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NBA: si ritira Nick Collison, l’ultima bandiera dei Supersonics rimasta a OKC

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Il lungo dei Thunder, scelto nel 2003 da Seattle, a 37 anni ha deciso di chiudere qui la sua carriera; uno dei pochissimi giocatori NBA a trascorrere ben 15 stagioni sempre con la stessa franchigia: “Orgoglioso della mia carriera”

Un altro pezzo di storia NBA ha deciso di dire basta, a 37 anni ha capito di essere arrivato al capolinea. Nick Collison, lungo dei Seattle Supersonics prima e degli Oklahoma City Thunder poi, ha annunciato che la gara-6 contro gli Utah Jazz è stata la sua ultima partita (che ha visto per intero dalla panchina come spesso gli è successo nella stagione appena terminata). Dopo 15 anni trascorsi sempre con la stessa squadra (e con due maglie, visto il trasferimento della franchigia), dice addio anche l’ultimo giocatore in casa Thunder ad essere sceso sul parquet alla KeyArena difendendo i colori dei Sonics. Nella lega adesso restano soltanto due giocatori ad aver indossato la maglia della mitica squadra di Seattle: Kevin Durant e Jeff Green; alcuni dei componenti di quel gruppo magnifico e acerbo che nel 2012 riuscì ad arrivare fino alle Finals, pagando poi l’immaturità contro un avversario come i Miami Heat. Una finale persa contro LeBron James, anche lui della classe del Draft del 2003; la stessa nella quale i Sonics chiamarono alla n°12 proprio Collison. In un lungo e accorato articolo pubblicato su ESPN, lo storico capitano dei Thunder ripercorre la sua carriera, tutti i traguardi raggiunti, riuscendo con invidiabile semplicità a raccontarsi e a sintetizzare le sue esperienze e il senso di gratitudine: “Ho iniziato ad allenarmi in alcune fredde palestre dell’Iowa per ritrovarmi poi a giocare più di 1000 gare in 15 anni nella lega più importante del mondo. È stata una cavalcata incredibile, sono orgoglioso della mia carriera”. Difficile dargli torto, nonostante nell’ultimo biennio il suo utilizzo fosse ormai ridotto al minimo. Ai playoff ha fatto soltanto da spettatore, mentre in regular season non ha mai superato i nove minuti di utilizzo (contro i Knicks lo scorso dicembre). Sì, una chioccia e un riferimento più che un vero e proprio giocatore aggiunto su cui contare in rotazione, anche se l’ultima soddisfazione se l’è tolta contro gli Spurs; avversari con cui spesso ha battagliato in post-season: sette punti in sei minuti (massimo stagionale) e vittoria OKC. Come spesso successo in passato.

Gli anni con Westbrook, Durant e Harden

Inevitabile poi che il discorso tornasse sul periodo d’oro trascorso a Oklahoma City, quando il Draft sul fine del primo decennio del 2000 ha sempre sorriso ai Thunder permettendogli di costruire una super corazzata: “Quando siamo arrivati a Oklahoma City non avevamo neanche il campo d’allenamento, abbiamo vinto soltanto 29 gare il primo anno. Il secondo se possibile sembrava essere avviato per andare peggio: siamo partiti con un record di 3-29 e si faceva ironia sul fatto che potessimo diventare la peggior squadra della storia NBA. Io invece sapevo che la situazione era diversa: avevo visto come stava crescendo e maturando Kevin Durant. Russell Westbrook invece schiacciava ancora qualsiasi pallone gli capitasse per le mani, ma si vedeva che era un All-Star. James Harden era l’ultima scelta arrivata, ma sapeva già cosa fare. C’era anche un nuovo ragazzo sotto canestro, Serge Ibaka, che parlava una lingua difficilmente accostabile all’inglese, ma aveva un atletismo fuori dal comune”. Tanta nostalgia e nessun rancore: “Amo KD, mi manca. Così come ho giocato il mio miglior basket al fianco di Harden. La mia speranza era quella di poter trascorrere più tempo sul parquet con loro. Mi sento come un orgoglioso fratello maggiore che guarda Westbrook crescere e diventare l’uomo e il giocatore che tutti possiamo vedere”. Collison entra così di diritto nell’olimpo delle bandiere NBA, dietro soltanto a otto storici giocatori che hanno trascorso più anni di lui sempre nella stessa squadra. Un esempio, come sottolineato dallo stesso Durant: “È stato il professionista che mi ha insegnato a prendermi cura del mio corpo, a capire cosa volesse dire dedicare la propria vita al basket. Quando difesi la scelta fatta dai Thunder nel rinnovare il suo contratto era perché tutti ci rendevamo conto di quanto valesse la sua presenza in spogliatoio. Non tutti sono destinati a prendersi le luci della ribalta, ma non per questo bisogna credere che siano meno importanti per la crescita di un squadra”.