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NBA, quanto lavoro per Masai Ujiri: dieci candidati per la panchina dei Toronto Raptors

NBA
Becky Hammon, Jerry Stackhouse, Ettore Messina, Nick Nurse e Mike Budenholzer: solo alcuni dei nomi possibili per la panchina di Toronto (foto Getty)
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Dopo il licenziamento di coach Casey, il GM Masai Ujiri si troverà per la prima volta in carriera a dover scegliere un capo-allenatore. Tra i tanti nomi a disposizione, sono tre le strade possibili: un ex allenatore, un esordiente o la soluzione interna di un assistente. Ci sarà una chance per Ettore Messina?

Per quanto possa sembrare strano, nella sua carriera a capo delle dirigenze di Denver e Toronto il General Manager Masai Ujiri non ha mai scelto un capo-allenatore per le sue squadre. Ai Nuggets, infatti, aveva già trovato George Karl quando ha preso in mano la dirigenza nel 2010 e se ne è andato insieme a lui tre anni dopo, accettando il posto ai Raptors dove decise di non togliere la guida tecnica della squadra a Dwane Casey. Ujiri avrebbe potuto decidere di licenziare il coach e scegliere un allenatore di sua fiducia almeno altre due volte, nel 2015 dopo l’eliminazione per 0-4 contro gli Washington Wizards e un anno fa dopo il primo “cappotto” contro i Cleveland Cavaliers. Entrambe le volte però ha resistito alla tentazione, scegliendo la via “conservativa” e fidandosi della capacità di Casey nel far crescere internamente il talento a disposizione. Cosa che peraltro è riuscita bene all’allenatore più vincente della storia dei Raptors, guidando la squadra al record di 59 vittorie e il primo posto nella Eastern Conference in regular season. La seconda debacle consecutiva ai playoff, però, non ha salvato il suo posto di lavoro nonostante l’apprezzamento umano e personale che tutti gli hanno tributato a partire dallo stesso GM, il quale ha dichiarato apertamente che licenziare Casey è stata “la cosa pi ù difficile che io abbia fatto nella mia vita” e di “non aver mai incontrato una persona di così tanta classe”, aggiungendo che “onestamente non so se lavorerò mai con una persona migliore di lui”. Le qualità umane però non cancellano i difetti di Casey nella gestione delle partite, negli aggiustamenti ai singoli avversari e nell’esecuzione nei finali di gara: il compito di Ujiri, che si è assunto tutte le responsabilità in una conferenza stampa in cui è stato molto vago sul profilo del suo candidato ideale, sarà quello di trovare un allenatore in grado di far superare questi storici problemi evidenziati dai Raptors ai playoff. Le soluzioni sul suo tavolo sono molteplici: ecco dieci nomi divisi per categorie che possono fare al caso del GM per la panchina dei Toronto Raptors.

Gli ex capo-allenatori: Mike Budenholzer in pole position?

Nelle ore immediatamente successive al licenziamento di Casey il nome che è rimbalzato più insistentemente è quello di Mike Budenholzer. L’ex allenatore degli Atlanta Hawks è probabilmente il coach con il curriculum di maggior successo tra quelli rimasti senza squadra: oltre a essere stato assistente allenatore di Gregg Popovich per 17 stagioni, coach Bud ha guidato gli Hawks alla miglior stagione della loro storia, vincendo 60 partite nel 2014-15 e il titolo di allenatore dell’anno. Esattamente come Casey, però, la sua corsa si è interrotta bruscamente davanti a LeBron James in finale di conference, e Budenholzer nei suoi anni da capo-allenatore ha mostrato pregi (la capacità di creare un sistema) e difetti (una certa lentezza a fare aggiustamenti ai playoff) simili a quelli del suo predecessore – il che potrebbe essere un punto a favore oppure uno a sfavore, in base a quanto Ujiri riterrà necessario un cambiamento netto alla guida tecnica della squadra.

