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NBA, ritirata la n°20 di Manu Ginobili: "È stato Leo Messi con un pallone da basket"

NBA

"Senza di lui non avremmo vinto": le parole di Gregg Popovich incoronano la carriera di uno dei più forti giocatori internazionali mai sbarcati nella NBA. Che davanti al suo pubblico, ai suoi compagni e alla sua famiglia ha festeggiato il ritiro della sua maglia n°20

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Le parole che forse definiscono meglio la classe, il talento, il genio di Manu Ginobili arrivano da Sean Elliott, per anni suo compagno a San Antonio e uno degli otto giocatori la cui maglia è già stata ritirata dagli Spurs: “Manu è stato Leo Messi con un pallone da basket”. E Manu è stato onorato in una bellissima festa arrivata iniziata già all’intervallo della gara contro Cleveland – con la tavola rotonda a cui hanno partecipato tantissimi membri della Generacion Dorada del basket argentino, da Luis Scola a Fabricio Oberto – e che ha avuto il suo culmine nel ritiro della n°20 nero-argento a fine gara, vinta dagli Spurs 116-110 contro i Cavs. Al centro del parquet dell’AT&T Center, con la moglie e i tre figli da una parte, le persone più importanti della sua carriera a San Antonio schierate dall’altra – il general manager R.C. Buford, Tim Duncan, Gregg Popovich, Fabricio Oberto, Tony Parker e Sean Elliott – e in mezzo i 4 Larry O’Brien Trophy vinti da Ginobili in 16 anni con la maglia degli Spurs, Ginobili ha ringraziato organizzazione, compagni e tifosi ricordando le parole del tweet con cui lo scorso 27 agosto aveva annunciato ufficialmente il suo ritiro: “Ho scritto di aver avuto una carriera oltre ogni mio sogno più selvaggio, ed è stato davvero così”, ha detto tra il boato del pubblico. “Sono stato fortunato. Ho ricevuto delle ottime carte e non ho dovuto far altro che giocarmele bene: è tutto quello che ho fatto”. In una carriera che oltre ai 4 titoli NBA lo ha visto vincere anche una medaglia d’oro olimpica con la nazionale argentina e un’Eurolega con la maglia di Bologna (con annesso premio di MVP), Ginobili ha chiuso le sue 16 stagioni NBA – tutte con la maglia degli Spurs – nella top 5 della franchigia per partite disputate (1.057 di stagione regolare più 218 di playoff), punti (14.043), assist (4.001) e recuperi (1.392). “Senza di lui non avremmo mai vinto”, ha detto il suo allenatore Gregg Popovich, incoronando così la carriera e l’impatto di un giocatore straordinario, pezzo fondamentale di quei “Big Three” che con Tim Duncan e Tony Parker sono stati alla base di tutti i successi di San Antonio. “Mi ha fatto capire che cercare di allenarlo troppo non aveva senso. All’inizio era un puledro scatenato in una prateria, viveva e giocava così, senza mai paura, selvaggio – ed era questo suo approccio che ci permetteva di vincere le partite. Provavo a dirgli che avrebbe potuto fare questo o quello, senza accorgermi che quello che già faceva in campo era proprio ciò che ci faceva vincere. Allora ho imparato a stare zitto. Manu non puoi fermarlo, non puoi contenerlo e a volte questa sua esuberanza mette alla prova la tua pazienza, ma alla fine ho capito che non avrebbe avuto bisogno di nessun tipo di istruzione da parte mia. Sapeva tutto quello che doveva fare. Un giocatore incredibile – ha concluso coach Pop – ma una persona ancora migliore, e per quanto la pallacanestro per lui fosse tutto, la sua ossessione, al centro della sua vita ci sono sempre state queste 4 persone qui”, ha detto indicato moglie e tre figli, seduti accanto a Ginobili.

Parker: “Il suo ego sempre all’ultimo posto: è stato la definizione della pallacanestro Spurs”

Popovich poi ha continuato a raccontare l’impatto avuto da Manu, soprattutto al suo arrivo: “Questo ragazzo magrolino che non aveva paura di nulla, che si lanciava a sfidare gente di 2.13, che cadeva e si rialzava ogni volta: la sua ferocia agonistica è stata di ispirazione per tutti, contagiosa. Nel corso degli anni poi è migliorato, ha aggiunto il tiro da tre punti, è sempre stato un passatore fantastico, ha sempre avuto il dono di capire istintivamente il gioco”. Le parole di ammirazione sono arrivate poi anche da quelli che sono stati i suoi compagni di avventura per oltre tre lustri: chi ha scherzato, come Tim Duncan, ricordando la pronuncia assurda con cui il nome di “Emanuel Ginobili” è stato pronunciato per la prima volta la notte del Draft (con il caraibico davanti alla tv incredulo che gli Spurs avessero scelto un giocatore a lui completamente sconosciuto…), chi ha fotografato meglio di chiunque altro la sua personalità, come Tony Parker (“Il suo ego veniva sempre all’ultimo posto: è stato l’epitome di quella che chiamiamo la pallacanestro degli Spurs”) e chi non ha lesinato su complimenti davvero sentiti, come Patty Mills: “La sua eredità va ben oltre il campo. La passione, l’energia, il gusto della competizione di Manu hanno influenzato tutti, compagni, allenatori e tifosi in tutto il mondo. Mi sento onorato ad aver giocato con lui: per me è stato un modello, un giocatore e una persona che ha avuto un impatto fortissimo sulla mia carriera. Manu è sempre stato il giocatore che si è impegnato di più perché in spogliatoio tutti andassero d’accordo con tutti, il suo ruolo era fondamentale in campo ma anche a cena, al ristorante, nei mille caffè presi assieme al bar. Il nostro legame è merito suo”.

L’omaggio di Belinelli: “Un campione vero”

Non potevano mancare le parole anche di Marco Belinelli, uno dei pochi privilegiati ad aver vissuto il Ginobili giocatore e uomo in tutti i suoi contesti, in Italia come in America, da compagno come da avversario. “Ha aperto le porte per tanti giocatori internazionali come me e quando è arrivato lui nella NBA non ce n’erano così tanti come oggi, lo scenario era molto più difficile, affermarsi era più complicato. Tanti giocatori, di ogni angolo del mondo, hanno sognato di giocare nella NBA grazie a lui: Manu è stato un campione vero, uno che ha vinto tutto, a livello internazionale con Bologna e con la nazionale e poi anche nella NBA”. “È stato uno dei primi a portare in America un modo diverso di giocare a basket – gli ha fatto eco Boris Diaw – qualcosa di unico, qualcosa che poi tutti hanno voluto imitare, a partire dal suo euro-step”. E allora a chiudere forse valgono come suggello le parole ancora di Tim Duncan: “Vedevi cose che nessun altro vedeva, in campo. Facevi cose che nessuno neppure si azzardava a provare. Eri incredibile”.