tanto sul campo (tre volte All-Star dal 2005 al 2007) che fuori (per comportamenti che spesso lo hanno messo nei guai, anche con la legge). Un talento pazzesco accoppiato a una personalità debordante, che poi però è sconfinata nella creazione di un personaggio spesso fuori controllo, fattore che ha sostanzialmente chiuso la sua carriera in maniera ingloriosa. Lo stesso, contrastante mix che ha contraddistinto la sua avventura NBA è rintracciabile anche nell’ultima apparizione pubblica – via social, in questo caso Reddit – dell’ex n°0 di Washington, che all’interno della sezione non a caso denominata “Out of bounds” (al di fuori del campo – e dei confini dello stesso) del sito Complex, è tornato a far parlare di sé. Lo ha fatto alternando interessanti opinioni tecniche – sulla pallacanestro e sulle superstar di ieri e di oggi – a giudizi e uscite molto più irriverenti, nel classico stile di un personaggio che ancora oggi appare difficilmente classificabile. Per iniziare, ad esempio, fa specie il giudizio che l’Arenas odierno dà dell’Arenas giocatore, tutt’altro che modesto: “Il mio stile di gioco era in anticipo sui tempi. Se oggi si guarda a James Harden e al suo modo giocare, quello è stato il mio stile. Io ero un gran tiratore da tre [sopra il 35% in carriera, ndr] capace di andare con regolarità in lunetta [6.5 viaggi in lunetta di media, una stagione con 10 liberi tentati a partita, ndr]. Tanto è vero che solo io, Harden e Russell Westbrook siamo gli unici giocatori con più di 200 triple e 600 tiri liberi a segno in una singola stagione. Sono io ad aver creato e raggiunto per primo questo tipo di traguardi statistici”. Non poca cosa per un giocatore che, in uscita da Arizona, non venne scelto da nessuna squadra NBA al primo giro, finendo per essere chiamato con la n°31 dai Golden State Warriors: “Nonostante la scelta al secondo giro sono stato incosciente abbastanza da dichiarare che entro metà del mio primo anno sarei stato un titolare nella NBA. Dopo essere uscito dalla panchina le prime 40 partite, dalla n°42 in poi ero titolare. Avevo mantenuto la mia promessa”. Non nuovo quindi a previsioni ai limiti del sensazionalismo, Arenas non si smentisce neppure quando gli viene chiesto di indicare i propri favoriti al titolo NBA 2018: “Vedo bene i Cavs – la sua risposta – se riescono a evitare Golden State in finale. Non penso che i Rockets abbiano abbastanza attacco per vincere un titolo”, la curiosa spiegazione per cui Harden e compagni [n°2 per efficienza offensiva durante la stagione, ndr] non incontrano i favori dell’ex guadia di Wizards e Magic. E nella corsa al premio di rookie dell’anno, l’ex All-Star di Washington sceglie per l’ex-aequo tra Ben Simmons e Donovan Mitchell, ma se dovesse scegliere una matricola per costruire la sua squadra del futuro andrebbe con “Jayson Tatum, perché è due anni giovane di Mitchell e 12 centimetri più alto”. 

Tra Washington e Orlando

Proprio del periodo ad Orlando – solo 49 partite e 8 punti di media in una ventina di minuti  in campo – Arenas dà la sua personale versione: “È stato un periodo difficile per me, perché ero reduce dall’incidente della pistola [con cui si era fatto sorprendere nello spogliatoio di Washington, in un duello gradito poco dalla NBA con il suo allora compagno Javaris Crittenton, ndr] e sentivo che per via del mio passato non mi era consentito avere un’opinione e far sentire la mia voce all’interno dello spogliatoio di quei Magic. Così non ho fatto altro che mettermi da parte e cercare di non creare problemi. Dwight Howard è stato un gran compagno di squadra, uno scherzo della natura attorno a cui quei Magic erano costruiti. Non ero nella posizione di poter sfidare coach Stan [Van Gundy] su tutta una serie di atteggiamenti negativi che trasmetteva alla squadra: non motivava mai in maniera positiva i suoi giocatori, mentre aveva sempre qualcosa di negativo da farci notare”. Non particolarmente migliore l’opinione di Arenas anche sulla situazione attuale della squadra che sente più sua, gli Washington Wizards: “Credo siano arrivati a un momento di stallo, hanno bisogno di fare qualcosa: o smontare questa squadra o fare tutti gli sforzi possibili per arrivare a un lungo che abbia punti nelle mani”. 

