NBA, bufera su Bryan Colangelo: cinque account fake su Twitter per criticare Embiid e i Sixers?
NBAUna lunga inchiesta di The Ringer ha fatto emergere le curiose coincidenze di cinque account Twitter riconducibili al presidente dei 76ers, tutti schierati a difesa del suo operato e critici nei confronti di vari personaggi del mondo NBA. Tra questi c'è Joel Embiid, che su Twitter ha detto di non credere alla storia ma ha anche aggiunto: "Se fosse vera, sarebbe davvero una brutta cosa". I Sixers hanno cominciato un'investigazione indipendente
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È proprio il caso di dirlo: la NBA è una lega che non si ferma mai, neanche quando ci sono solamente due giorni senza partite. All’anti-vigilia di gara-1 delle NBA Finals, ecco emergere una lunghissima e clamorosa inchiesta che mette in cattiva luce Bryan Colangelo, presidente delle basketball operations dei Philadelphia 76ers. La storia raccontata da The Ringer dal titolo “The Curious Case of Bryan Colangelo and the Secret Twitter Account” è la seguente: il due volte Dirigente dell’Anno della NBA avrebbe ben cinque account fake su Twitter con i quali, nel corso degli ultimi due anni, avrebbe più volte criticato giocatori NBA quali Joel Embiid, Jahlil Okafor e Nerlens Noel; messo in discussione il coaching staff dei Sixers, così come l’operato dell’ex GM Sam Hinkie e del presidente dei Toronto Raptors Masai Ujiri; anticipato di un mese lo scambio con cui i Sixers hanno poi acquisito Markelle Fultz; e infine diffuso notizie non note al pubblico sulle condizioni fisiche di Okafor, gossip sulle frequentazioni di Embiid e Fultz e richieste di domande “scomode” da fare ai Sixers scritte a vari membri dei media nazionali e locali. Il tutto con l’obiettivo principale di difendere la sua reputazione e mettere in cattiva luce l’operato degli altri, di fatto prendendo le difese di se stesso dietro la schermatura dell’anonimato (come fatto a suo tempo da Kevin Durant con i suoi famosi “burner account”). Sulla vicenda raccontata da The Ringer il presidente dei Sixers ha ammesso di essere proprietario solamente di un account tra quelli citati nella storia, con il quale però non è mai stato twittato nulla né condiviso niente di compromettente: “Come molti altri miei colleghi, uso i social media come un mezzo per rimanere aggiornato sulle notizie. Anche se non ho mai postato niente sui social media, ho usato l’account Twitter @Phila1234567 menzionato nell’articolo per tenere d’occhio quello che succedeva nel mondo. La storia è disturbante per me su molti livelli, dato che non sono familiare con nessuno degli altri account che sono stati portati alla mia attenzione, né so chi ci sia dietro o quali siano le motivazioni che li spingano ad utilizzarli”. La franchigia, nel frattempo, ha comunicato che ha cominciato un'investigazione indipendente sulla vicenda, comunicando i risultati appena verrà conclusa.
La risposta di Embiid: "Sam Hinkie è più intelligente di te"
Le reazioni a quanto successo ovviamente non sono mancate da più parti: il noto giornalista di ESPN Adrian Wojnarowski ha scritto sul suo seguitissimo account Twitter che “forse c’è una persona esperta di informatica che può dimostrare che non si trattava di Colangelo, ma uno dei problemi più grandi nello smentire la storia di The Ringer è che quei tweet [dagli account fake] riflettono non solo affari privati della squadra, ma anche lamentele personali/gelosie/frustrazioni condivise dentro e fuori dai 76ers”. Come a dire: magari gli account non sono suoi, ma le cose che ha scritto sono vere. E se così fosse, sarebbe davvero un bel guaio, perché ci sono critiche molto pesanti soprattutto nei confronti di Joel Embiid, che ovviamente non ha mancato di dire la sua. L’attivissimo centro dei Sixers ha colto la palla al balzo per divertirsi un po’ sui social, prima twittando la sua faccia inespressiva nella notte del Draft, poi scrivendo come se fosse da un account fake “Joel mi ha detto che @SamHinkie È MEGLIO E PIÙ INTELLIGENTE DI TE @AlVic40117560 [uno dei supposti account di Colangelo]” e infine, rispondendo a una proposta di C.J. McCollum di raggiungerlo a Portland, ha scritto solo “Lmao CJ… bisogna solo fidarsi”. Dopo qualche ora, però, Embiid ha twittato rassicurando tutti: “Serata divertente su Twitter… Scherzi a parte, non credo a quella storia. Sarebbe troppo fuori di testa”. Parole che fanno il paio con quelle dette a Wojnarowski qualche ora prima: “Ho parlato con Colangelo e mi ha detto che non erano parole sue. Mi ha chiamato apposta per smentire quella storia. Bisogna credergli fino a quando non viene dimostrato il contrario”. Uno segno che qualcosa però potrebbe essersi rotto c’è, sotto forma di un’ultima frase sibillina: “Detto questo, se fosse vero sarebbe davvero una brutta cosa”.
