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Playoff NBA, "Dame Time": l’orologio di Damian Lillard si è inceppato nel finale

NBA

Il possesso decisivo, quando di solito l'All-Star di Portland mette la firma sulle gare, stavolta lo ha tradito. Ma più ancora della giocata difensiva di Iguodala, a limitare Lillard forse è stato il carico di minuti che, tra stagione regolare e playoff, è costretto a sopportare

GOLDEN STATE IN VOLATA: 2-0 CONTRO PORTLAND

C.J. MCCOLLUM INCONTRA JENNIFER

L’account Twitter di Golden State of Mind — uno dei migliori blog che si occupa di tutto l’universo Warriors — lo ha sintetizzato nel modo più divertente: “Iguodala ha appena rubato l’orologio ‘Dame Time’ e al momento lo sta vendendo all’angolo tra la 98esima Strada e Mac[Arthur Blvd]”. Perché con gara-2 in equilibrio, il punteggio quasi in parità (+3 Golden State) e la palla nelle mani del n°0 dei Portland Trail Blazers, tutti i tifosi dell’Oregon speravano nell’ennesimo capitolo di quel romanzo avvincente intitolato “Dame Time”, ovvero gli eroismi di Damian Lillard sul finire delle partite (chiedere a Paul George e agli Oklahoma City Thunder per eventuali delucidazioni). Invece uno dei migliori difensori NBA, Andre Iguodala, è uscito vincente dal duello diretto con Lillard sul possesso più importante della serata, prima disturbando il palleggio della point guard dei Blazers e poi in un secondo tempo riuscendo perfino a strappargli il pallone, mettendo fine così alle speranze di overtime degli ospiti. “So che per gli arbitri è difficile fischiare in un contesto come quello, in un momento così delicato della partita. Io ho cercato di crearmi un po’ di spazio — racconta Lillard — ma lui mi ha afferrato il braccio, facendomi perdere un po’ il controllo del pallone. Quando l’ho ripreso, volevo andare al tiro ma è stato bravo a mettere la sua mano sul pallone”. Una descrizione onesta, in linea con il personaggio del campione nativo di Oakland — uno che non ha mai cercato una scusa in tutta la sua carriera — che fotografa così i 10 secondi più importanti della gara e, forse, dell’intera stagione di Portland: “Da attaccante, per me su quella giocata c’è stato contatto, molto contatto. Ovviamente però l’arbitro non vuole decidere la partita intervenendo con un fischio in un contesto così delicato. Lo sappiamo, è così, per cui… è stata una buona giocata difensiva”. Non la prima e non l’ultima di una prestazione ancora una volta decisiva di Andre Iguodala ma è stata, anche, una giocata — non la prima e forse non l’ultima — in cui Lillard in gara-2 ha dimostrato una lucidità non ottimale, in cui ha dato l’impressione di non essere quel mostruoso computer — freddo e infallibile — che solitamente è. Tutta la sua gara, chiusa comunque come top scorer dei suoi a quota 23 punti — il che dà l’idea del suo talento — è sembrata in qualche modo sospetta, a partire da un primo quarto chiuso con 0 punti e 0/3 al tiro (ma 4 assist).

Quanti minuti: la stanchezza limita Lillard?

Damian Lillard nasconde qualche tipo di infortunio? Damian Lillard non è arrivato alla sfida contro gli Warriors nelle sue condizioni ottimali? Alla prima domanda non si avrà mai risposta (almeno non a breve). Alla seconda si può forse fornire una spiegazione. Che ha a che fare con una sola parola: stanchezza. Dopo aver chiuso la stagione regolare al sesto posto in tutta la lega sia per minuti disputati (2.838) che per tempo medio trascorso in campo a ogni singola gara (35.5 a sera), i Blazers stanno facendo affidamento ancora di più sul proprio All-Star da quando sono iniziati i playoff. Che per Portland — ricordiamolo — vogliono già dire 14 gare disputate, 5 al primo turno contro OKC, 7 contro Denver e ora 2 contro Golden State. In questa postseason, per numero totale di minuti disputati, nessuno viene utilizzato più di Lillard che è rimasto in campo la bellezza di 567 minuti, una media di 40.5 che lo piazza alle spalle (di un nulla) soltanto di Paul George, che proprio nelle cinque gare contro Portland aveva viaggiato a 40.8. “Assomiglia a un lanciatore del baseball che ha già lanciato 400 inning — si legge sul quotidiano locale di Portland — e a cui vengono chieste un altro paio di eliminazioni. Ha già fatto così tanto per questa squadra. In difesa insegue in continuazione un gruppo di All-Star attraverso una serie infinita di blocchi. In attacco deve combattere contro blitz e trappole difensive, senza mai smettere di passare il pallone [Lillard ha chiuso con 10 assist, il suo massimo finora in questa edizione 2019 dei playoff, ndr], palleggiare, segnare e cercare di vincere le partite”. Si spiega forse allora anche così la poca lucidità di Lillard e di tutti i Blazers nel finale di gara-2, con la squadra di coach Stotts che ha sbagliato 8 degli ultimi 9 tiri (tutte fuori bersaglio anche le ultime cinque conclusioni della gara di C.J. McCollum negli ultimi quattro minuti) permettendo a Golden State di infilare il parziale decisivo di 14-3 che ha chiuso la gara, dopo che a 4 minuti e mezzo dalla sirena finale Portland era ancora in vantaggio di 8 punti, 108-100. Un’occasione sprecata, sì, ma soprattutto il sospetto che le due superstar di squadra possano avere finito la benzina. Un sospetto da mettere alla prova sabato notte quando Blazers e Warriors si incontrano di nuovo per gara-3 (in diretta con commento italiano alle 3 di notte su Sky Sport NBA), la prima sul parquet del Moda Center di Portland: l’aria di casa ridarà nuova energia a Lillard e compagni?