La NBA dei suoi tempi, da Nick Young a Steve Francis

Il resto delle risposte fornite da Arenas alle domande dei mille tifosi vogliosi di ottenere aneddoti gustosi dalla bocca di “Mr. Hibachi” (le genesi del soprannome la spiega lui: “Attorno al 2004-2005 Brandon Haywood era solito accusare me e Larry Hughes di farci massacrare difensivamente. ‘Vi mettono sulla griglia e vi cucinano per bene’, ci ripeteva in continuazione. L’anno dopo viaggiavo a 29 punti di media e allora sono stato io prendermi come soprannome il marchio più famoso di griglie…”) riguardano soprattutto la NBA dei suoi tempi,  a partire dagli avversari più duri da marcare: “Steve Nash e Allen Iverson”, la risposta senza dubbi di Arenas. “Nash perché giocava magistralmente il pick and roll e marcarlo voleva dire dover passare su decine e decine di blocchi, che lui era bravissimo a sfruttare. Iverson invece perché non smetteva mai di attaccarti, ogni sera voleva segnarti 100 punti in faccia, era impossibile tirare il fiato anche su un singolo possesso, contro di lui. Giocava come gioca oggi Russell Westbrook, solo che lui era più piccolo e più veloce”. Arenas elargisce complimenti anche a Jamal Crawford e Flip Murray (“due dei giocatori più sottovalutati, al tempo”) e a Mike Dunleavy Jr., Luke Ridnour e Luke Walton, giocatore, non allenatore (“sono loro i giocatori bianchi che mi piacevano di più”), mentre finisce invece tra i bocciati niente meno che la point guard degli Houston Rockets Steve Francis, “per me un giocatore da top 10 di SportsCenter ma non una vera superstar”. Il resto sono aneddoti da spogliatoio dei suoi tempi a Washington, cose di cui un giocatore professionista forse non dovrebbe proprio vantarsi: “Ad Andray Blatche un giorno ho tagliato la base della L del suo nome sulla maglia, per farla sembrare una I e ho coperto con dell’adesivo la A e la E finale: ero quasi riuscito a farlo scendere in campo con scritto BITCH sulle spalle”, racconta divertito. Non l’unico aneddoto che vede Blatche protagonista, dalla cacca di cane messa nelle sue scarpe in spogliatoio alla routine post allenamento: “Era la cosa che mi divertiva di più: battere uno-contro-due lui e James Lang alla fine di ogni allenamento. Vincevo sempre io. Sempre”. Le ultime chicche le dedica a due personaggi a loro modo leggendari dello spogliatoio Wizards di quegli anni: Nick Young (“Era il mio rookie: dove andavo io veniva anche lui. Se andavo al supermercato, veniva con me; se andavo in un locale di spogliarelliste, pure”) e DeShawn Stevenson: “Quello che voleva avere più swag di tutti in spogliatoio ma anche il giocatore con il numero di groupie che poteva rivaleggiare col mio”, racconta. Tutto il contrario di Caron Butler, “sempre serio, non rideva mai”, ma l’ultimo ricordo di Gilbert Arenas getta luce su uno dei momenti più difficile della sua carriera, i due tiri liberi sbagliati contro Cleveland in gara-5 a 15 secondi dalla fine dei tempi regolamentari, con Washington sopra di 1 e poi condannata dal canestro della vittoria di Damon Jones. “Sì, c’è stato del trash talking di LeBron tra il primo e il secondo libero. ‘Se sbagli anche questo sai già come andrà a finire’, mi ha detto. Ma non è stato quello a farmi sbagliare. Sono cose che capitano. E poi sul possesso decisivo lui ha scaricato su Damon Jones per il canestro della vittoria”. Uno dei mille snodi della carriera di Gilbert Arenas che non sono andati dalla sua parte: chissà cosa sarebbe successo invece in caso contrario…