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NBA, "Paura e delirio a Las Vegas": Lamar Odom tenta il ritorno nella lega BIG3

NBA

A Las Vegas è andato vicinissimo alla morte, a Las Vegas l'ex campione NBA con la maglia dei Lakers cerca un incredibile ritorno in campo (ispirato da LeBron James). Sarà in squadra con gli Enemies, al fianco di Gilbert Arenas

LAMAR ODOM RACCONTA IL SUO DRAMMA

ANCORA PROBLEMI PER LAMAR ODOM

Ancora Las Vegas, ancora Lamar Odom. All’ex campione NBA con la maglia dei Lakers nel 2009 e poi ancora nel 2010 non sfugge l’ironia che l’ennesima ripartenza di una carriera (e di una vita) alquanto travagliata arrivi proprio dalla città del Nevada ribattezzata “Sin City”, la città del peccato. “Qui sono andato vicinissimo a giocare al college [per i Runnin’ Rebels di UNLV, ndr], qui sono quasi morto [intossicato, nel famoso incidente occorso 4 anni fa, ndr] e ora qui voglio ripartire: è pazzesco come tanti episodi che hanno segnato e cambiato la mia vita siano occorsi qui”. L’ennesima ripartenza, per Odom, ha le sembianze di un posto in squadra negli Enemies, una delle nuove squadre della lega “BIG3” che aprirà il suo nuovo campionato nel weekend del 22 giugno (il primo dopo il termine delle finali NBA) e di cui l’ex Lakers farà parte insieme niente meno che a Gilbert Arenas. “Il mio piano è che giocare nella Big 3 possa rimettermi in forma per poi strappare un ultimo anno di contratto in Europa: vorrei fare ancora una stagione, poi sarei pronto a ritirarmi”. In Europa dopo l’incidente Odom aveva già cercato di resuscitare la sua carriera, ma l’esperienza con Baskonia era durata pochissimo (un mese e due partite). Le conseguenze di quell’incidente del 13 ottobre 2015 – “mentre ero in coma ho avuto 12 infarti e 6 arresti cardiaci: i dottori sono i primi a non credere che io sia ancora qui, un autentico miracolo su due gambe” – sono però ancora visibili: “Non riesco ancora a palleggiare bene come facevo una volta. Anche il mio ball handling non è quello a cui ero abituato. Mi veniva tutto naturale, era un dono del Signore, oggi credo che Lui abbia voluto tenermi in vita ma abbia scelto di togliermi un po’ di questo talento. Prima che la stagione della “BIG3” parta ho ancora un mese: voglio rimettermi in forma”. Perché proprio dalla lega fondata da Ice Cube Odom vuole provare a ripartire, senza proclami e ben consapevole di non essere più il fenomeno visto in NBA: “Quando mi sono risvegliato dal coma non potevo né parlare né camminare: il fatto solo di essere qui è già in sé una vittoria, non avrei mai pensato di poter ancora giocare a basket”, dice.

“BIG3”, da Odom a Greg Oden: la lega delle seconde opportunità

Anche perché i postumi di quel periodo tremendo – quando a lungo si è temuto per la vita dell’ex gialloviola – sono evidenti: “La mia memoria fa schifo, soprattutto quella a breve termine. Non riesco a ricordarmi nulla, è frustrante. Se c’è un simbolo dei danni dell’Alzheimer, quello sono io. Mi spaventa, prima o poi mi dovrò far vedere da un dottore, provare a far qualcosa. Ho paura”, ammette Odom. Che però vuole approfittare della lega “BIG3” – una lega che vuole essere “il luogo delle seconde opportunità”, si legge sul sito ufficiale – per rilanciarsi, così come tanti dei nuovi protagonisti scelti al Draft 2019 appena tenutosi a Las Vegas. Alla n°1 infatti proprio gli Enemies hanno scelto Royce White, altro giocatore problematico per via di riconosciuti disturbi comportamentali, mentre alla n°3 i 3-Headed Monsters provano a resuscitare la carriera di Larry Sanders, il lungo ex Bucks. Nessuno però ha fatto più notizia di Greg Oden, scelto alla n°7 dagli Aliens dopo essere stato invece la scelta n°1 assoluta della NBA nel 2007 (davanti a un certo Kevin Durant).

Lamar Odom torna a parlare dei Lakers (di ieri) e di LeBron

Che l’esperienza negli Enemies riesca a rilanciare o meno la carriera di Lamar Odom, le sue idee sul passato nella NBA (e sui problemi che lo hanno portato quasi vicino alla morte) sono chiare: “Tutto ha iniziato a crollare quando i Lakers mi hanno scambiato con Dallas [l’11 dicembre 2011, ndr]”, racconta lui. “Quella trade mi ha fatto male. Avevano appena ucciso mio cugino, i Lakers lo sapevano, così come sapevano che stavo già soffrendo per aver perso mio figlio. Non dico che avrebbero dovuto proteggermi, ma io ero reduce da un’annata in cui avevo vinto il premio di sesto uomo dell’anno, non mi aspettavo che potessero scambiarmi”. Le dinamiche di quello scambio, poi, si arricchiscono di un particolare bizzarro, con la testimonianza di un amico e assistente di Odom che racconta come l’allora allenatore dei Lakers Mike Brown non fosse neppure a conoscenza della trade: “Mi chiamò al cellulare chiedendomi come mai Lamar non fosse in palestra per l’allenamento. Gli dovetti dire che lo avevano ceduto, lui non sapeva nulla”. Non certo una grande pubblicità per l’organizzazione gialloviola, che da allora ha sicuramente vissuto più dolori che gioie, con le ultime sei stagioni concluse senza nessuna apparizione ai playoff: “LeBron l’anno prossimo li riporterà alla postseason - dice Odom – ne sono convinto, e proprio dopo aver visto tutte le 82 partite disputate a 33 anni da James in maglia Cavs lo scorso anno mi sono convinto che avrei potuto e dovuto cercare un ritorno in campo. Mi ha fatto venire voglia di tornare in palestra, accettando anche con umiltà l’idea di non poter più essere me stesso. Se fallirò, fallirò – ma tornare a giocare per me è già una vittoria”.