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NBA, il bilancio di fine anno dei Minnesota Timberwolves: quali mosse per il futuro?

NBA

Dario Ronzulli

L'eliminazione al primo turno per mano degli Houston Rockets apre la lunga estate dei T'Wolves: cosa salvare e cosa buttare di questa prima stagione con Jimmy Butler e gli altri veterani? E quali sono le prospettive future di Wiggins e Towns, attesi a estensioni contrattuali al massimo salariale?

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Taj Gibson ha appena segnato il +1 per i Minnesota Timberwolves in una Gara-5 fino a quel equilibrata. Houston va in attacco, c’è un blocco alto di Clint Capela per Chris Paul che penetra centralmente e poi scarica per James Harden; il Barba è all’altezza del tiro libero e fa due passi indietro per poter tirare da 3. La comunicazione difensiva tra Karl-Anthony Towns, Jimmy Butler e Jeff Teague è semplicemente pessima: i primi due seguono Paul dimenticandosi di Harden, il terzo si accorge tardi che il pericolo pubblico numero uno è rimasto solo e, quando prova a recuperare, si scontra con il pezzo delle Alpi svizzere meglio conosciuto come Capela. Harden prende comodamente la mira, tira e segna. È sorpasso Rockets: da quel momento - siamo a metà del terzo quarto - non si volteranno più indietro fino alla sirena di Gara-5. La serie finisce 4-1, Houston va avanti, Minnesota a casa.

Per molti versi è l’azione simbolo della stagione dei lupi, che troppo spesso si sono rivelati incapaci di mantenere la concentrazione nei momenti topici anche contro squadre di livello inferiore. Soprattutto incapaci di difendere a dovere, in quei momenti topici.

Con i Rockets, poi, le cose sono andate per lo più alla stessa maniera: primo tempo combattuto, poi allungo Houston nel terzo quarto e tanti saluti. Dei 20 quarti giocati, Minnesota ne ha vinti 10 e persi 9, ma sono stati cazzotti durissimi dai quali non si è ripresa - e ogni riferimento ai 50 punti di Gara-4 è puramente voluto. Alla luce di tutto ciò, come bisogna valutare la stagione di Butler e compagnia?

I lati positivi

Partiamo dai dati positivi dell’annata: Minnesota è tornata ai playoff dopo 14 anni, ovverosia da quel 2004 che rappresenta il punto più alto della franchigia con la finale della Western Conference persa in sei gare contro i Los Angeles Lakers di Shaq, Kobe, Malone e Payton. L’obiettivo minimo è stato dunque raggiunto, seppur solo all’ultima partita in un vero e proprio spareggio al cardiopalma contro i Nuggets. In una conference equilibrata come raramente è accaduto, i Timberwolves sono finiti ottavi a una vittoria dal quarto posto e a due dal terzo, e possono sicuramente recriminare per alcune sconfitte inopinate. Nel carnet abbiamo, tra gli altri, due ko con Memphis, uno con Atlanta, due con Phoenix e uno con Brooklyn: tutte squadre ampiamente alla portata di Minnie.

L’attacco di squadra è migliorato sensibilmente sul piano della produttività: 110.8 punti ogni 100 possessi ne fanno il quarto migliore di tutta l’NBA. È calata la percentuale di canestri assistiti rispetto alla stagione precedente, da 60% a 55.3%, segno che la presenza di Jimmy Butler ha legato di più agli isolamenti l’attacco dei T’Wolves (7.1 tentativi a partita nella scorsa stagione, 9.4 in questa). Inoltre è segno che stiamo parlando di un attacco basato molto più sul talento dei singoli che su un sistema di squadra: spesso è stato utile per risolvere gare complicate o per prendere il largo in regular season, ma nei playoff serve altro per andare avanti.

Dobbiamo però andare oltre i numeri e capire come nascono. L’alta efficienza offensiva dipende principalmente da tre fattori: una bassa percentuale di palle perse (12.6%, solo Dallas e Charlotte hanno fatto meglio); un’ottima capacità di andare a rimbalzo d’attacco (7.7 sui 36 minuti, 24.4% dei rimbalzi totali catturati); un elevato numero di tiri liberi guadagnati e trasformati (più precisi dalla lunetta ci sono solo i Golden State Warriors).

