Scomparso sul fondo della panchina dei Cavs, Rodney Hood sta pagando a caro prezzo il rifiuto di entrare in campo a gara vinta contro i Raptors in semifinale playoff. Cleveland potrebbe avere bisogno di lui, che non dovrà farsi sfuggire l'occasione di mettersi in mostra
In una squadra dal roster ridotto e a caccia di spunti e novità per mettere in difficoltà gli Warriors in gara-2, a Cleveland in molti si domandano: ma che fine ha fatto Rodney Hood? Arrivato a febbraio nel giorno della rivoluzione del roster, i Cavs che speravano potesse diventare letale dall’arco, lo hanno via via accantonato con il passare delle settimane e a seguito del declino del suo impatto. Hood ha comunque giocato 14 delle 19 partite disputate dai Cavaliers in questi playoff, anche se il suo ruolo è oggettivamente diventato marginale dopo l’inizio delle finali di conference. Dopo il rifiuto di entrare in campo contro Toronto in gara-4 a sfida e serie già ampiamente decisa, l’ex giocatore dei Jazz è lentamente sprofondato sul fondo della panchina, senza trovare più spazio e minuti sul parquet. L’allenatore dei Cavaliers però nelle ultime ore non ha escluso l’ipotesi che possa tornare utile nelle prossime sfide contro Golden State: “Rodney sta lavorando duro in allenamento, ha avuto il suo spazio durante il primo turno. Sta facendo di tutto per ritagliarsi il suo spazio e a breve avrà le sue opportunità. Gli ho sempre detto di tenersi pronto, ho parlato tanto con lui, nonostante contro Golden State non sia sceso in campo e non abbia avuto molti minuti contro Boston. Non è una questione di schemi, è stato soltanto penalizzato dal fatto che a metà stagione è stato catapultato in una situazione diversa da quella che era abituato a vivere con i Jazz. È un grande talento e avremo bisogno di lui: avrà le sue chance per mettersi in mostra”. Parole di incoraggiamento nonostante le cifre risibili e trascurabili raccolte nell'ultimo mese: Hood sta viaggiando a 4.6 punti di media ai playoff, tirando con il 41% dal campo e un modesto 15.8% dall’arco. Cifre che andranno cambiate drasticamente per provare a invertire la tendenza (e il suo minutaggio).
Ai Jazz fondamentale, ai Cavaliers marginale: "Così è dura da accettare"
Il testa-coda nella stagione di Hood è stato da capogiro. Partito come mai prima in carriera ai Jazz, è stato catapultato nel giro di poche ore dall’altra parte degli States, in un gruppo nuovo e con una data di scadenza in bella mostra: 30 giugno 2018, la fine del contratto di LeBron James con i Cavaliers. A Salt Lake City, Hood a 25 anni aveva trovato la quadra, sbocciando definitivamente in quella che fino a quel punto era stata la miglior stagione della sua carriera: 16.8 punti di media con il 38.9% dall’arco. Senza Gordon Hayward serviva anche il suo passo in avanti. All’esordio al TD Garden con la nuova maglia poi, i Cavaliers rovinarono la festa per il ritiro della maglia di Paul Pierce anche grazie al suo contributo: 15 punti, 6/11 al tiro e Celtics travolti. “Eravamo pieni d’energia quel giorno – racconta Hood -, è stata una di quelle partite in cui le cose accadono senza star lì a pensare. Eravamo eccitati all’idea di essere in un nuovo gruppo, ma nei giorni seguenti abbiamo dovuto iniziare a fare i conti con quello che dovevamo essere”. In poco tempo si è così ritrovato a essere il giocatore meno utilizzato del roster (Kendrick Perkins a parte): “È la prima volta nella mia carriera che un allenatore ha scelto di non farmi scendere in campo. Se guardo indietro ai miei giorni ai Jazz, rivedendo gli highlights su Youtube, ricordo a me stesso: ‘Questo doveva essere il mio anno’”. È dura capire quanto sia assurdo passare dall’essere fondamentale in un posto al diventare marginale in un altro: Hood ha fatto i bagagli all'improvviso, portandosi dietro una moglie incinta di due gemelli e all'ottavo mese di gravidanza. Una corsa contro il tempo in Ohio, una delle tante controindicazioni di una lega come la NBA che non fa prigionieri: "È stato molto duro per me: perdere una partita a Cleveland vuol dire che tutto il mondo sta per crollarti addosso. Quando vinciamo invece, diventiamo i migliori. Non è facile convivere con tutto questo. Adesso però ho capito che non è questione di tre, sette o 20 minuti: appena verrò chiamato in causa, dimostrerò di essere utile".