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NBA, Los Angeles Lakers, coach Walton al capolinea: il suo futuro è lontano da L.A.

NBA

L'allenatore dei Lakers sarà il primo a pagare a fine stagione per il fallimento dei gialloviola, fuori ormai quasi certamente dai playoff per il sesto anno in fila: soltanto uno dei tanti problemi con cui a Los Angeles dovranno fare i conti in estate

GALLINARI INCANTA, BATTE LEBRON E CONDANNA I LAKERS

INTERVISTA ESCLUSIVA A DANILO GALLINARI

Niente playoff per i Lakers: dopo la sconfitta nel derby contro i Clippers trascinati da Danilo Gallinari, la condanna (non ancora aritmetica) è stata emessa. Decimi a Ovest, con cinque gare e mezza da recuperare nelle ultime 18 sfide agli Spurs attualmente ottavi, i gialloviola porteranno così molto probabilmente a sei il numero di anni consecutivi senza conquistare l’accesso alla post-season. Per tornare ai playoff non è bastato neanche mettere sotto contratto il giocatore più forte dell’intera Lega, che a fine aprile tornerà in vacanza a 14 anni di distanza dall’ultima volta. Un fallimento complicato da elaborare, anche perché il teorema LeBron James da oltre un decennio ha sempre funzionato allo stesso modo: quando si vince, il merito è del trascinatore con il n°23 sulle spalle - cosa tra l’altro spesso e volentieri vera; quando si perde, tocca ai comprimari e a chi gli sta attorno incassare il colpo, dover fare i conti con la messa in discussione interna alla franchigia di chi ti rimprovera di “non essere stato all’altezza” di un compagno di squadra del genere. Le vittime sacrificali preferite in questo contesto di solito sono gli allenatori e Luke Walton lo sa bene; il primo (e non unico) a essere ormai alle battute conclusive della sua esperienza a Los Angeles. Secondo quanto raccontato da Marc Stein sul New York Times, il coach dei Lakers - più volte messo in discussione già nelle scorse settimane - ha i giorni contati in casa gialloviola. Licenziarlo adesso sarebbe una decisione senza senso, nonostante il fallimento sia chiaramente da imputare anche a lui - incapace di ridare una dimensione accettabile soprattutto in difesa al gruppo dopo la maledetta partita di Natale contro Golden State. Stein sottolinea come cacciare adesso Walton sarebbe un gesto fatto solo ed esclusivamente a uso e consumo dei tifosi, per dire: “Vedete, abbiamo fatto qualcosa per provare a invertire la rotta”, quando ormai però la nave sta imbarcando acqua già da un bel po'. Questo ovviamente non esclude il fatto che Walton sarà rimpiazzato la prossima estate - siamo tutti in attesa dei nomi dei possibili sostituti - quando ci saranno tante altre considerazioni da fare.

Il risultato peggiore per James e le "tecniche" di mercato da rivedere

Nonostante l’infortunio più lungo della sua carriera e i 34 anni sulla carta d’identità siano degli alibi non da poco, la macchia sul curriculum di James resta: fallire l’obiettivo playoff al primo anno in maglia gialloviola è un disastro sportivo che non si può imputare soltanto alle 17 partite che LeBron è stato costretto a guardare da bordo campo. Anche perché dal suo ritorno sul parquet il record dei Lakers è stato di quattro vittorie e ben otto sconfitte; tutt’altro che in linea con la “modalità playoff” attivata nel post All-Star Game soltanto a parole. Perdere contro New Orleans, Memphis e Phoenix, oltre a tutti gli scontri diretti con le dirette avversarie non poteva che portare a questo. Dopo la sconfitta con i Clippers la percentuale di successo associata ai Lakers è scesa sotto l’1%: una missione impossibile ormai, anche per l’agente speciale James. Al ritorno sul parquet infatti LeBron si è ritrovato attorno uno spogliatoio totalmente spaccato dalle voci di mercato dei primi giorni di febbraio: quello resta l’altro nodo cruciale (ed errore fatale) collegato al crollo gialloviola. Non tanto e non solo per il mancato arrivo di Anthony Davis - che pure avrebbe dato una bella mano in questi due mesi - quanto per la messa in discussione di un intero gruppo. La strategia di comunicazione condotta da Magic Johnson è stata nociva: il messaggio che è passato agli occhi degli osservatori esterni - e anche dei Pelicans - è stato di una totale smobilitazione. “Tutti sono sacrificabili, basta prendere Davis”: difficile sentirsi coinvolti poi sul parquet in un progetto che sembra disposto a farti fuori in poche ore assieme ad altri quattro, cinque o addirittura sei compagni di squadra. Il gruppo da quel momento in poi si è sbriciolato, come dimostrato dai risultati raccolti sul parquet.

E adesso cosa fare? Un’altra rivoluzione in estate

Il modo migliore per uscire da questo pantano, in cui ogni aspetto sembra avere delle controindicazioni negative - uno dei tanti possibili esempi: perdere contro i Clippers vuol dire permettere ai cugini di andare ai playoff, costretti così a rinunciare alla loro scelta al primo giro al Draft in favore dei Celtics, che possono metterla sul piatto in estate per arrivare a Davis danneggiando chi sul mercato? I Lakers ovviamente! - è buttare giù tutto, escluso LeBron ovviamente, e ripartire riaprendo la trattativa per il n°23 dei Pelicans e dando la caccia almeno a un altro free agent di primo livello. Non c’è più tempo da perdere, il numero di passaggi a vuoto consentiti è già stato superato. Resta un aspetto positivo della vicenda, o almeno meno preoccupante di quanto non appaia al momento la situazione: LeBron era il primo a essere consapevole al momento della firma che ai Lakers avrebbe potuto disporre di una squadra realmente competitiva soltanto dal secondo anno. Un mercato fatto di contratti annuali distribuiti ai vari Rajon Rondo, Lance Stephenson, Michael Beasley e tanti altri era la chiara indicazione che la stagione 2018/19 sarebbe stata di transizione. Quella per fare esperienza che i Lakers non hanno saputo sfruttare. Con le lancette dell’orologio biologico del n°23 gialloviola che avanzano, adesso ai Lakers non resta che iniziare a fare sul serio. Con un nuovo allenatore e con una squadra profondamente diversa da cima a fondo.