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NBA, i Boston Celtics hanno un sacco di problemi e i playoff sono ormai alle porte

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Le sconfitte post All-Star Game, il quinto posto a Est e le divisioni in spogliatoio: i Celtics devono sistemare un bel po' di cose, ma il tempo stringe e a Boston iniziano ad avere paura di non essere una squadra in grado di raggiungere la finale NBA

HARDEN E GORDON MOSTRUOSI: HOUSTON VINCE A BOSTON

CELTICS, PARLA IL PROPRIETARIO: "STAGIONE DELUDENTE"

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“Dobbiamo giocare meglio”. Kyrie Irving non aveva alcuna intenzione di dare ulteriori spiegazioni ai giornalisti a margine della pesante sconfitta incassata contro i Rockets. James Harden e Houston sono apparsi come un gruppo di ben altro spessore, proprio come i Raptors che la scorsa settimana avevano polverizzato Boston in un’altra sfida d’altra classifica. Il conto fa cinque sconfitte in sei partite dopo l’All-Star Game: non il cambio di passo che ci si aspettava per risalire la china a Est, ma una zavorra con cui ormeggiarsi definitivamente al quinto posto della Eastern Conference. Se così fosse i Celtics sarebbero chiamati a battere Sixers, Bucks e Raptors una dopo l’altra con il fattore campo sempre a sfavore per raggiungere le tanto ambite finali NBA. “Il momento negativo dipende da un bel po’ di cose, ma dobbiamo fare meglio. Sia a livello individuale che come collettivo”, prosegue coach Stevens, che sa che lo spazio per tirare le somme sta diventando sempre meno. Sei settimane, 18 partite di regular season: l’adagio NBA del “c’è ancora tempo per rimettere le cose a posto” ormai funziona soltanto in parte. I Celtics infatti continuano a non trovare la quadratura del cerchio nonostante, a differenza delle altre principali avversarie - Milwaukee, Philadelphia e Toronto – che hanno cambiato parte del roster il mese scorso, a Boston la squadra è rimasta sempre quella dall’inizio dell’anno (e verrebbe da dire dal 2017, infortuni a parte). I tasselli però non sono mai andati al loro posto. E la prospettiva non è delle migliori: 12 dei prossimi 14 match da giocare a marzo saranno contro squadre da playoff o che ambiscono a diventare tali. Nessun avversario contro cui permettersi di passeggiare, detto che le sconfitte stagionali contro Chicago, New York e Phoenix sono lì a ricordare di quanto sia stata in altalena questa regular season per i biancoverdi.

Gli infortuni non sono più un alibi, ma neanche una risorsa

Il veterano Al Horford, uno degli ultimi baluardi rimasti a una squadra a caccia di certezza, chiama tutti a raccolta: “Stiamo attraversando un momento complicato, ma questi sono i periodi in cui bisogna dimostrare che siamo una squadra: dobbiamo stare insieme, se possibile ancora più uniti anche se so che è dura. Siamo i primi a non voler continuare a perdere, ma se non lavoriamo duro non otterremo risultati”. Lui è stato uno dei protagonisti assieme ai giovani del roster della straordinaria cavalcata ai playoff 2018 fino alla gara-7 delle finali di Conference persa in casa contro i Cavaliers. A quel gruppo mancavano Irving e Hayward e l’aritmetica cestistica lasciava immaginare: “Con l’aggiunta in squadra di due All-Star di quel livello, i Celtics diventeranno una squadra da titolo”. Ma se la matematica non è un’opinione, il basket rifugge ogni tipo di sillogismo logico, di addizione di talento priva di impegno, lavoro e di un’idea di fondo che riesca a miscelare il tutto. Cosa c’è di sbagliato in una squadra che non riesce ad esprimere tutto il suo potenziale? Il fatto che Hayward resta ad esempio un lontano parente di quello che Boston ha convinto a suon di milioni nella free agency del 2017: i 22 punti di media dei tempi dei Jazz sono diventati la metà, ridimensionati come le percentuali dal campo e l’atletismo. Hayward sta facendo enorme fatica in questa regular season, presto panchinato da coach Stevens con la speranza che l’ingresso in campo a gara in corso gli permettesse di avere un vantaggio sugli avversari. Nel post All-Star Game però la situazione sembra essersi complicata: 7/25 dal campo complessivo, con la settimana di riposo che ha portato altri problemi da risolvere. L’aggiunta sperata non ha portato in realtà i suoi frutti.

Irving e le polemiche infinite in spogliatoio

Discorso diverso per Irving, che resta il riferimento e il centro di gravitazione attorno a cui ruota una squadra in cui il n°11 sta cercando di ricoprire a fatica il ruolo di leader. Il gruppo non sta dietro a lui come sperato, che ha chiesto consiglio telefonico anche a LeBron James e che non perde occasione per sparare a zero sui compagni. Irving ha più volte dichiarato guerra nelle scorse settimane ai vari Jayson Tatum, Jaylen Brown e Terry Rozier – giovani a cui è sempre stato bravo a trovare difetti – i quali però erano in campo a differenza sua nell’unico momento in cui Boston ha avuto un sussulto contro Houston nell’ultima sfida. In campo contro i Rockets si è rivisto anche Aron Baynes, unica vera assenza causa infortunio in tutto il mese di febbraio; appiglio difficile a cui aggrapparsi per giustificare l’andamento in altalena della squadra. Una tendenza negativa che ha coinvolto anche Marcus Morris – uno dei più solidi in questa complicata stagione – crollato a percentuali al di sotto del 36% dal campo nelle ultime sei gare (24/67 totale) e di 8/38 dall’arco. Un rendimento che ha rimesso in discussione il suo posto in quintetto: il gemello di Markieff potrebbe tornare in panchina per fare spazio a Jaylen Brown, altro grande punto interrogativo della stagione dei Celtics. Uno dei pilastri della passata stagione, diventato un altro giocatore da recuperare: l’addizione di talento non ha funzionato neanche nel suo caso, sceso (soltanto per accennare a uno delle decine di indicatori che raccontano il suo calo) dal 39 al 30% di conversione dall’arco - la differenza che passa tra un attaccante che spaventa le difese a un tiratore da battezzare ai playoff. Non è Irving a metterlo meno in ritmo di Rozier, né lo spazio concesso dagli avversari a essere diminuito. È il peso di ogni dannato pallone a essere aumentato a dismisura: quando si passa dall’avere l’opportunità di vincere all’obbligo di farcela, il ferro spesso diventa più piccolo. Sta a coach Stevens e allo staff dei Celtics trovare in un mese il modo di rimettere a posto la mira, l’umore e soprattutto la testa di tutti.