La voglia di sconfiggere gli Warriors, l'ammirazione per gli Spurs ("La loro sintonia gm, allenatore, superstar la chiave del loro successo"), lo stupore davanti a due "menti" di pallacanestro come James Harden e Chris Paul. Sempre super interessanti le opinioni del general manager di Houston
La sua ossessione è risaputa, da tempo. Non la nasconde e anzi, l’ha ripetuta più e più volte. “Battere i Golden State Warriors”. Quando domani sera iniziano i playoff gli Houston Rockets del loro general manager Daryl Morey avranno un’opportunità in più di farlo — e potrebbe arrivare già in uno scontro diretto in semifinale di conference. Intanto però, prima del via della serie di primo turno contro gli Utah Jazz, Morey ha concesso una lunga e interessante intervista a Kelly Iko, pubblicata sul sito The Athletic. Senza quel canestro di Paul George a 1.9 secondi dalla fine (e relativa sconfitta dei Rockets contro OKC nell’ultima gara stagionale), oggi Houston avrebbe la testa di serie n°2 e la certezza di incontrare eventualmente Golden State solo in finale di conference. Invece… “I giocatori magari no, ma noi nel front office certo che pensiamo a quali possono essere gli incroci migliori. Tilman Fertitta [il proprietario dei Rockets, ndr] gestisce casinò per professione: volete che non voglia approfittare anche del minimo vantaggio possibile, se può averlo?”. Houston invece ha chiuso con 53 vittorie e 29 sconfitte la stagione regolare (lo stesso record di Portland) e la quarta testa di serie. Un passo indietro rispetto ai 65 successi inanellati lo scorso anno, buoni per la testa di serie n°1 a Ovest, ma già un miracolo se si pensa a come era iniziata la stagione dei texani. “Vivevo il nostro record di 11-14 con assoluto terrore, lo ammetto”, dice. “Non abbiamo avuto una stagione perdente negli ultimi 13 anni e sicuramente non possiamo permettercela se abbiamo a roster due dei più forti giocatori della NBA in James Harden e Chris Paul. Da questa considerazione sono nati tutti i movimenti di mercato che abbiamo fatto nel corso dell’anno [via Carmelo Anthony, James Ennis, Michael Carter-Williams, Brandon Knight e Marquese Chriss, dentro Danuel House, Austin Rivers, Kenneth Faried, Iman Shumpert, ndr], perché se non stai dando una reale chance di vincere il titolo a Chris e James vuol dire che devi cambiare qualcosa finché non ci riesci. Se hai in squadra il miglior giocatore al mondo, non puoi accettare niente di meno che di lottare per l’anello”.
Le lodi a James Harden e Chris Paul
E quella definizione — “il miglior giocatore al mondo” — Morey non la spende a caso per James Harden, per Morey il principale motivo per cui i Rockets sono riusciti a reagire dopo la pessima partenza stagionale (“Ci ha salvato il c**o”, dice senza mezzi termini). “Se si guarda ai suoi ultimi 4 anni penso che la gente fra qualche anno sarà concorde nel sostenere che James avrebbe dovuto vincere almeno due titoli di MVP — e magari lì vincerà, non è detto. O magari dirà che avrebbe dovuto vincerne 4 in fila, ma è probabile di no, perché spesso la gente manca di razionalità, oppure prova a essere razionale solo quando in realtà ha già deciso. Io sono convinto che - a parte il premio vinto l’anno scorso — Harden avrebbe dovuto essere MVP almeno un altro anno, ma non dico quale. Fra un po’ di tempo la gente riguarderà a quella stagione e penserà che gli è stata fatta un’ingiustizia. Non è il caso di quest’anno: quest’anno l’opinione sarà che entrambi i giocatori [Harden e Giannis Antetokounmpo, ndr] avrebbero potuto meritarselo”. Alle lodi per il suo n°13, Morey unisce quelle per Chris Paul, in particolare per la capacità di reinventare la sua pallacanestro una volta divenuto un Rocket: “Era già stato in altre squadre, aveva già avuto successo in altri contesti di gioco. Eravamo convinti avesse le qualità necessarie per giocare bene anche nel nostro sistema, ma non l’aveva mai fatto. Lui ha cambiato completamente la sua pallacanestro per massimizzare le nostre chance di vittoria e lo ha fatto con una naturalezza e un’immediatezza di cui bisogna rendergli credito. Non in tanti ci sarebbero riusciti”.
