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Team USA, Colangelo: "Ho detto no a Carmelo Anthony. E so perché le stelle non ci sono"

NBA
colangelo

Il capo di Team USA ha parlato a ruota libera dei motivi per cui così tante stelle hanno rinunciato agli impegni con la nazionale a stelle e strisce e del no a Carmelo Anthony, ma non intende rinunciare alla supremazia sul mondo del basket

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Se c’è un leit-motiv che ha accompagnato fino ad ora l’avventura di Team USA ai Mondiali 2019 è certamente quello delle assenze. Uno dopo l’altro i migliori giocatori pre-convocati da Gregg Popovich hanno rinunciare a vestire la maglia della nazionale a stelle e strisce, da James Harden a Anthony Davis fino ad arrivare a Damian Lillard e tanti altri. E questo ha fatto nascere nella testa di molti l’idea che questa versione degli Stati Uniti sia battibile dopo 13 anni in cui gli USA non hanno mai perso una partita, con l’ultima sconfitta che risale al lontano Mondiale giapponese del 2006 contro la Grecia. Quel passo falso rimane l’unica partita persa da quando Jerry Colangelo è stato messo a capo della nazionale statunitense dopo le disastrose Olimpiadi di Atene 2004, per un record complessivo di 88-1 che non lascia dubbi su chi abbia dominato il mondo della pallacanestro dal 2006 in poi. Ma con tutte queste assenze è possibile mantenere questa supremazia? "Che cosa dovremmo fare? Partire battuti fin dall’inizio? Non è una cosa che può succedere" ha detto Colangelo in una lunga intervista con The Athletic per fare il punto all’inizio del training camp della nazionale. "L’anno scorso abbiamo invitato tutti a Las Vegas e ciascuno di loro ci ha detto ‘Voglio giocare’. Ma non posso farci niente se cambiano idea per qualsivoglia motivo: posso solo accettarlo, non ho alcun potere sui giocatori. Ovviamente siamo rimasti delusi sul momento, ma bisogna andare oltre e lavorare sul miglior gruppo possibile. E sono molto fortunato: abbiamo ottimi giocatori e soprattutto siamo sicuro che tutti i presenti vogliono davvero essere qui. È già un ottimo inizio".

I motivi delle assenze delle stelle: "La cultura è diversa rispetto al passato"

Colangelo è stato estremamente chiaro anche nel delineare i motivi per cui così tanti giocatori di alto livello hanno deciso di rinunciare all’impegno nonostante la parola data. "Devo essere realistico: c’è una cultura diversa rispetto a 12-14 anni fa. I giocatori guadagnano tre volte i soldi che prendevano a quei tempi. Gli agenti sono ancora più potenti in termini di controllo e anche le squadre, avendo investito così tanti soldi su quei giocatori, sono un po’ più esitanti a concederli per le competizioni FIBA. Il formato poi ha avuto il suo peso: avere due estati consecutive di impegni [l’anno prossimo ci saranno le Olimpiadi di Tokyo, ndr] è terribile da quel punto di vista. Capisco il ragionamento di un proprietario: ha investito 150 milioni di dollari su un giocatore, se proprio vuole andare in nazionale si può trovare un modo , ma di sicuro non lo incoraggerà ad andare. Il nuovo formato della FIBA poi ha favorito tutti in giro per il mondo tranne che noi perché la stagione NBA è più lunga delle altre. Ma ho le spalle larghe e capisco cosa sta succedendo: la vita va così, dobbiamo riuscire ad adattarci".

Il no a Carmelo Anthony: "Sarebbe stata una distrazione"

Con così tante assenze, si era sparsa la voce che potesse essere l’occasione giusta per riportare in Nazionale un giocatore che ha fatto la storia di Team USA come Carmelo Anthony, il primo a vincere quattro medaglie olimpiche consecutive (tre ori e un bronzo nel 2004). Colangelo però ha spiegato con grande trasparenza il motivo del suo no all’ex giocatore dei ROckets: "Prima di tutto voglio dire che ho un grande rapporto con Melo: in nazionale ha giocato anche meglio di quanto abbia fatto in NBA. Capisco perché il suo agente abbia cercato di dargli un po’ di visibilità per fargli guadagnare un posto in NBA: recentemente è stato aggressivo sui media per far sapere alla gente che sa ancora giocare, che ha bisogno solo di un’opportunità e bla, bla, bla. Ma per noi sarebbe stata una distrazione: abbiamo bisogno di concentrarci su un concetto di squadra e abbiamo dei nuovi giocatori in questo gruppo. E quando inserisci un elemento che ha obiettivi diversi, perdi questo concetto. Non è una questione legata a Melo, a cui voglio bene: è che non sarebbe stato di aiuto per il nostro programma in questo momento".

Il precedente del 2010 e la mancanza di ego: "Chi è qui sa di avere un’opportunità"

La speranza ora per Colangelo è che questo gruppo ricalchi le orme di quello del 2010, quando una squadra formata da giovani come Kevin Durant, Derrick Rose, Stephen Curry, Russell Westbrook e Kevin Love vinse l’oro in Turchia nonostante l’assenza di quasi tutti i “big” del Redeem Team di Pechino 2008. "Quattro di quel gruppo hanno finito per vincere l’MVP nella NBA: è un grande esempio di quanto talento ci sia in questo paese. Ora non abbiamo nessun ego che ci possa distrarre dal nostro obiettivo: tutti quelli che sono qui sono contenti di esserci e sanno di avere una grande opportunità davanti a loro". E non fa neanche finta di non sapere quello che il resto del mondo sta cominciando a pensare: che gli USA, dopo 13 anni, possano tornare battibili. "Siamo un bersaglio, siamo quelli in cima e tutti gli altri vogliono tirarci giù. Ma va bene: è il motivo stesso per cui esiste lo sport. Tutti vogliono competere. Tutti vogliono vincere. Tutti vogliono vincere. Ma torno a quello che ho detto prima: cosa dovremmo fare, rinunciare e farci fa parte? Non succederà". Lo scopriremo di sicuro dal 31 agosto in poi, data di inizio dei Mondiali di Cina.