Il presidente dei gialloviola non vuole vedere la sua superstar sempre col pallone in mano, costretto a prendersi tutte le responsabilità. "Si tratta della sfida più grande di questa stagione - ammette "King" James - dover capire quando mettermi in proprio e quando affidarmi ai miei compagni"
Il vantaggio di 24 punti accumulato nel primo tempo stava pian piano scomparendo, ridotto a 4 miseri punti con 7 minuti e mezzo ancora da giocare. Luke Walton non ha altra scelta: rimettere in campo LeBron James. La mossa funziona: il 23 segna 12 dei 38 minuti della sua serata nell’ultimo quarto, il vantaggio dei Lakers torna anche in doppia cifra e alla sirena arriva la vittoria, 104-96, la prima dopo due ko consecutivi. È il motivo per cui LeBron James è stato così fortemente voluto a Los Angeles, si potrebbe dire. Ma è anche una dinamica che in casa Lakers speravano di evitare: aver sempre bisogno della loro superstar per chiudere le gare e incassare la vittoria. “È la sfida che sto combattendo da inizio stagione – dice il diretto interessato – capire cioè quando lasciar spazio e responsabilità ai miei compagni, mettendoli nelle condizioni di cavarsela da soli, e quando invece prendere il controllo della situazione e decidere in prima persona una partita. Stasera ad esempio è andata così: loro si aspettavano da me i canestri vincenti, volevano che fossi io a chiudere i conti”. Così è stato, e una vittoria è ovviamente sempre meglio di una sconfitta, ma in seno ai Lakers qualcuno preferirebbe vedere una gestione diversa, con un roster di squadra meno LeBron-dipendente. E quel qualcuno è il presidente della squadra, Magic Johnson, che da una radio di Los Angeles fa sapere: “Vogliamo ridurre i suoi minuti [al momento 34.97 a serata, sarebbe il minimo in carriera, ndr] ma vogliamo anche non essere costretti a dover passare da LeBron a ogni possesso decisivo, perché se è così allora replichiamo quanto succedeva a Cleveland gli anni scorsi, e noi non vogliamo che accada”. I Lakers, dice Magic Johnson, non devono essere uno one-man show, anche se quell man si chiama LeBron James. Uno scenario condiviso e auspicato dallo stesso James: “A inizio stagione pensavo che non avrei avuto il pallone in mano così tanto, visto tutti i trattatori di palla a roster, a partire da Lonzo Ball e Rajon Rondo ma anche con Brandon Ingram, Lance Stephenson e Kyle Kuzma. Ovviamente se serve una giocata io sono sempre a disposizione ma non nascondo che capire come gestire questo equilibrio – quando mettermi in proprio, quando lasciare il proscenio agli altri – è l’aggiustamento più grosso che sono chiamato a fare. L’importante è migliorare come squadra, ogni giorno, per farci trovare competitivi a fine stagione: sono disposto a fare qualsiasi cosa perché questo accada”.
L’impatto di “King” James sui Lakers: cosa dicono gli indici statistici
Se coach Luke Walton sembra quasi fatalista al riguardo – “Ovvio che gli sarà chiesto spesso di prendersi grandi responsabilità, essendo uno dei giocatori più forti al mondo. Se sei LeBron James decidere le partite è il tuo mestiere e lui sa benissimo come gestire quei momenti” – il pensiero di Magic Johnson al riguardo è invece assolutamente chiaro: “Non vogliamo che abbia troppo il pallone in mano, non tutti i palloni devono passare di lui. Vogliamo giocare di più in transizione, correndo. Ci sta riuscendo solo a intermittenza per il momento, magari giochiamo bene un minuto o due quarti ma poi peggio i due successivi. Non siamo ancora costanti come vorremmo. I giocatori si stanno ancora conoscendo tra loro, così come stanno cercando di capire completamente il sistema offensivo di coach Walton”. Un sistema che – grazie agli arrivi estivi di gente come Stephenson, Beasley, lo stesso Rondo – vorrebbe più giocatori capaci di costruirsi il proprio tiro, per non dipendere in tutto e per tutto dalle creazioni del n°23. Che ai Lakers al momento sfoggia lo stesso identico dato di usage rate – la percentuale di possessi offensivi che lo vedono protagonista – collezionata lo scorso anno a Cleveland (il 30.8%, che lo piazza all’ottavo posto nella lega) ma restando però in campo quasi due minuti e mezzo in meno a partita. Che sull’attacco dei Lakers ci siano ovunque le impronte di LeBron James è confermato anche dal fatto che l’ex superstar dei Cavs è primo per squadra tanto per assist (6.7 a sera, davanti anche ai 6.5 di Rondo, ora pure ai box) che per numero di tocchi (79.3 a partita, contro i 60.8 dell’ex point guard dei Celitcs). Con James in campo L.A. oggi fa registrare un net rating leggermente positivo (+0.6), dato che invece ha segno negativo quando il 23 va a riposarsi (-1.4, terzo peggior dato di squadra), indice di una “dipendenza” che però non va nemmeno vicino a quella evidenziata dai Cavaliers ad esempio nella stagione 2016-17 (+8.1 con lui in campo, -9.2 senza). Proprio quello che vuole evitare a tutti i costi Magic Johnson.