Le strategie di mercato e un obiettivo: convincere Sergio Llull
Da 13 anni nel ruolo di general manager, Morey poi passa a esaminare alcuni degli aspetti della gestione di una franchigia come i Rockets: “La sintonia tra gm, allenatore e superstar della squadra è essenziale, e i San Antonio Spurs non hanno mai spesso di avere successo proprio per questo motivo”, dice. “Il secondo miglior record dietro al loro è il nostro, e il motivo è lo stesso: con D’Antoni, con Harden e Paul, ma anche con Tilman Fertitta si è stabilito un approccio molto collaborativo. Credo e crediamo molto nel valore delle persone che assumiamo e quindi nel contributo che ciascuna di loro può portare alla causa: magari nessuno di noi sa individualmente dove stiamo realmente andando a parare, ma sommando opinioni e idee di tutti spesso e volentieri la direzione è quella giusta”. Un approccio di concerto davvero interessante, che fa il paio con la costante ricerca — che ha ormai reso celebre il gm di Houston — del prossimo grande colpo di mercato. “Vogliamo provarci ma sappiamo che non sarà facile, perché il nostro nucleo di giocatori già lo abbiamo e di conseguenza di spazio salariale disponibile ce n’è poco. I giocatori forti vengono pagati, in questa lega, e se non siamo noi a poterlo fare ci sarà sempre qualcun altro pronto a farlo. Sul fronte dei giocatori da prendere al minimo contrattuale, però, la scorsa estate abbiamo fatto un paio di errori che vorremmo evitare di ripetere: quest’estate ho aspettative più alte in questo senso”. Un nome nuovo in arrivo nel Texas potrebbe essere quello — molto conosciuto — della star del Real Madrid Sergio Llull, di cui i Rockets detengono da anni i diritti: “Tanti giocatori internazionali sono arrivati nella NBA alla sua età [31 anni, ndr] o anche più tardi. Noi saremmo pronti ad accoglierlo a braccia aperte se vuole provare l’avventura NBA: credo abbia ancora tanto da dimostrare, sia in Europa che in America, se vorrà farlo”.
I limiti del salary cap, quelli del Draft
Guardando al futuro immediato, appena prima del via al mercato e alla free agency (dal 1 luglio), Morey dovrà affrontare anche il Draft: “Che cambierei radicalmente, se fossi io il commissioner”, dice convinto. “Lo renderei meno vantaggioso per le squadre che perdono così tanto. Non c’è un altro business al mondo in cui il premio maggiore è destinato a chi fa peggio. Non credo sia una dinamica che faccia bene alla NBA”. Prima, però, ci sono dei playoff da affrontare con grandi ambizioni e con anche la solita dose di frustrazione, derivante nel caso di Morey non (o non soltanto) dai risultati: “L’aspetto più frustrante per me è accorgermi di non avere il controllo delle cose oltre una certa soglia. Alla fine è tutto nelle mani dei giocatori e degli allenatori, ed è per questo che a volte mi viene ancora difficile guardare le nostre partite. I playoff spesso si decidono sul risultato di un duello individuale tra i migliori giocatori, un risultato che non puoi prevedere e che può rendere la tua vita straordinaria se vinci o un inferno se perdi”. Anche perché, continua Morey, “il risultato ai playoff è tutto quello su cui veniamo giudicati. Possiamo disputare una gran stagione — e la nostra non è stata per nulla male — ma il giudizio finale alla fine dipenderà da quelle sfide di playoff che sono le meno prevedibile, su cui il nostro controllo delle variabili in campo è più ridotto. Il mio lavoro è provare a limitare la casualità di queste variabili al massimo, ma alla fine quello che conta è il risultato nei playoff”. Con buona pace di tutte le statistiche possibili.