Come una spy-story: le coincidenze dei cinque account
Ma quali sono le prove che hanno portato il giornalista Ben Detrick a scrivere quelle accuse contro il presidente dei 76ers? Tutto è cominciato con un informatore anonimo che ha contattato l’autore del pezzo su Twitter e Instagram dicendogli che cinque account erano balzati alla sua attenzione per l’incredibile somiglianza tra i follow, gli argomenti trattati, le parole utilizzate e persino per gli insulti o le “fisse” ricorrenti, come quelle contro le barbe o le “fonti sconosciute”. Questi cinque account erano il già citato e silente @Phila1234567, ammesso dallo stesso Colangelo, più altri quattro: Eric jr (@AlVic40117560, attivo dall’aprile 2016 al maggio 2017), HonestAbe (@Honesta34197118) e Enoughunkownsources (@Enoughunkownso1, questi ultimi due attivi negli ultimi cinque mesi) e infine Still Balling (@s_bonhams), attivo fino alla scorsa settimana.
Circa una settimana fa, il 22 maggio, il giornalista di The Ringer ha chiesto via email a un rappresentante dei Sixers se due di questi – @Phila1234567 e Eric jr – appartenessero a Colangelo, senza fare menzione degli altri tre. Quando la richiesta è stata riferita al presidente (e solamente a lui senza farne menzione ad altri), curiosamente tutti e tre gli account non menzionati sono passati da “pubblici” a “privati”, rendendoli di fatto offline, tra cui uno (HonestAbe) che non era attivo da dicembre e un altro (Still Balling) che da quel 22 maggio non ha più twittato nulla, pur essendo stato attivo nei giorni precedenti e nella mattina stessa prima di quelle email. Quest’ultimo account, poi, ha smesso di seguire 37 personaggi riconducibili a Colangelo, tra cui diversi compagni di squadra del figlio Mattia a University of Chicago, un ex allenatore del figlio al liceo e un account con lo stesso nome di Warren LeGarie, noto agente del mondo NBA e rappresentante dello stesso Colangelo in passato. Quando il rappresentante dei Sixers ha risposto, Colangelo come detto ha ammesso l’utilizzo dell’account “silente” ma ha negato quello di Eric jr, il quale curiosamente è stato creato nell'aprile 2016 (appena prima dell'assunzione di Colangelo a presidente dei Sixers), ha come descrizione "Basketball lifer" e come posizione ha "South Philly", ovvero dove sorge il Wells Fargo Center all'interno del quale giocano i Sixers.
Le curiosità però non finiscono qui: come scritto dalla fonte anonima del pezzo – conviene ricordare che circa un anno fa sempre su The Ringer era stato pubblicato un articolo dal titolo “Hide The Process” sulle scritte in favore di Sam Hinkie sparse in tutta il nuovissimo campo d’allenamento della squadra – “tutti i cinque account hanno dei pattern di like, follow e tweet che sono STRAORDINARIAMENTE simili”, come ad esempio le persone seguite. Tutti gli account sembrano avere gli stessi interessi, che fanno riferimento principalmente ai Philadelphia 76ers e ai Toronto Raptors, le ultime due squadre della carriera di Colangelo. Tutti infatti seguono giocatori dei Sixers, membri della dirigenza di Philly, giornalisti che seguono la squadra, scrittori di Toronto, personaggi della scena cestistica liceale canadese e dell’università di Chicago; inoltre, tutti sembrano avere gli stessi argomenti di cui parlare, usano frasi incredibilmente simili e a volte hanno twittato le stesse identiche immagini. Secondo la fonte, i tre account più recenti hanno ben 75 account in comune, circa la metà dei loro follow totali, mentre altri 52 sono seguiti da due dei tre. Un'altra coincidenza strana? Se si prova a resettare la password di tre account, il numero di telefono a cui fare riferimento finisce sempre per 91...
