Durante un viaggio in lunetta della stella dei Sixers, il pubblico di Boston ha intonato il coro “Not a Rookie” nei confronti di Simmons, sostenendo invece Jayson Tatum. Il principale avversario dell’australiano per il premio del rookie dell’anno, Donovan Mitchell, ha apprezzato ridendosela su Twitter
I tifosi di Boston, si sa, sono tra i più fantasiosi quando c’è da far perdere i nervi agli avversari con cori e insulti dagli spalti. Nel caso di Ben Simmons, però, hanno spostato un po’ più alto l’asticella della fantasia. Durante un viaggio in lunetta del numero 25 dei Philadelphia 76ers, il pubblico del TD Garden ha iniziato a cantare “Not a Rookie” (non sei un rookie) al probabile candidato al premio di rookie dell’anno. Non contenti, ogni volta che il loro rookie Jayson Tatum si è presentato in lunetta — e lo ha fatto spesso, chiudendo con 10/11 ai liberi per 28 punti finali, il primo rookie della storia dei Celtics a segnarne così tanti in una partita di playoff dai tempi di Larry Bird — hanno cantato “He’s a Rookie” sulla stessa melodia utilizzata per Simmons, sottolineando la differenza. Non è chiaro se poi questi cori abbiano avuto un effetto sull’australiano dei Sixers, che ha chiuso la sua gara con 18 punti, 7 rimbalzi e 6 assist ma anche con 7 palle perse, faticando come tutti i suoi compagni contro la difesa dei biancoverdi e l’atmosfera del Garden. Quello che è certo è che a Houston c’è un rookie che di sicuro ha apprezzato quanto escogitato dal pubblico di Boston, vale a dire Donovan Mitchell. La giovane stella degli Utah Jazz, promotore insieme al suo sponsor tecnico della “campagna” anti-Simmons — accusato di essere in realtà al secondo anno in NBA, pur avendo saltato la prima stagione per infortunio — quando ha visto quello che stava succedendo non ha potuto fare a meno di twittare quattro emoji che ridono dal suo attivissimo account. Una querelle che va avanti da tempo ormai e che non verrà risolta fino a quando il premio non verrà assegnato a uno dei due — o forse magari no, perché in fondo anche queste storie, se prese con il sorriso e non con troppa serietà, aiutano a rendere la NBA il campionato straordinario che è.