Durante le ultime finali NBA abbiamo chiesto a diversi compagni di squadra del "Prescelto" cosa rende davvero speciale LeBron James: la sua etica del lavoro è riconosciuta da tutti come il fattore numero uno, ma da Korver a Nance Jr. non mancano gli aneddoti interessanti
CLEVELAND, OHIO – Al termine di queste finali NBA abbiamo visto LeBron James uscire dal campo sconfitto, in maniera inequivocabile, un secco 4-0. Ma lo abbiamo visto anche chiudere le quattro partite contro Golden State con 34 punti a sera, sfiorando il 53% al tiro, aggiungendoci 10 assist e 8.5 rimbalzi a partita. Nei playoff 2018, al termine della sua quindicesima stagione nella lega, ha concluso al primo posto per media punti (34 tondi) e minuti giocati (41.9) ma anche doppie doppie (15) e triple doppie (4), al terzo per assist (9.0) e al quattordicesimo per rimbalzi (9.1). Riassunto in una parola: un mostro. E allora siamo andati a chiedere ai suoi compagni di squadra, a chi ha il privilegio di poterlo vedere in palestra ogni giorno, cosa rende LeBron James davvero speciale. Il primo parere arriva da un veteranissimo, Kendrick Perkins, che ci dice conoscere “King” James da vent’anni [erano assieme nel roster del McDonald’s All-Star Game liceale del 2003, James MVP dell’incontro per la squadra Est, Perkins avversario nella selezione Ovest, ndr]: “La disponibilità al sacrificio e la quantità di lavoro che è disposto a fare, giorno dopo giorno dopo giorno: è questo che lo rende il più forte giocatore al mondo. La gente non vede i sacrifici che fa ogni giorno, le ore passate in palestra, i trattamenti fisici a cui si sottopone e tutto il lavoro che c’è dietro. Tutti si stupiscono di vederlo fare quello che fa in campo, io no: certo, rimango incantato come tutti, ma io so da dove vengono le sue prestazioni. Tutti i risultati che ottiene – le vittorie, i record, i titoli – se li merita, se li è guadagnati con il sudore della fronte. È questo il motivo per cui LeBron è The Chosen One”. Damon Jones, tre anni al fianco del “Re” (dalla stagione 2005-06 a quella 2007-08, compresa anche l’annata della sua prima finale NBA, nel 2007 contro gli Spurs) grazie soprattutto alle sue percentuali dall’arco attorno al 40%, ha poi sfruttato questo talento anche per ottenere un ruolo di “specialista del tiro” nello staff dei Cavs a partire dal 2014, prima di essere promosso al ruolo di assistente allenatore da coach Tyronn Lue. Chiediamo anche a lui un parere sull’unicità del n°23: “Quello che lo separa da tutti gli altri è il duro lavoro di ogni giorno, il suo dedicarsi completamente al gioco – conferma Jones – il modo in cui si prepara prima di ogni partita, mentalmente e fisicamente, in campo e fuori. In una sola parola, la sua etica del lavoro. Non c’è altro. LeBron spinge sempre al massimo, chiede tutto al suo corpo, al suo talento e durante l’estate non molla un attimo, continua a lavorare; è per questo che arrivato alla sua quindicesima stagione nella lega è ancora in grado di fare le cose che gli stiamo vedendo fare in campo”.
