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NBA, tutti pazzi per Marcus Smart: anima e cuore dei Celtics "operai"

NBA

"Fa sempre le giocate giuste al momento giusto", le parole di LeBron James sulla guardia dei Celtics, la cui mostruosa intensità è stata decisiva nella vittoria in gara-2 contro Cleveland. "Mi è stato insegnato a giocare così, non conosco un'altra maniera", spiega lui

Un boxscore non dice mai nulla. Tanto meno se riguarda Marcus Smart, l’uomo sulla bocca di tutti dopo il trionfo anche in gara-2 dei Celtics, ora sopra 2-0 nella serie di finale a Est contro Cleveland. Perché le cifre del n°36 biancoverde parlano di “solo” 11 punti, con un rivedibile 3/9 al tiro, anche se poi a grattare sotto la superficie si scoprono anche 9 assist, 5 rimbalzi e 4 recuperi in 31 minuti di campo. Ma anche così le cifre collezionate da Smart non riescono davvero a misurare tutto il suo impatto: “Faccio quelle piccole cose che nessun altro vuole fare – racconta lui – è come sono stato cresciuto. Non voglio che nulla mi sia regalato, voglio conquistarmi tutto sul campo. Ho passato talmente tanti momenti difficili nella mia vita che quello che dicono gli altri di me non può interessarmi meno” (e un momentaccio Smart lo sta vivendo anche in questi giorni, con la madre malata di tumore che ha chiesto pubblicamente al figlio di concentrarsi sul suo lavoro - e i playoff con i Celtics - e non sulla sua malattia). Le voci che lo riguardano non lo condizionano di sicuro nel male ma probabilmente neppure nel bene, oggi che tutti – dai suoi compagni, ai suoi allenatori fino agli avversari – non fanno altro che tessere le lodi del prodotto di Oklahoma State, scelto con la n°6 da Boston al Draft del 2014. “Probabilmente è nato già con le mani sporche”, dice Jaylen Brown, fotografando in maniera originale e azzeccata l’approccio operaio e combattivo del suo compagno di squadra. “Sono soltanto felice di averlo in squadra con me. Oggi come squadra abbiamo messo in campo uno sforzo davvero notevole e do il merito a Smart di aver portato in campo quel livello di intensità e durezza che non ci fa mai mancare”. Coach Stevens è d’accordo con Brown su un punto: “Siamo davvero felici che sia dei nostri, e non un avversario. È un competitore nato e pareggia la sua intensità con un’analoga durezza fisica”. Se ne sono accorti anche a Cleveland, da dove arrivano complimenti importanti. Su tutti quelli di LeBron James: “Penso che Marcus faccia sempre le giocate giuste al momento giusto”, il parere del “Re”, che riconosce alla guardia dei Celtics la capacità di giocare più posizioni in campo (nonostante una taglia ridotta) ma anche di creare gioco per i suoi compagni. “Fa giocate vincenti, da giocatore vincente qual è”, il parere di coach Tyronn Lue. “Fa giocate da duro: se c’è una palla vagante è sua; se c’è un rimbalzo lungo, ci si butta lui. Dobbiamo trovare qualcuno in grado di pareggiare l’intensità che porta in campo”.

La crescita personale: Smart si è fatto da solo

Non è un caso che anche nel momento più “caldo” di gara-2 – con il brutto fallo di J.R. Smith, autore di una spinta maliziosa su Al Horford – a giungere per primo in difesa del suo compagno andando faccia a faccia contro la guardia dei Cavs è stato proprio Smart: “Uno dei miei compagni era giù a terra, l’ho presa come un’offesa personale”, il suo semplice commento al riguardo. Per uno che gioca sempre a un livello di intensità massimo, una reazione assolutamente naturale: “Ogni partita che passa, ogni turno che giochiamo il livello sale ma se parliamo di intensità io sono sempre al massimo: gioco sempre ogni gara come se fosse una sfida di playoff, è il modo in cui mi è stato insegnato a giocare. Certo, nella postseason l’intensità della sfida sale, i giocatori sono al meglio e le squadre giocano la loro pallacanestro migliore. Ma questo è esattamente quello che vuoi, se ami la competizione: sono i momenti che aspetti per tutta la vita”. Come queste sfide di playoff 2018 contro Cleveland, dopo che i Cavs hanno segnato il suo debutto nella postseason NBA nel 2015 (un secco 4-0) e poi ancora l’anno scorso (4-1): “Ma non penso che loro abbiano in nessun modo influenzato la mia carriera. Io sono l’unica persona che ha influenzato il mio percorso: ho lavorato duro, per anni, non lascio che nessun altro possa influenzare o definire la mia carriera nel basket”. Una carriera che sembra avere i giorni migliori davanti: “Oggi sono più intelligente, ho più esperienza, mi sento più a mio agio quando sono in campo. Ho semplicemente più familiarità col gioco, e maggior fiducia in me”. E se ne sono accorti in tanti.