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NBA Finals, l'impatto inatteso (e insperato) di JaVale McGee sulla serie finale

NBA

Michele Serra

Partito dalla panchina, il centro dei Golden State Warriors si è guadagnato spazio e minuti a suon di tagli intelligenti e difesa sorprendentemente solida, conquistando il suo secondo titolo da titolare per i campioni in carica. Un impatto che pochi si sarebbero aspettati, ma che testimonia una grande crescita personale

Ogni anno, per ogni squadra che vince, c’è una feel good story, quella di un fresco campione NBA che si lascia alle spalle problemi di vario genere scrivendo il proprio nome nella storia e cambiando la narrativa attorno al suo nome.

JaVale McGee non ha una storia strappalacrime alle spalle, se non una lunghissima serie di inclusioni in Shaqtin’ a Fool che lo hanno reso uno dei beniamini del pubblico - seppur non per i motivi che avrebbe sperato. Da un paio di stagioni a questa parte, però, il buon JaVale McGee è entrato a far parte dei Golden State Warriors, ed in questo lasso di tempo il figlio di Pamela – ex giocatrice professionista vista anche in Italia – è riuscito a diventare un degnissimo giocatore di rotazione portandosi a casa ben due anelli di campione, di cui il secondo partendo in quintetto per quasi tutte le Finals. E adesso non ride (quasi) più nessuno.

L’arte di saper rollare

Se c’è una cosa che il prodotto dell’Università di Nevada-Reno sa fare è giocare il pick and roll. Anche in questi playoff ha messo a referto cifre esplicative da questo punto di vista: 1.54 punti per possesso in questa situazione, nel 90° percentile dell’intera NBA. Di contro, i Cleveland Cavaliers hanno sempre avuto grossissimi problemi (tra i vari) a difendere il rollante di un gioco a due, concedendo 1.19 punti per possesso in stagione regolare e addirittura 1.27 nei playoff.

Cosa succede quando un giocatore del genere incontra una delle peggiori difese della NBA a difendere il caro, vecchio, ma sempre utile pick and roll? Succede che le difese, se non si adeguano, si aprono e tutto l’attacco ne beneficia. Nelle Finals appena concluse sono innumerevoli gli esempi a riguardo.

Dopo aver vissuto da spettatore gran parte di gara-1 - a parte una clamorosa schiacciata sbagliata da solo, fortunatamente cancellata dalla follia finale di J.R. Smith -, McGee parte in quintetto nel secondo episodio e il suo impatto si capisce dalla prima azione di gara-2. McGee parte a tutta velocità per piazzare il blocco, per poi tagliare a canestro indisturbato e concludere con una schiacciata. Nel gergo cestistico questa azione si definisce slip, un blocco appena accennato con susseguente taglio a canestro che coglie impreparata la difesa; in questo caso, il centro ha strada libera verso i due punti, avendo Love fatto show forte su Steph Curry mentre l’altro lungo, Tristan Thompson, marca Draymond Green sul perimetro.

Ovviamente, avere giocatori come Durant e Klay Thompson come opzioni sugli scarichi aiuta parecchio: i loro marcatori sono sconsigliati dall’aiutare sul rollante se non vogliono prestare il fianco ad una tripla. Non è però sempre e solo merito dei suoi blocchi se arrivano i due punti, come vediamo in questi due esempi.

Qui McGee porta un blocco lontano dalla palla (chiamato pindown) lungo la linea di fondo per permettere a Klay Thompson di uscire oltre la linea da tre punti e prendersi un tiro. Come succede alle altre 29 squadre, le difese sono terrorizzate dall’idea che uno dei tiratori di Golden State possa prendere una conclusione poco contestata e reagisce di conseguenza. Solo che sia Love – che marcava JaVale – che George Hill seguono il figlio di Mychal, abbandonando McGee al suo destino: Hill prova a rimediare, ma è ormai tardi.

