Il fischio contro il n°30 degli Warriors ha fatto arrabbiare molto sia coach Kerr che Steph Curry, che ha "mimato" il numero 13 del Barba in segno di protesta: "Il mio movimento li ha confusi", sottolinea con tono piccato, alzando il livello dello scontro a distanza con i Rockets
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Della sfida combattuta e vinta in volata dagli Warriors, oltre al record di triple complessive messe a referto in una gara NBA (41) e al super quarto periodo di Steph Curry (20 punti dei 42 totali arrivano negli ultimi 12 minuti), resterà un’altra immagine nella memoria di molti: il n°30 di Golden State che con fare polemico “nasconde” con le dita il numero sulla sua maglia, mimando il 13 stampato sul fronte della divisa di James Harden. Protesta plateale, dopo una chiamata controversa degli arbitri in una fase delicatissima della partita. Giro di boa del quarto periodo, Warriors con tre punti di vantaggio e palla in mano: Curry sfrutta l’ennesimo blocco abbozzato da Kevin Durant per prendere mezzo metro di vantaggio su De’Aaron Fox, fintando la penetrazione e poi fermando il palleggio per tirare dall’arco. Un movimento già visto (e contestato) tante volte ad Harden – che contro i Jazz decise la partita trovando punti in quella maniera e che spesso abusa di quella tecnica per segnare dalla distanza. Un doppio passettino all’indietro dopo aver raccolto il pallone, che crea un margine di separazione aggiuntivo e che a termini di regolamento è un’infrazione da sanzionare. Gli arbitri notano il movimento sospetto e fischiano passi, scatenando la rabbia di Steve Kerr in panchina: ("Ora avete iniziato a dire che questa roba non va bene?"), mentre i telecronisti che seguono tutte le gare dei campioni NBA commentano strabiliati: "Non avete visto cosa ha fatto James Harden l’altra sera?”. Curry invece si volta verso i direttori di gara, mostrando il 13 abbozzato con le dita sulla maglia. Il messaggio è chiarissimo: lui sì e io no? A guardare le due giocate una di fianco all’altra, la protesta degli Warriors sembra più che lecita.
Nel post-partita, Curry non nasconde il significato del suo gesto che appariva già molto chiaro: “Ho visto quel movimento in step-back due o tre volte e ho voluto provare a farlo mio. Un gesto che ha confuso gli arbitri, sapevano che era qualcuno di diverso dal solito e per questo hanno deciso di fischiare passi”. Della serie: avessi avuto la barba per loro sarebbe stato normale. L’ennesima provocazione in uno scontro e una rivalità tra Warriors e Rockets che si fa sempre più accesa. Per far fronte alla risalita di Houston infatti, coach Kerr per una sera ha deciso di cambiare in parte la rotazione, lasciando più a lungo le sue stelle sul parquet e concedendo a Curry l’intero quarto periodo: “Nell’ultima settimana abbiamo perso un paio di partite di troppo nei secondi finali, sentivo che avevamo bisogno a ogni costo di questo successo”, sottolinea l’allenatore degli Warriors che ha tenuto in campo per ben 40 minuti Thompson, 39 Durant e 38 il già citato Curry. “È stato divertente per una volta, ogni gara cerco di fare qualche aggiustamento. Il mio obiettivo in fondo è quello di dare il massimo per il maggior numero di minuti possibile, ma so bene che la stagione NBA è lunghissima”. Un lusso non da poco quello di poter centellinare le energie durante l'arco di tutta la regular season; una prerogativa che in casa Warriors potrebbe iniziare a venir meno nelle prossime settimane.