C’è però un dato da evidenziare e rimarcare e sottolineare: Minnesota in regular season ha chiuso al penultimo posto per tiri da tre tentati, appena 22.6 su 100 possessi. Mancano tiratori affidabili, fondamentali per aprire il campo quando le difese si chiudono a riccio nel pitturato: quello che si prende più tentativi dall’arco è Andrew Wiggins, non propriamente il tiratore dei vostri sogni. Per una squadra che ha ambizioni d'élite non è una strada oggi percorribile in NBA: se anche i Toronto Raptors hanno cambiato strategia per avere una diversa identità di squadra, allora ci si deve proprio arrendere alla contemporaneità.

Spesso c’è stato un problema di spaziature non corrette che ha costretto il portatore di palla a mettersi in proprio. Qui Teague sfrutta un blocco di Towns ma quando arriva al gomito ha tutte le linee di passaggio chiuse, soprattutto perché nessuno dei suoi compagni ha allargato a dovere lo spazio spaziandosi sul perimetro. Il tiro di Teague è moscio e il rimbalzo di Philly è l’inevitabile conseguenza.

Prima azione della partita contro i Bucks. La palla ha girato veloce e ha mosso la difesa, tanto che sulla penetrazione di Wiggins sotto canestro c’è un due contro uno. L’errore al tiro viene attutito dalla reattività di Gibson che tocca il pallone e dall’atletismo di Towns che lo recupera, prima di utilizzare le sue abilità fisiche e tecniche per finalizzare.

Qui contro i Clippers altra situazione in cui da rimbalzo offensivo Minnesota sfrutta rapidamente la difesa non posizionata a dovere. Il grosso del lavoro lo fa Towns, che sovrasta Griffin dopo l’errore di Wiggins e poi serve lo stesso Wiggo non seguito da Lou Williams. Alla fine arriva il canestro e il fallo di Jordan. La rapidità delle letture offensive di Towns ha fatto spesso la differenza in azioni come queste.

Il solito problema: la difesa

L’aspetto sotto il quale la squadra non ha fatto progressi, ma anzi se possibile è peggiorata rispetto al primo anno di Thibodeau, è la difesa. A lungo nelle retrovie della graduatoria del defensive rating, Minnesota ha chiuso la regular season al 22° posto a quota 108.4, un dato che sale a 112.6 se consideriamo solo l’ultimo quarto. Una costante della stagione TWolves, corroborata dal fatto che per il coach le rotazioni sono strettissime e il quintetto base - Teague, Wiggins, Butler, Gibson e Towns - ha giocato quasi 700 minuti in più rispetto al secondo quintetto più utilizzato, nel quale semplicemente Bjelica prende il posto di Butler (fuori per 17 partite per via di un grave infortunio al ginocchio). La second unit ha visto pochissimo il campo anche in situazioni di garbage time. Il sovrautilizzo di chi inizia e chiude le partite porta la logica conseguenza di avere una squadra stanca e poco lucida nel finale.

È Thibodeau che non si fida dei panchinari o sono questi che non sono all’altezza? Probabilmente la verità sta nel mezzo - per Shabazz Muhammad no: la sua stagione è da dimenticare -, nel senso che tra il coach e buona parte della squadra non c’è un feeling cestistico sufficiente per poter viaggiare insieme. L’arrivo di Derrick Rose a stagione ampiamente in corso è stato un segnale fin troppo chiaro in tal senso: per agguantare i playoff meglio un giocatore lontanissimo dal suo top ma che conosce le idee del coach piuttosto che un giovane su cui lavorare in prospettiva (Tyus Jones, tanto per intenderci). Non il segnale migliore per la second unit, peraltro formata da giocatori scelti da Thibodeau in versione presidente della dirigenza. In più, aggiungete che l’ex coach dei Bulls chiede ai suoi giocatori sacrificio, sudore e lacrime senza andare troppo per il sottile e non è semplice entrare in sintonia.

L’azione difensiva decisiva nello scontro diretto con Denver l’ha fatta Gibson, uno dei pretoriani di Thibodeau. Una coincidenza? Crediamo di no.

Che poi, pensandoci bene, paradossalmente la serie con i Rockets è quanto di meglio potesse accadere ai Timberwolves 2017-18, nel senso che ha reso lampante quanta distanza ci sia tra le Big della lega e l’attuale Minnesota, e quanto lavoro serva ancora per colmare questo gap. Un primo turno più “agevole” e magari superato in scioltezza avrebbe mascherato quelli che sono i limiti della squadra. Limiti per molti aspetti fisiologici (si tratta pur sempre del primo anno con Butler), ma che dovranno essere affrontati con più energia e chiarezza già a partire dalla prossima stagione. O almeno così sperano i propri tifosi.

