Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, Bob Cousy onorato con la Medal of Freedom alla Casa Bianca: "Voterò Trump"

NBA

Il grande playmaker dei Celtics a cavallo tra gli anni '50 e '60 riceve la massima onoreficenza civile dal presidente Donald Trump: "Il razzismo esiste ancora, non mi piace il clima divisivo della discussione pubblica". E tra Arthur Ashe e Bill Russell sceglie il primo

BASKET D'ESTATE, BOOKER NON ACCETTA I RADDOPPI: E' POLEMICA

Bob Cousy ha da poco compiuto 91 anni, ha vinto tutto in campo – per 6 volte si è laureato campione NBA con i Boston Celtics tra il 1957 e il 1962 – e visto tutto fuori dal campo, tanto da aver ricevuto nella sua vita altrettanti inviti alla Casa Bianca. “La prima volta nel 1954 con Dwight Eisenhower, poi nel 1963 con John F. Kennedy. Due anni più tardi ho ricevuto un premio dalle mani di Lyndon B. Johnson, ma ho partecipato a una serata anche con Ronald Reagan. Questa in totale è il settimo invito che ricevo”. Questa volta da Donald Trump, che ha scelto di assegnare all’ex playmaker dei Boston Celtics il massimo riconoscimento civile (quindi non militare) per un cittadino USA: la Presidential Medal of Freedom. Viene conferita “per contributi eccezionali alla sicurezza o all’interessa nazionale del Paese, per il contributo dato alla pace mondiale o in settori culturali o di altro tipo, pubblici e privati”. Tra questi c’è anche lo sport, ma – è proprio Cousy il primo a sottolinearlo – l’uomo conosciuto come “The Houdini of hardwood” si metterà al collo la medaglia anche per il ruolo recitato lontano dal campo. A Cousy, infatti, si deve la fondazione dell’Associazione Giocatori (nata grazie a lui nel 1955) ma la sua voce a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 si è fatta sentire anche su un tema ancora scottante come quello del razzismo. Che Cousy oggi affronta così: “Sono contento che oggi l’argomento sia al centro della discussione pubblica. Non penso che gli Stati Uniti siano un Paese razzista ma, che ci piaccia o no, il razzismo esiste, ancora oggi. Non l’abbiamo affrontato come avremmo dovuto, e per un moderato come me il fatto che oggi se ne parli così tanto è un  buon segno, spero porti a una soluzione del problema”. Cousy si definisce “moderato” e non fa mistero della sua appartenenza politica: “Io e mia moglie siamo registrati come indipendenti da 63 anni, perché non abbiamo mai voluto legarci a un’ideologia, che sia nel campo democratico o repubblicano. Non ho votato per Trump alle ultime elezioni, ma neppure per Hillary Clinton”, ammette: “Il mio voto è andato per il candidato libertario Gary Johnson”. Sarà però il controverso Donald Trump a mettergli al collo la medaglia presidenziale, ma Cousy non ci vede niente di male: “Non ho mai pensato di boicottare il suo invito, neanche per idea. E anzi, nel 2020 voterò sicuramente per lui: come tanti americani sono d’accordo con alcune delle sue politiche pur contestandone altre. Quello che non accetto, da moderato quale sono, è l'uso di un linguaggio così divisivo, questa polarizzazione estrema che non ho mai visto prima nei 90 anni della mia vita".

[Nella foto, Bob Cousy alla Casa Bianca con Lyndon B. Johnson - foto Getty]

Cousy: “La lotta al razzismo? Per me meglio Arthur Ashe di Bill Russell”

Bob Cousy divanta solo la 33^ persona a ricevere la Presidential Medal of Freedom e andando a raggiungere Bill Russell (premiato nel 2011 da Barack Obama) affianca la coppia degli Yankees Babe Ruth-Yogi Berra come l’unica coppia di compagni di squadra degni di questo onore. “Bill ha combattuto in prima persona la battaglia contro il razzismo a suo modo, spesso sopra le righe, come quando ha definito Boston un ‘la città più razzista del mondo’. Voleva attirare attenzione, l’ha fatto a modo suo, che mi trovasse d’accordo o meno: non giudico il come”, osserva Cousy, che però ammette: “Ho però grande rispetto per come ha combattuto la stessa battaglia Arthur Ashe, senza mai diventare uno ‘Zio Tom’ ma senza neppure alienare e spaventare l’America moderata. Era più vicino al modo di predicare di un Martin Luther King, alla base di tutto c’era l’amore, in un approccio opposto a quello di Russell”. Conquiste razziali a parte, il ruolo di Cousy per una NBA più giusta ed equa si ritrova anche nella crescita dei salari corrisposti oggi ai giocatori: “Ripetevo spesso di essere il giocatore più pagato di tutta la lega nel 1963, e prendevo 35.000 dollari all’anno. Non è fantastico? Quarant’anni dopo un certo Michael Jordan guadagnava 35 milioni di dollari e l’anno scorso LeBron ne ha presi 40. Credo e spero di aver avuto un piccolo ruolo anche in queste conquiste”. Tanto da guadagnarsi il settimo invito alla Casa Bianca.