Costruita nel 1966, è stata la casa degli Warriors per 47 stagioni e ha visto la squadra passare dal fondo delle classifiche NBA al vertice. I ricordi di Steve Kerr, Klay Thompson e Draymond Green celebrano il mito della Oracle Arena
OAKLAND — Per l’ennesima volta a Steve Kerr viene chiesto un suo ricordo della Oracle Arena, il campo di casa degli Warriors che apre stanotte le sue porte per l’ultima recita di sempre, prima che la squadra — dalla prossima stagione — attraversi il ponte si trasferisca a San Francisco, per giocare nel nuovissimo Chase Center. “Un posto bellissimo dove giocare, sempre, anche quando gli Warriors non erano certo la squadra da battere della NBA”, dice. “Si poteva sentire un’energia speciale, un’atmosfera particolare, il rumore del pubblico non mancava mai: poi negli ultimi 5 anni il nostro successo in campo si è combinato con tutto questo e ha creato qualcosa di davvero speciale”. Per rintracciare il suo ricordo più caro, l’allenatore infatti va indietro fino “all’inizio di tutto: la vittoria in finale di Western Conference in gara-5 contro Houston nel 2015, che ha voluto dire qualificarci per le prime finali: non avevo mai visto nulla del genere”, ricorda Kerr. Se ne è parlato tanto durante l’anno di questo addio — a Oakland e alla Oracle, un’arena sicuramente superata ma che proprio per questo ha finito per assumere un fascino particolare — e i tributi alla storia degli Warriors dentro queste mura (47 stagioni ricordati nel banner alzato al cielo in occasione dell’ultima gara di regular season — banner che poi seguirà la squadra al Chase Center) non sono mancati. “Un posto speciale — lo chiama Draymond Green — dove ho trascorso sette anni, pieni di grandi momenti e di splendidi ricordi. Parlare della Oracle mi lascia una sensazione dolce-amara perché oggi segna la fine di qualcosa ma penso anche l’inizio di qualcos’altro di altrettanto speciale. Sarebbe speciale per tutti i tifosi che sono sempre stati al nostro fianco lasciarli con un’ultima vittoria che ci manda a Toronto per gara-7”, l’augurio di Green. “Ci aspettiamo che i tifosi siano più rumorosi che mai, che ci trasmettano lo spirito giusto per lottare ed essere competitivi al massimo — afferma anche Klay Thompson — e poi anche per Kevin: voglio che il tifo stanotte sia anche per lui”.
La Oracle Arena, brutta ma amatissima
Costruita nel 1966, ha aperto due anni prima dell’attuale Madison Square Garden e addirittura 24 prima di quello che è il terzo palazzetto più vecchio di tutta la NBA, il Target Center di Minneapolis. Per dire che la Oracle è vecchia, non certo bella, quasi abbandonata in mezzo al nulla di un parcheggio enorme, un mare di asfalto sterminato occupato soltanto da quello che per molti è il fratello maggiore, il Coliseum casa degli Athletics e dei Raiders (anche loro in uscita verso Las Vegas). Chi non arriva in auto raggiunge la Oracle con la BART, la metropolitana che unisce San Francisco alla East Bay. Dalla stazione all’entrata si percorre un lungo ponte pedonale se possibile ancora più brutto e anacronistico della vecchia arena — eppure, alla vigilia dell’ultima gara mai disputata alla Oracle, perfino il ponte viene celebrato sui quotidiani locali della Baia. Fa niente, viene scritto, “che sembri progettato da un architetto di strutture penitenziarie” e che “come nel cortile di una prigione di massima sicurezza l’unica vista che si ha è quella del cielo sopra la propria testa, perché sotto i piedi c’è del cemento e ai lati delle alte grate ricurve per impedire di scavalcare”. Quello che conta — si racconta — è l’atmosfera che si respira tra venditori di birre e hot dog e “un’eccitazione crescente, quella tipica di quando si cammina tutti verso un’unica direzione — attorniati da persone che stanno vivendo esattamente le tue stesse sensazioni”. Ecco, stanotte quelle sensazioni verranno vissute per l’ultima volta, prima di una gara che resterà speciale, una partita di finale NBA che all’intervallo vedrà lo show di E-40 e Too $hort, due tra i tanti artisti hip-hop locali che hanno messo Oakland sulla mappa mondiale prima ancora di Steph Curry e Klay Thompson. Sarà un’ultima grande festa, da celebrare se possibile con una vittoria, magari la penultima della stagione. E poi la Oracle Arena spegnerà le sue luci per sempre.