Tra gli allenatori recentemente rimasti senza panchina c’è il nome di Steve Clifford, coach sicuramente solido e in grado di guidare una franchigia, ma che nei suoi anni a Charlotte spesso ha avuto risultati peggiori rispetto a quelli che sarebbe stato lecito attendersi in base alle performance della squadra, senza mai superare il primo turno di playoff. È recentemente rimasto senza panchina anche Stan Van Gundy, che contrariamente a quanto dichiarato in passato si è detto “disponibile a una nuova opportunità se la situazione fosse ideale”, poiché a suo modo di vedere non ha lasciato la NBA nel modo in cui si sarebbe immaginato. Non è da scartare a priori anche la possibilità di suo fratello Jeff, che è tornato nel giro allenando la nazionale statunitense in competizioni minori, ma sembra improbabile che voglia abbandonare il suo posto da commentatore per ABC/ESPN. Tra i soliti nomi, occhio anche alla possibilità di David Blatt, che ha lasciato il Darussafaka proprio per cercare una nuova opportunità in NBA. Tra gli altri che possono essere considerati: Monty Williams, Frank Vogel, Lionel Hollins, Mark Jackson e Jeff Bzdelik.

Gli esordienti: Ettore Messina per proseguire l’Italian Connection

Quello che rende il mercato degli allenatori particolarmente interessante in questa stagione è che circolano nomi molto interessanti anche tra quelli che non hanno mai avuto la possibilità di allenare nella NBA da capo-allenatori. Dopo le assunzioni di James Borrego a Charlotte, Lloyd Pierce ad Atlanta e Igor Kokoskov a Phoenix, sono diverse le squadre che hanno pescato tra gli assistenti allenatori per trovare il loro uomo di fiducia. Ma se invece di un uomo la scelta di Ujiri ricadesse su una donna, vale a dire Becky Hammon? Il suo colloquio con Milwaukee ha fatto alzare più di un sopracciglio, sia nel bene che nel male, tanto che Pau Gasol si è prodigato in prima persona per sostenerne la candidatura.

Il fatto, però, è che la Hammon non ha neanche esperienza come prima assistente di un allenatore in NBA, cosa che invece Ettore Messina – oltre a possedere un curriculum di assoluto rilievo al di fuori della NBA – può legittimamente dire di avere dopo quattro anni al fianco di Gregg Popovich a San Antonio. In una franchigia dal respiro internazionale come i Raptors che in passato hanno già avuto esperienze con italiani come Maurizio Gherardini, Andrea Bargnani e Marco Belinelli, quella di Messina sarebbe una figura in linea con le ambizioni e le necessità di Toronto.

Un altro nome da tenere d’occhio è quello di Jarron Collins, assistente allenatore in grande ascesa tra le fila dei Golden State Warriors. Le referenze di alto livello non mancano – recentemente è stato descritto come un “intellettuale di pallacanestro che ama la risoluzione creativa dei problemi”, anche se non è l’assistente più visibile sulla panchina dei campioni in carica. Tra gli altri possibili candidati: Adrian Griffin, Ime Udoka, Chris Finch, Jay Larranaga, Stephen Silas e Nate Tibbetts.

La soluzione interna: tre assistenti pronti per la promozione

A rendere (se possibile) ancora più complicata la scelta di Ujiri c’è il fatto che la panchina dei Raptors è piena di ottimi assistenti sui quali le altre squadre hanno già cominciato a mettere gli occhi. Quello più in vista è probabilmente Nick Nurse, che in passato ha vinto per due volte il titolo della D-League e quello di allenatore dell’anno nella lega di sviluppo, oltre ad aver avuto una grossa influenza nel processo di ridefinizione dell’attacco dei Raptors in questa stagione. Sono già diversi anni che il suo nome circola tra quelli degli allenatori da tenere sott’occhio, e non è chiaro se con un altro capo-allenatore potrebbe continuare a fare da assistente.

Stesso discorso si può fare per Jerry Stackhouse, che oltre ad essersi costruito un ottimo curriculum in G-League (titolo e premio di allenatore dell’anno alla sua prima stagione, finale nel secondo anno) ha anche dalla sua parte una carriera NBA di assoluto rispetto da poter far “pesare” ai giocatori più giovani che di certo ancora se lo ricordano. Molti dicono che i miglioramenti fatti dai giovani del roster (Fred VanVleet, Delon Wright, Norman Powell, Pascal Siakam e Jakob Poeltl) siano dovuti al lavoro di sviluppo fatto con lui. Da non dimenticare anche Rex Kalamian, coordinatore difensivo della squadra di Casey e in giro ormai da molto tempo (cinque squadre in 14 stagioni). Messi sul tavolo i curriculum dei candidati, ora sta a Masai Ujiri scegliere il nome giusto in grado di far fare quel salto di qualità che Dwane Casey, per un motivo o per un altro, non è mai riuscito a fare ai playoff.