I dirigenti presi di mira: quei tweet contro Hinkie e Ujiri
Una volta trovate le somiglianze, il giornalista è passato a setacciare anche cosa è stato scritto da quegli account, che avevano come minimo comun denominatore un’assoluta fedeltà e difesa dell’operato di Colangelo, spesso denigrando o criticando chiunque altro. Due dei suoi obiettivi, in particolare, sono due colleghi, Sam Hinkie e Masai Ujiri. Il primo negli ultimi anni dopo le sue dimissioni è diventato una figura di culto sia nella NBA quanto soprattutto nella tifoseria dei Sixers, che lo ha fatto diventare un martire del Process. La frustrazione nei confronti dell’ex GM ancora così osannato da tutti è ben presente nei tweet degli account (ed è stata confermata implicitamente anche dai tweet di Wojnarowski), tanto da sostenere che Ben Simmons non sarebbe andato a Philadelphia se Colangelo non fosse stato assunto come GM, che i blogger dei Sixers erano tutti schierati dalla parte di Hinkie. “È divertente come tutti si ricordino della sua lettera di dimissioni paragrafo per paragrafo” ha twittato una volta da uno dei suoi account, facendo riferimento alla famosa lettera di 13 pagine scritta da Hinkie. “Io non ho mai superato neanche la prima pagina”. Un’altra volta, poi, ha accusato i giornalisti di celebrare troppo l’eredità dell’ex GM (“Non ho alcun rispetto per il martirio di Hinkie perché è stato orchestrato da lui dietro le quinte attraverso tutti i blogger che ha coltivato passandogli le notizie”) e in un’altra ha criticato l’idea che fosse tutto merito di Hinkie, prendendoseli al suo posto: “BC [Bryan Colangelo] non ha fatto nient’altro che ripulire il casino lasciato da Hinkie. Lui ha preso dei grandi pezzi, ma non era in grado di mettere assieme il puzzle”.
Un altro dei personaggi presi di mira dagli account è Masai Ujiri, successore di Colangelo a capo della dirigenza dei Toronto Raptors nel 2013 (dopo aver lavorato per lui dal 2008 al 2010) e responsabile della grande crescita della franchigia canadese negli ultimi anni. “Niente sembra mai essere responsabilità di Ujiri. Perché?” si chiedeva Eric Jr rispondendo a un pezzo su una brutta sconfitta dei Raptors. Un’altra volta sosteneva che Toronto stesse avendo successo per i giocatori portati in città da Colangelo, come Kyle Lowry e DeMar DeRozan, ma che stessero crollando perché “non è stato fatto nulla per renderli una squadra migliore”. A seguito del rinnovo del contratto di Ujiri, poi, uno degli account ha scritto “È stato rifirmato per oltre 30 milioni di dollari quest’estate, perciò per favore Masai fai qualcosa!”.
Altri dettagli rivelati nel pezzo raccontano di strane coincidenze di tweet pubblicati in luoghi nei quali si trovava fisicamente il dirigente dei Sixers, come una partita dell’affiliata di G-League. In un’altra occasione, invece, rispose in maniera colorita all’attrice Gabrielle Union citando un vecchio episodio alle Olimpiadi di Pechino in cui lei e suo marito Dwyane Wade trattarono male un ragazzino che chiedeva un autografo, aneddoto che probabilmente solo un dirigente di Team USA come Colangelo al tempo era poteva conoscere ma che è stato smentito sia dall’attrice che dalla stella dei Miami Heat. Ancora più incredibilmente: in un’occasione in cui difese strenuamente l’operato della sua dirigenza, un altro utente gli rispose chiedendogli ironicamente “Bryan, sei forse tu?”, al cui l’account rispose “No – ma grazie per il complimento! Ha troppa classe per abbassarsi a una cosa del genere. Ho lavorato con lui: è un uomo di classe”. Un’altra volta, invece, mise un like a un tweet che pochi giorni dopo la Lottery del 2017 suggeriva di spedire la terza scelta assoluta (poi diventata Jayson Tatum) e un’altra scelta ai Boston Celtics in cambio della 1 ma senza inserire Dario Saric, come poi effettivamente fatto dai Sixers un mese dopo.
