Sul parquet le vittorie continuano a latitare, mentre in spogliatoio stanno montando rabbia e divisioni, con i veterani messi alla porta e l'organizzazione che sembra voler mettere in discussione l'unico pezzo potenzialmente pregiato nel medio-lungo periodo
Con la partenza di LeBron James in estate, i Cleveland Cleveland erano pronti a finire nel dimenticatoio NBA, ai margini nella lotta ai vertici della Eastern Conference e contenti di perdere per tenersi stretti la scelta protetta 1-10 che rischierebbero di cedere in favore degli Hawks in caso di piazzamento migliore alla lottery. Negli ultimi giorni però in Ohio il caos è totale: 0-6 di record per aprire la regular season, successivo licenziamento di coach Lue e infine veterani gentilmente accompagnati alla porta per fare largo ai giovani. Adesso, per non farsi mancare nulla, è arrivata anche la messa in discussione dei talenti in erba a disposizione di coach Larry Drew – in particolare di Collin Sexton, scelta n°8 all’ultimo Draft e tassello fondamentale su cui fondare il rebuilding. Complicato trovare il bandolo di una matassa sempre più intricata, per questo è necessario fare un breve riassunto delle puntate precedenti. La dirigenza dei Cavaliers ha scelto in estate di puntare su Sexton, unico asset di valore rimasto in dote dalla fallimentare trattativa che ha portato Kyrie Irving a Boston. Giocatore molto gradito a coach Lue, che lo conosceva già prima dell’arrivo al college (amico di famiglia e uomo a cui affidarsi nel complesso adattamento con i professionisti), è subito rimasto solo dopo il licenziamento di Lue arrivato dopo sei giornate, a causa del fatto che voleva continuare a schierare i veterani contro le indicazioni arrivate dall’alto (visto che i giovani faticavano non poco a dare continuità alla prestazione sul parquet). Una situazione commentata anche da coach Drew: “JR Smith è uno dei ragazzi che fanno parte della nostra squadra e se avrò bisogno di lui, lo schiererò ogni volta che lo riterrò opportuno”. Nel frattempo il n°5 dei Cavs è stato il miglior realizzatore anche nell’ultima sconfitta arrivata contro Charlotte (14 punti, non numeri roboanti), nonostante è chiaro a tutti che in casa Cavaliers non sia un problema di numeri e statistiche per una squadra che si è ritrovata sotto di almeno 16 lunghezze in otto delle nove partite di regular season. Un solo giocatore non può fare la differenza, neanche se tornasse indietro per qualche strana ragione quello con il n°23 sulla schiena.
“Collin Sexton, uno che non sa come stare in campo”
“Ci stanno prendendo a calci nel c**o, siamo in una situazione complicatissima. Bisogna trovare un modo per venirne fuori, che sia un incontro tra giocatori o in presenza di tutto lo staff tecnico. Tutti devono capire quali sono le loro responsabilità personali e cosa ci sia aspetta da ognuno”. Smith veste i panni del saggio, ma come tanti veterani è uno di quelli che hanno innescato nello spogliatoio e negli uffici di Cleveland un mantra preoccupante, un motivetto contro i giocatori “che non conoscono il loro ruolo, il mondo in cui si vince e cosa fare in campo”. L’obiettivo principale delle pesanti critiche è proprio Sexton, parere diffuso all’interno dell’organizzazione che ha iniziato a sottolinearne l’incapacità di difendere sul pick&roll e di guidare i compagni in campo come point guard. A pensarci bene sarebbe stato strano il contrario, data l’inesperienza e il risicato margine d’errore in una squadra disfunzionale non tanto e non solo per colpa sua. Pensare che Sexton potesse raccogliere i cocci dei pluri-vice-campioni NBA e nasconderne i difetti in meno di tre settimane da professionista era una prospettiva utopica. Soltanto uno è riuscito negli ultimi 15 anni in un’impresa del genere, ma ritorniamo sempre al punto di partenza. Sempre a LeBron James. A Cleveland adesso invece hanno ben altro a cui pensare, a partire da coach Drew che ha rifiutato l’adeguamento di contratto da circa un milione di dollari, pretendendo un rinnovo pluriennale per sé e il suo staff (tutti in scadenza a giugno). “È lui l’uomo giusto a cui affidare il rebuilding della squadra?”, si chiedono Altman e la dirigenza. Non investire sull’allenatore portandolo verso la scadenza della prossima estate invece, renderebbe ancora più traballante e di passaggio una stagione che dopo tre settimane ha già concesso materiale a sufficienza per scrivere un bel po’ di capitoli del nuovo romanzo Cavaliers.