I Thunder si aggrappano a Westbrook (46 punti e 10 rimbalzi), ma non riescono nel finale a rimontare anche gara-6, battuti dai Jazz grazie a un travolgente Donovan Mitchell da 38 punti - 22 dei quali arrivati nel solo terzo quarto, quello che ha segnato il match e la serie
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Utah Jazz-Oklahoma City Thunder 96-91
I miracoli succedono una sola volta, nonostante Westbrook abbia provato in tutti i modi a confutare questa tesi. Il n°0 di OKC tenta qualsiasi cosa (come ad esempio 43 tiri dal campo) pur di mantenere in vita i Thunder e la serie, giocando tutto il secondo tempo e caricandosi la squadra e l’intero stato dell’Oklahoma sulle spalle. Non basta però, perché dall’altra parte ha trovato pane per i suoi denti e soprattutto un giocatore esplosivo e voglioso tanto quanto lui: Donovan Mitchell, il protagonista del successo Jazz, in grado di andare oltre le difficoltà date dal prematuro forfait di Ricky Rubio. La point guard spagnola infatti resta sul parquet soltanto per sette minuti, prima di abbandonare le ostilità a causa di un dolore al bicipite femorale. Più spazio dunque a Alec Burks, Royce O’Neale e soprattutto a Jae Crowder nel finale, mentre a mettere punti a referto ci pensa il rookie di Utah. Mitchell in campo sembra avere anni d’esperienza alle spalle, un predestinato in grado di giocare il miglior quarto della sua annata da favola proprio quando i Jazz ne hanno bisogno. I padroni di casa infatti chiudono sul 41-41 il primo tempo, ma a inizio ripresa piazzano il parziale grazie ai 22 punti in soli 12 minuti di Mitchell, che non sbaglia mai quando alza la mano per tirare (un semi-perfetto 8/9 dal campo nella frazione). OKC resta a galla soltanto per una ragione: perché Westbrook dall’altra risponde mettendone 20 nello stesso quarto (unica volta con due giocatori oltre quota 20 in post-season negli ultimi 20 anni), provando a nascondere i tanti difetti dei Thunder con le sue prodezza. Gli ospiti infatti sulla carta non avrebbero chance per pensare di farcela, con un Paul George da cinque punti, 2/16 al tiro e 0/6 dall’arco, a cui si aggiungono i sette punti in 27 minuti di Carmelo Anthony, che trascorre le fasi decisive del match in panchina a guardare gli altri. Dovevano essere i nuovi Big Three, ma di grande è rimasto il solo Westbrook, come al solito ultimo a mollare e autore di 46 punti, dieci rimbalzi e cinque assist con 18/43 al tiro e 7/19 dall’arco. Cifre enormi, come lo sforzo fatto in un secondo tempo in cui è stato l’unico a volersi prendere delle responsabilità. Nessuno nella storia dei playoff aveva chiuso con almeno 45 punti a referto in tre elimination game consecutivi. Peccato che non siano mai serviti a passare il turno.
Mitchell, una serie playoff da incorniciare
I Jazz si godono quindi un passaggio al secondo turno che anche in gara-6 stava per complicarsi non poco. Utah infatti va sotto a rimbalzo nel finale, concedendo ben quattro extra-possessi a OKC nel giro di 30 secondi o poco più, a cavallo dell’ultimo minuto di gioco. Un tiro al bersaglio, con Steven Adams (il migliore dei comprimari: 19 punti, 16 rimbalzi, 9/11 al tiro) abile più volte a spazzare i rimbalzi d’attacco verso il perimetro, dove a raccoglierli c’è soprattutto Westbrook. I Thunder però non trovano mai il fondo della retina, neanche quando a pochi secondi dal termine il tentativo di George viene ostacolato da un salto sospetto di Rudy Gobert. Gli ospiti sono sotto di tre punti e quei tre tiri liberi farebbero molto comodo, ma per gli arbitri non è fallo e i Jazz possono così chiudere i conti dalla lunetta. Alla sirena finale sono 38 punti per Mitchell, con 14/26 dal campo e cinque triple, diventando così il terzo rookie negli ultimi 35 anni a realizzare più di un trentello in una singola serie (nel suo caso, la prima), eguagliando Alonzo Mourning (due al primo turno playoff del 1993) e Michael Jordan (due sempre al primo turno nel 1985). La terza partita oltre quota 30 punti firmata da un rookie dei Jazz, dopo l’unica di Karl Malone datata 1986; l’exploit finale di una serie chiusa con 171 punti nelle sue prime sei gare playoff. All’esordio fecero meglio di lui soltanto Lew Alcindor nel 1970 (216 punti) e Wilt Chamberlain nel 1960 (199). Una discreta compagnia di cui poter far vanto.