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NBA, Marcus Smart giocatore d'altri tempi: "Oggi i giocatori evitano i contatti: io no"

NBA

La guardia dei Celtics - a malapena sopra gli 8 punti a sera, con meno del 40% al tiro - riesce a essere uno degli aghi della bilancia della squadra di coach Stevens per il suo impatto difensivo e per la mentalità da guerriero che porta in campo: "Lo scontro fisico fa parte del mio modo di giocare"

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La stagione dei Boston Celtics, lo hanno ripetuto in tanti,  è una sorta di mistero, un sali-e-scendi continuo in cui i biancoverdi hanno faticato a trovare delle costanti. Una però c’è: Marcus Smart. Un dato lo riassume al meglio: da quando Brad Stevens ha inserito il suo n°36 in quintetto – era il 26 novembre scorso – Boston ha fatto registrare 27 vittorie e 12 sconfitte (mentre il record delle prime 20 gare stagionali era un deludente 10-10). È solo l’ottavo miglior marcatore di squadra, supera a mala pena gli 8 punti a sera e tira sotto con meno del 40% dal campo, eppure Smart ha un peso specifico enorme nei destini dei Celtics da qui a fine stagione. “È al quinto anno con noi – afferma coach Stevens – e con lui siamo sempre stati una squadra da playoff: è il miglior complimento che posso fargli”. L’allenatore di Boston poi aggiunge un altro commento relativo all’impatto di Smart: “Quando lui è in campo, i suoi compagni giocano meglio”. Un’impressione confermata anche dalle statistiche avanzate: tra i giocatori dei Celtics con almeno 1.000 minuti disputati, Smart è titolare del terzo net rating di squadra (+6.4 con lui in campo), dietro soltanto al dato di Jayson Tatum e Kyrie Irving. Non sarà mai un grande talento offensivo, ma per tutto quello che dà in difesa e per l’approccio operaio che porta in campo ogni sera, il valore di Smart per Boston è inestimabile: “Per il modo in cui gioco forse sarei stato perfetto per gli anni ’60-’70, quando i giocatori davano il massimo ogni singola sera”, dice lui divertito. “In un certo senso quel tipo di intensità si è un po’ persa, oggi: nella NBA attuale si gioca un po’ troppo di fioretto, i giocatori hanno paura ad andare al ferro, a prendere contatti, a scontrarsi con i difensori avversari. Io invece vivo per questo tipo di contatti: lo scontro in campo fa parte della mia natura”.

L’impatto difensivo di Smart (e i mancati riconoscimenti)

Smart è considerato il giocatore perfetto per i tifosi di Boston: un duro, uno che non accetta frivolezze, uno che ha poca pazienza, verso sé e verso gli altri. Per questo a volte le sue reazioni sono un po’ sopra le righe: un anno fa – perso di un punto contro i Lakers – tornato in albergo ha spaccato un quadro con un pugno: i frammenti di vetro conficcatisi nella sua mano hanno rischiato di danneggiare i legamenti, mettendo a repentaglio la sua stagione; due anni fa dopo un’altra sconfitta, stavolta contro Washington, un altro pugno aveva lasciato un buco nel muro dello spogliatoio ospiti della Capitol One Arena. Smart è così, prendere o lasciare, ma la stessa intensità che scarica in maniera a volte eccessiva fuori dal campo la porta anche sul parquet, soprattutto nella metà campo difensiva: tra i giocatori che restano in campo almeno 25 minuti a sera, è nella top 25 NBA per deflection, i palloni che sporca sulle linee di passaggio degli attacchi avversari (2.7 a sera), per percentuale di palloni vaganti recuperati (il 65% di quelli disponibili) e per sfondamenti presi (0.16 a sera). Ciò nonostante il suo nome non è mai comparso all’interno dei migliori quintetti difensivi consacrati dalla lega a fine stagione: “Finisce per essere una gara di popolarità, non è un qualcosa che definisce il tipo di difensore che sono io”, spiega il diretto interessato. “Ma questo non significa che io non sia un gran difensore, ma solo che alcuni preferiscono certi giocatori ad altri. Io so chi sono, so quello che posso fare e non sono disposto a cambiare per niente e nessuno. Vado avanti per la mia strada, ricordando l’insegnamento di mia madre: non rifiutare mai una sfida, ma scegli quali sono quelle per cui vale la pena combattere”. Parola di guerriero, uno vero.