La tripla doppia del rookie sloveno e il massimo stagionale della leggenda tedesca spingono i Mavericks a una vittoria sorprendente sul campo dei campioni in carica. Senza Steph Curry tenuto a riposo, Steve Kerr subisce la peggior sconfitta da quando siede sulla panchina di Golden State
Se davvero queste sono le ultime settimane in cui vedremo in campo Dirk Nowitzki prima del ritiro atteso per fine anno, quella di questa notte potrebbe essere stata la sua ultima grande partita. E il fatto che sia arrivata in concomitanza con la sesta tripla doppia stagionale di Luka Doncic è l’ennesimo ideale passaggio di consegne tra il passato e il futuro dei Dallas Mavericks. Con il massimo stagionale da 21 punti della leggenda tedesca e la prestazione da 23 punti, 11 rimbalzi e 10 assist del rookie sloveno, i texani hanno sbancato la Oracle Arena in maniera sorprendente, toccando anche il massimo vantaggio sul +43 nel corso dell’ultimo quarto prima di chiudere sul 126-91. Un vantaggio costruito già dal primo quarto, con Nowitzki — partito titolare — che ha segnato 10 punti nei primi quattro minuti in un parziale da 22-7 per gli ospiti, chiudendo poi con 8/14 dal campo e 5/8 da tre. Un bel modo per salutare un’arena che gli ha procurato una delle più grandi delusioni della carriera, con la serie persa nel 2007 da MVP in carica. Insieme al 40enne e al 20enne ci sono i 17 punti di Ryan Broekhoff, i 16 di Maxi Kleber e i 13 di Trey Burke per una vittoria veramente sorprendente. I Mavs infatti avevano perso 15 delle precedenti 17 partite e sembravano destinati a soccombere davanti alla squadra con il miglior record della Western Conference, per di più in un’arena nella quale non vincevano da dodici gare consecutive (ultima vittoria nell’aprile 2012). Di sicuro ha aiutato il 21/49 di squadra dalla lunga distanza e la sbadatezza dei padroni di casa, che hanno approcciato la gara in maniera completamente sbagliata.
Gli Warriors predicano calma: "Domani giochiamo ancora"
Sul risultato della partita pesa comunque come un macigno l’assenza di Steph Curry, tenuto a riposo da coach Steve Kerr dopo 49 partite consecutive sul parquet. Come spesso accade anche a una squadra del livello degli Warriors, però, la mancanza del numero 30 ha avuto un effetto a cascata su tutti i suoi compagni, con Kevin Durant che ha avuto bisogno di 25 tiri per segnare 25 punti e Klay Thompson che ha chiuso con 4/13 dal campo e quattro errori su quattro da tre punti, all’interno di un tremendo 4/30 dalla lunga distanza — minimo stagionale per i campioni in carica. Di fatto, l’unico che ha giocato al suo livello è stato DeMarcus Cousins con 19 punti e 8/11 al tiro in poco meno di 23 minuti, ma neanche lui è riuscito a invertire la rotta. E non è che nella propria metà campo le cose siano andate molto meglio: “Difensivamente non eravamo connessi e non ci siamo parlati” ha ammesso coach Kerr su quella che è diventata la peggior sconfitta da quando siede in panchina. “Non siamo riusciti a rimetterci in sesto dopo quella partenza lenta e non abbiamo mai trovato ritmo. Possiamo solo gettare questa partita nello scarico e andare avanti”. Nonostante questa sconfitta li abbia fatti scivolare al secondo posto nella Western Conference, nello spogliatoio degli Warriors continua a regnare la calma: “Non c’è niente di strano: tutti noi siamo stati battuti sonoramente in casa prima di oggi” ha detto Kevin Durant. “So che qui è diverso per tutte le vittorie che abbiamo accumulato negli ultimi anni, ma siamo pur sempre nella NBA e tutti hanno fatto parte di partite terribili. La buona notizia è che domani torniamo in campo”. Ad attenderli in casa ci sono i Detroit Pistons e coach Kerr ha annunciato ulteriori cambiamenti di rotazione. D’altronde, il vero obiettivo si giocherà nei prossimi mesi e arrivarci in salute è più importante che vincere una partita a marzo.