In quest’altra situazione, la complicità della difesa dei Cavs è evidente. La squadra di Lue ha avuto grossi problemi per gran parte della serie a difendere i giochi a due degli Warriors, prima decidendo di cambiare sistematicamente, poi cercando di raddoppiare in partenza Curry per togliergli la palla dalle mani. Qui il numero 30 si sposta verso il centro avvicinandosi a McGee, facendo intendere di dover ricevere da lui un blocco: basta questo perché J.R. e Love lo raddoppino lontano dalla palla, dimenticandosi di comunicare e permettendo il roll indisturbato del numero 1 - che poi ci mette del suo, concludendo con un sottomano tutt’altro che semplice evitando la ricerca di sfondamento di LeBron James con notevole controllo del corpo. Sono questi punti “fuori dal copione” della serie ad aver fatto malissimo ai Cleveland Cavs prima ancora delle acrobazie di Curry e Durant, che potevano in qualche modo essere messe in preventivo per il talento dei due All-Star.

Il contributo difensivo

Le abilità atletiche di JaVale sono ovviamente molto utili anche nella propria metà campo. Nella serie coi Cavs, infatti, ha fatto vedere di poter avere un impatto anche oltre le semplici stoppate. L’ex Wizards, che si è trovato quasi sempre accoppiato con Tristan Thompson (precisamente per 20 possessi di media nella serie), agiva da “libero” in mezzo all’area come una free safety del football, pronto ad aiutare su chiunque dei compagni avesse bisogno, scoraggiando le penetrazioni in area oppure accompagnando il portatore di palla lungo la linea di fondo dopo un pick and roll.

Anche il suo contributo contro LeBron non è passato inosservato, nonostante i due si siano ritrovati di fronte per soli due possessi di media a partita (però solo 0.5 i punti per possesso segnati da LBJ contro di lui). In un attacco, quello di Cleveland, centrato quasi esclusivamente sulla capacità del 23 di punire i mismatch contro giocatori più piccoli o più lenti, avere un McGee in grado di rimanere davanti a James in uno contro uno per più di un palleggio è stata una piccola ma significativa vittoria.

Chiaramente, la presenza di JaVale in mezzo all’area, stoppate a parte, è stato un deterrente alle penetrazioni dei Cavs, costretti a modificare le loro conclusioni per evitare guai peggiori e senza riuscire a indurlo negli errori banali e “stupidi” che solitamente portano coach Steve Kerr a toglierlo dal campo prima che commetta troppi danni.

Qui Hill si prende un floater praticamente un piede oltre la linea del tiro libero, per di più con una parabola altissima: l’unico modo per evitare di finire nel tabellino delle statistiche di JaVale alla voce “stoppate” (che, per la cronaca, sono state cinque in quattro partite).

Qui, invece, un altro saggio delle qualità atletiche del nostro, che si trova ad uscire sul perimetro contro J.R. Smith. McGee è un po’ in ritardo nella marcatura e per quasi tutti gli altri si tratterebbe solo di contestare il tiro sperando che non entri: lui però può sopperire a ciò con le braccia chilometriche che si ritrova, arrivando in tempo per una delle stoppate più belle di queste Finals.

Ovviamente, la presenza di McGee si è fatta sentire anche a rimbalzo, dove i Warriors hanno patito – com’era prevedibile – per tutte le quattro partite. Con lui in campo, la percentuale di rimbalzi catturati dalla squadra di Kerr saliva al 52%, miglior dato di squadra (se escludiamo Zaza Pachulia, che è stato in campo solo per sei minuti ininfluenti). Addirittura, contando solo i rimbalzi difensivi, la percentuale sale al 74.6%, togliendo così molte opportunità di rimbalzo offensivo per Cleveland. Con McGee in panchina, invece, la percentuale di rimbalzi crollava al 44%, secondo peggior dato di squadra. E anche, se non soprattutto per questo motivo McGee è stato preferito a Kevon Looney, fondamentale nel corso della serie contro Houston.

Insomma, JaVale McGee è un ulteriore esempio di come le squadre che arrivano a vincere il titolo non siano fatte solo da fenomeni e All-Star, ma anche – e soprattutto – da coloro che sono in grado di portare il loro mattoncino ogni sera. Coach Steve Kerr e il suo staff sono stati bravi ad inserire un giocatore problematico come lui in un sistema quasi perfetto, ma soprattutto è stato bravo lui a lasciarsi plasmare.

Adesso JaVale McGee è un due volte campione NBA, e lo è con pieno merito.