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LeBron James non parlerà più della Cina: “Siamo leader, non politici”

NBA

Dopo le parole di ieri contro Daryl Morey, LeBron James ha parlato per l’ultima volta di quanto successo in Cina prima di ammettere che è arrivato il momento di voltare pagina: “Se continuassi a insistere prenderei in giro i miei compagni: siamo qui per vincere il titolo”. Le polemiche ad Hong Kong e nella stessa Los Angeles, però, non sono finite

Proprio quando sembrava che la lunga coda di tutto quello che è successo tra la NBA e la Cina dopo il tweet di Daryl Morey si stesse esaurendo, le parole di ieri di LeBron James contro il General Manager degli Houston Rockets ha riacceso la discussione — provocando reazioni più o meno da parte di chiunque. Per questo James è dovuto tornare per la seconda volta (dopo averlo già fatto su Twitter) su quanto detto ieri per voltare definitivamente pagina: “Il mio obiettivo ora è essere il capitano di questa squadra e trovare il modo di vincere il titolo” ha detto il numero 23 dei Los Angeles Lakers. “Ieri ho parlato abbastanza di quello che è successo. Ho anche twittato delle risposte alle persone che non hanno capito il mio pensiero e la mia posizione. Ne parlo adesso per l’ultima volta, poi non succederà più — altrimenti prenderei in giro i miei compagni, continuando a insistere su una cosa che non ci è di aiuto. Siamo qui per vincere il titolo: non siamo politici, e questa è una enorme questione politica. Ma siamo dei leader e a volte possiamo metterci la faccia. Se però non pensi di dover parlare di certe cose, non dovresti farlo”.

Le proteste di Hong Kong: maglie di James bruciate dai protestanti

Le parole iniziali di James di ieri sono state lette da molti come di supporto al governo cinese, specialmente per l’uso di una parola (“miseducated”, disinformato) che era stata utilizzata proprio dalla Cina e dal proprietario dei Brooklyn Nets Joseph Tsai per commentare quanto twittato da Morey. Per questo, come riportato da ESPN, a Hong Kong ieri sono state bruciate delle sue magliette e sono stati scanditi cori contro James da parte di alcune centinaia di protestanti, scesi in strada in supporto invece di Morey. La stella dei Lakers ha detto di non aver visto le proteste e di non aver pensato a come le sue parole potessero essere prese dagli abitanti di Hong Kong: “So come quelle parole sembravano a me: quando parlo di qualcosa, le dico da un punto di vista logico secondo quella che è la mia sensibilità. Ieri mi sono espresso in base a come mi sono sentito e a cosa ho visto nella settimana in cui siamo stati in Cina. Siamo tutti in una situazione difficile come lega, come atleti, come GM e come proprietari. Non penso che ogni questione sia automaticamente un problema per chiunque: ci sono tante storie in questo stesso paese che non vengono discusse abbastanza. Se una cosa ti appassiona, allora parlane. Ma se non ne sei perfettamente al corrente o non la capisci a pieno, allora penso che non dovresti parlarne perché può metterti in una posizione difficile”. 

Le critiche a Los Angeles: “Pensa prima ai soldi e poi alla libertà di espressione”

James però si è attirato critiche anche in patria e nella stessa L.A.: il noto giornalista del Los Angeles Times Bill Plaschke ha pubblicato un articolo estremamente critico nei confronti di LeBron, definendolo sostanzialmente un mercenario che antepone i suoi interessi economici a quelli della libertà di espressione. Se c’è una cosa che certamente non si può imputare a LeBron — e viene sottolineata in toni elogiativi anche nell’articolo — è quella di essere rimasto in silenzio in questi anni quando questioni politiche o sociali lo hanno toccato direttamente, diventando di fatto la voce più ascoltata della NBA e dei suoi giocatori: “Personalmente ho sempre cercato di fare le cose rimanendo me stesso. Giocare ad alto livello lo sport che amo nella maniera giusta ha unito tante persone, ma anche essere un cittadino modello nella mia comunità, essere un figlio, un marito e un marito rispettoso e aver capito che ogni volta che esco di casa certe cose sono molto più grandi di me. Ovviamente non sono perfetto: nessuno di noi lo è. Ma cerco di fare le cose che rendono orgogliosa la mia famiglia. Questa per me è la cosa più importante. Ora bisogna tornare a giocare a pallacanestro, perché è il più grande sport al mondo. Ovviamente tutto quello che è successo è un contraccolpo sul nostro percorso, ma penso che il tempo guarisca tutto”.