Dopo la partita dominata contro gli Spurs, il n°13 dei Rockets è andato in palestra ad allenarsi dopo aver eguagliato il suo massimo in carriera da 61 punti. Un modo per lanciare la sfida al resto della Lega: "Non mollo mai perché so di poter diventare il migliore ad aver mai giocato"
Lento, grosso, egoista. Nei fatti imprendibile, compatto e dannatamente efficace. James Harden continua a dividere, a far discutere per il suo stile di gioco, ma soprattutto a travolgere qualsiasi difesa gli capiti di fronte. Non ultima quella dei San Antonio Spurs, che mai nella loro storia si erano visti segnare in faccia ben 61 punti da un singolo giocatore; 48 ore dopo averne messi a referto 57 contro Memphis. Totale 118, il numero che tantissimi difensori vorrebbero fare dopo aver provato invano a frenare il Barba. Non è questione di rifornimenti, di assist, di costruzione di squadra. Harden fa da sé, per quello non sai come prenderlo, come isolarlo da un gioco che continua a passare sempre e comunque dalle sue mani. Un talento cristallino, scatenato, che se prende fuoco nel primo quarto (27 punti in 12 minuti) poi non smette più di ardere. Un grande lavoratore, come testimoniato nei fatti dal diretto interessato, che dopo aver ritoccato – nel senso di raggiunto di nuovo – il suo massimo in carriera, al posto di celebrare il traguardo sui social preferisce postare un video girato pochi minuti la sirena finale. Torso nudo, il pantaloncino rosso ancora addosso e gli esercizi con le corde, i pesi. Coordinazione, forza, con un corpaccione che ben racconta le difficoltà di chi vuole provare a spostarlo. A piegarlo. La narrativa e il personaggio NBA si costruisce anche così e il Barba ormai è esperto anche in questo; davvero non gli manca nulla: “Lavoro duro ogni singolo giorno per essere il miglior giocatore possibile. Lo faccio anche tutte le volte che non ho voglia, o che sono stanco o che ho qualsiasi altra cosa che mi passa per la testa. Perché per essere onesti, penso di avere una chance di diventare uno dei migliori giocatori ad aver mai giocato a pallacanestro”.
E D’Antoni lo incorona: “Non so cos’altro ci sia da migliorare”
Mike D’Antoni nel frattempo se lo gode e, rispondendo a chi gli chiede conto degli allenamenti extra in palestra, commenta in maniera schietta: “Non so come possa migliore più di così, ma se è scappato subito in palestra vuol dire che ha visto qualcosa su cui lavorare che a me è sfuggito. Quella di oggi è già una delle migliori prestazioni di sempre – per l’importanza della gara e di una vittoria fondamentale – è riuscito a fare qualcosa di clamoroso. Non so quanti punti abbia fatto negli ultimi quattro minuti, ma eravamo sotto e gli Spurs giocavano e difendevano per davvero”. Ben 13 punti in poco più di tre minuti per l’esattezza, l’ultima stilettata in una partita da incorniciare. “Sapevo quanto fosse importante la gara, era una sfida che ci avrebbe portato sul 3-1 nella serie con gli Spurs in regular season – aggiunge Harden - Ci serviva un successo, era un’opportunità da cogliere per preservare il fattore campo ai playoff. Volevo dimostrare sin dalla palla a due di essere più aggressivo del solito”. Ai 61 punti nessun riferimento da parte sua. “Davvero c’è qualcuno che ancora si chiede se Harden deve o meno essere votato MVP? Cos’altro deve fare per chiudere il discorso?”, sottolinea Chris Paul, a cui fa eco Gerald Green: “Non ha nessuna debolezza, gli unici che possono fermarlo sono gli arbitri con i falli. O D’Antoni se decidesse di lasciarlo in panchina, ma difficilmente lo farà in futuro”.