Le critiche contro i giocatori: nel mirino Embiid, Fultz, Okafor e Noel
I tweet più preoccupanti però, nonché quelli con maggiori possibili ripercussioni, sono quelli scritti contro i giocatori dei Sixers presenti o passati come Joel Embiid, Markelle Fultz, Jahlil Okafor e Nerlens Noel. L’attuale giocatore franchigia, in particolare, è stato oggetto di un “voltafaccia” abbastanza particolare: per lungo tempo gli account lo hanno sostenuto nella sua candidatura al premio di rookie dell’anno, ma attorno all’All-Star Game del 2017 le critiche hanno cominciato a prendere il sopravvento, in particolare dopo che secondo lui il centro aveva nascosto un infortunio ai Sixers: “Joel, sei solo un ragazzino. Perché non hai detto ai medici che ti eri fatto male alle ginocchia prima di Houston? Ci sei costato 9 partite e anche i playoff”.
A scatenare le ire degli account è stato però l’episodio in cui Embiid, infortunato, venne immortalato senza maglietta a ballare sul palco al concerto di Meek Mill. “Peccato che Embiid si sia messo a ballare come uno scemo e sia successo un disastro. La prossima volta magari ci penserà due volte a prendere in giro la sua squadra”. “Se fossi nella dirigenza salirei su una scala e gli romperei il c**o” ha scritto con un altro account, scrivendo poi a un giornalista che “qualcuno dovrebbe ritenerlo responsabile per quanto successo, ma nessuno ha il coraggio di farlo”. Con Ben Simmons sempre più centrale per il successo dei Sixers, poi, le critiche verso Embiid (auto-nominatosi The Process, cosa malvista dal capo della dirigenza di Phila) sono salite di numero: “Sono un tifoso di Philly, ma scambierei Embiid con Porzingis senza neanche pensarci. È un giocatore molto più intelligente” ha scritto in un’occasione, mentre in un’altra ha commentato un video di un fallo commesso dal centro scrivendo “Sono sicuro che per lui sia difficile ‘processare’ il fatto che questa sia la squadra di Ben ora. È per questo che si comporta da pagliaccio: il suo ego ci sta costando carissimo!”.
Non solo Embiid è stato preso di mira dagli account fake: anche Markelle Fultz, la grande scelta con la quale Colangelo ha voluto lasciare la “sua” impronta sulla costruzione dei Sixers, è stato oggetto di frustrazione. O, per meglio dire, lo è stato Keith Williams, l’amico di famiglia e allenatore personale ritenuto responsabile per il misterioso infortunio alla spalla che ha fatto deragliare la stagione da rookie del prodotto di Washington. “Il cosiddetto mentore lo ha costretto a cambiare meccanica di tiro: ci sono in giro dei video in cui lo faceva tirare da una sedia, o con la schiena a terra. Lo ha rovinato”. In un’altra occasione, poi, l’account Still Balling ha accusato coach Brett Brown di aver tenuto in panchina Fultz “per avere un alibi per spiegare le sconfitte.
Ancora più disturbanti però sono le parole scritte per difendere i due scambi che hanno portato Jahlil Okafor e Nerlens Noel lontani da Philadelphia. Per diverse volte infatti gli account hanno sostenuto una cosa che non è stata riportata da nessuno, ovverosia che Okafor fosse effettivamente stato scambiato prima con i Pistons e poi soprattutto con i Pelicans nel 2016-17 ma che gli affari fossero saltati perché il centro non aveva superato le visite mediche. “Lo sento, gli scambi erano stati chiusi ma Jah non ha superato le visite” ha scritto, chiedendo poi insistentemente a diversi giornalisti e blogger di chiedere al giocatore se era la verità in un’intervista. “Nessuno lo vuole” ha scritto poi un anno dopo, quando effettivamente è stato scambiato con Brooklyn. “L’anno scorso è stato scambiato ma è stato rispedito indietro perché non ha passato le visite. Ha chiesto lui alla dirigenza di non far trapelare la notizia e loro lo hanno fatto per salvargli la faccia, ma ora Okafor ne sta abusando. Se fosse uscita la verità, sarebbe stato Okafor a uscirne peggio”. Ancora una volta, un tentativo di difendere il suo operato e scaricare le colpe su altri, come successo anche per Nerlens Noel, descritto dagli account come un “pagliaccio egoista” che si “comportava come un avvoltoio” e “non piaceva a nessuno”. Soprattutto, gli account sostenevano che fosse l’allenatore a non volerlo più: “Brett Brown non lo voleva più vedere, faceva male allo spogliatoio. Ancora una volta Colangelo ha protetto l’allenatore e si è preso la m***a addosso per questo. Questo perché BC è uno di classe, non un cattivo”. E il cerchio, almeno per ora, si chiude qui.