Le prospettive estive

Già: ma come muoversi in questa off-season? All’indomani del ko in Gara-5 contro i Rockets e della conseguente eliminazione dai playoff, si apre ufficialmente l’estate di mercato per Minnie. E non sarà avara di grattacapi per la dirigenza e soprattutto, se non esclusivamente, per Thibodeau.

Riepiloghiamo brevemente la situazione sul fronte salary cap. Wiggins ha firmato l’anno scorso al massimo salariale - che partirà da luglio- perché la dirigenza e la proprietà credevano fortemente e giustamente in lui, ma ad oggi non è un giocatore che fa pesare sul campo quello stipendio sera dopo sera come richiesto alle stelle conclamate. Attaccante già molto versatile ed efficace, Karl-Anthony Towns è certamente oggi un difensore migliore rispetto a quanto fosse ad inizio stagione (anche perché peggiore era difficile, visto che saltava allegramente a ogni finta e aveva evidenti difficoltà a capire dove e come mettersi); tuttavia non siamo ancora neanche vicini al protettore del ferro di cui una squadra ambiziosa ha bisogno. Nonostante ciò è lecito attendersi che i T’Wolves offrano l’estensione al massimo anche per Towns, il cui contratto da rookie è in scadenza nel 2019: secondo Bobby Marks di ESPN, potrebbe essere inserita anche una clausola che incrementi lo stipendio del prodotto di Kentucky nel caso in cui venga inserito nel primo quintetto NBA o venga selezionato dai tifosi per l’All-Star Game - un po’ come accaduto a Joel Embiid che non a caso ha lo stesso agente di Towns, Leon Rose.

In scadenza nel 2019 c’è anche Jimmy Butler. Con Thibodeau in panca è inverosimile pensare che Minnesota non voglia tenersi il suo posto con l’allenatore che più apprezza, ma bisognerà capire se la volontà sarà reciproca. A 30 anni Butler avrà voglia di far parte di un progetto in crescita o al contrario prevarrà il desiderio di trovarsi già in una contender reale?

I Big Three di Minneapolis occupano già ora una fetta considerevole del salary cap ed è destinata ad aumentare ancora, mentre la squadra ha assoluta necessità di migliorare la qualità della panchina. Peraltro già a inizio anno ci chiedevamo se Thibodeau sia davvero un mago della difesa come la sua reputazione costruita negli anni suggerisce, o se al contrario sia un abilissimo motivatore in presenza di caratteristiche già definite: gli indizi raccolti in questa stagione, visto lo scarso miglioramento del gruppo e dei giovani, fanno propendere per la seconda ipotesi. E se le cose stanno così, bisognerà affidarsi a giocatori già rodati ed esperti, già certi di poter dire la loro su un parquet NBA. Tradotto: più costosi. Tirare fuori il vil denaro, insomma, sempre ammesso che basti per prendere giocatori davvero funzionali con i pochi mezzi a disposizione (il monte salari è già oltre il tetto previsto e non è destinato a migliorare, anzi: la proiezione per il 2019-20 è di 160 milioni tassa inclusa).

Visto che i movimenti possibili sono minimi, probabilmente la strada più percorribile per i Timberwolves è quella di lavorare sul materiale umano a disposizione cercando di migliorarlo giorno dopo giorno, allenamento dopo allenamento. Una strada percorsa ad esempio dalla già citata Toronto o da Portland che in questi anni, bloccati dal salary cap e desiderosi di non privarsi delle proprie stelle, sono andati avanti con lo stesso gruppo cercando di far salire tutti di livello come singoli e come squadra. Percorso non semplice, lungo, complesso ma fattibile a patto che coach Thibodeau modifichi le proprie convinzioni sulle rotazioni in stagione regolare, perché non si può migliorare stando esclusivamente in panchina a osservare i titolari.

L’alternativa è quella di accelerare i tempi e sacrificare un pezzo pregiato per dare più profondità al roster. State pensando ad Andrew Wiggins? Eh… Oggi tuttavia sembra lo scenario meno probabile di tutti, sia perché la dirigenza ha puntato fortissimo su di lui - volto franchigia designato insieme a Towns - sia perché i rimpianti futuri potrebbero essere maggiori dei benefici a stretto giro di posta. Tra le mille storie di questa off-season anche a Minneapolis si preannuncia un’estate molto interessante.