I falli fischiati a favore/contro LeBron James: parla Kyle Korver
Kyle Korver e Larry Nance hanno prima conosciuto LeBron James da avversario e solo in un secondo momento da compagno, il primo a partire dalla stagione 2016-17, il secondo arrivando in corsa a Cleveland durante l’anno dopo lo scambio tra Cavs e Lakers. “Diventandoci compagno di squadra impari a conoscerlo per davvero – racconta il tiratore ex Sixers, Jazz e Hawks – e quando lo vedi lavorare nel modo in cui lavora lui il rispetto che hai verso LeBron non può che crescere. Tutto quello che fa in campo è reso possibile dal lavoro che fa in palestra: pensa letteralmente pallacanestro 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana”. Poi Korver racconta col sorriso un aneddoto che lo riguarda, nel cambio della sua stessa percezione verso il 23 dei Cavs: “Una cosa divertente è che quando lo affronti da avversario hai l’impressione che gli arbitri gli fischino a favore qualsiasi fallo, ogni contatto: ‘Come posso pensare di batterlo se è così grande, grosso e forte e in più ha tutte le chiamate a favore?’. Poi invece ci giochi assieme, sei nella sua squadra, e ti rendi conto che è il contrario: LeBron ottiene zero chiamate a suo favore, in pratica subisce fallo ogni singola volta che va a canestro e invece non ottiene mai un fischio”. A Korver chiediamo anche di raccontarci un aneddoto particolare che fotografi la grandezza di James: “Ci sono tonnellate di momenti che raccontano della sua grandezza, centinaia di storie: la sera in cui gioca 48 minuti filati senza mai uscire e il giorno dopo te lo ritrovi in palestra a fare cardio alle 10 prima di tutti, per dirne una”. Ma non è quello il punto, sembra voler sottolineare il n°26 dei Cavs: “Perché quello che lo rende speciale è come tutto questo sia la sua routine, è il modo in cui vive e lavora ogni singolo giorno. Ogni giorno è il primo ad arrivare in palestra; ogni giorno è uno degli ultimi ad andarsene. E ogni giorno sta in campo la quasi totalità dei minuti. La sua capacità di continuare ad avere questo approccio, la capacità di riprendersi dalla fatica sera dopo sera sono eccezionali: noi chiediamo tantissimo a LeBron, ma anche il gioco e il mondo intero gli chiedono tantissimo, a tanti livelli diversi, e lui riesce a farsi trovare sempre pronto, dando tutto quello che ha. È un aspetto della sua grandezza che andrebbe apprezzato di più”.
Larry Nance Jr.: “Quella mattina in palestra dopo gara-7 contro Indiana…”
Larry Nance Jr. invece un aneddoto particolare da condividere con noi ce l’ha: “Gara-7 contro Indiana per me racconta LeBron meglio di qualsiasi cosa: vinciamo la partita, LeBron gioca da LeBron, una gara sensazionale [45 punti, 8 rimbalzi, 7 assist, 4 recuperi in 43 minuti di gioco, ndr] e il giorno dopo la maggior parte di noi si presenta al centro di allenamento giusto per farsi fare un massaggio, immergersi in una vasca d’acqua fredda, recuperare dalle fatiche della sera prima e di una serie lunga. Quando arrivo io, la mattina presto, vedo LeBron già in un bagno di sudore, in palestra a sollevare pesi. È allora che mi sono reso conto che lui non si ferma mai. Mai. È al quindicesimo anno nella lega, è alla sua ottava finale NBA consecutiva e lavora ancora in questo modo. L’ho detto e lo ripeto in continuazione: è questo che mi lascia davvero a bocca aperta, ed è un qualcosa che ho deciso di fare anche mio, migliorando la mia etica del lavoro. Voglio essere anch’io il primo che arriva in palestra e l’ultimo ad andarsene”. Leading by example, dicono negli Stati Uniti, e James si dimostra campione anche per questo. “Quando sono arrivato qui non conoscevo e non sapevo il livello di intensità a cui lavora”, conclude Nance Jr.. “Ho sempre pensato che le superstar fossero superstar per via di un incredibile quantità di talento, e non necessariamente perché lavorassero molto più duro di chiunque altro. Guardi uno come Kevin Durant, vedi che è alto 2.13 e può giocare come una guardia: ecco perché è fenomenale, mi dicevo. Invece a renderlo così forte è il lavoro che fa in palestra ogni giorno e con LeBron è esattamente lo stesso, e forse questo è l’equivoco più grosso su cui mi son dovuto ricredere da quando sono suo compagno di squadra”.