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NBA, Nicolò Melli in esclusiva a Sky Sport: " Voglio un ruolo importante ai Pelicans”

NBA
Massimo Marianella

Massimo Marianella

L'SMS a Datome dopo il suo esordio NBA, Zion Williamson visto da vicino, i problemi di infortuni dei Pelicans, le prime partite senza mai mettere piede in campo e le ambizioni di una prima annata tutta da vivere: Nicolò Melli si racconta a Sky Sport

MIAMI — Ormai ci stiamo abituando — e questo deve andare a merito del nostro basket oltre che dei singoli — ma avere un giocatore italiano in più nella NBA resta un qualcosa di straordinario. Lo sport in generale ha abbattuto molte delle sue frontiere, è vero, ma ci vogliono talento e potenzialità credibili per convincere gli americani a fare una scelta che esca dai confini a stelle e strisce. Non soffrono di esterofilia (anzi…), non hanno bisogno di vendere maglie in più in altri mercati (lo fanno già) o di scegliere giocatori all’estero perché costano meno. Queste sono cose nostrane. Giusta o sbagliata che sia (Martin Müürsepp, Darko Milicic…) la chiamata NBA è sempre una scelta sportiva che deve inorgoglire come un’investitura. Lo è stata per Nicolò Melli che salendo un gradino alla volta, vincendo il campionato in tre paesi diversi e giocando da super protagonista una Final Four di Eurolega non poteva che arrivare dalla porta principale nel campionato più importante del pianeta. Un ragazzo aperto, simpatico e determinato, consapevole di una grande opportunità che si è meritato sul parquet, ma anche del volerla sfruttare a pieno. 

“Melli-NBA devo dire che suona benissimo. E’ un traguardo bello, importante, ma dal quale ripartire. L’ho raggiunto, adesso però me la voglio giocare. E’ allo stesso tempo un punto d’arrivo ma anche una ripartenza. Voglio cercare davvero di sfruttare al meglio l’occasione, perché so che è importante”. 

Approdo NBA che poteva concretizzarsi già un paio d‘anni fa, ad Atlanta, ma tu hai preferito fare un passo dopo l’altro in Europa passando dal Bamberg prima e poi dal Fenerbahce.

“Vero, due anni fa ebbi contatti con Atlanta, e poi ancora lo scorso anno con Brooklyn — anche se con i Nets non siamo mai realmente entrati in trattativa perché dopo aver perso l’Eurolega avevo talmente l’amaro in bocca che ci volevo assolutamente riprovare. Poi è arrivata questa possibilità qui ai Pelicans e mi è sembrato il momento giusto per cogliere questa occasione: ora spero che i fatti mi diano ragione”.

Dopo il training camp, la preseason e quasi un mese della stagione regolare, qual è il primo bilancio? 

“Personalmente io sono molto positivo, ovvio che magari nell’ultimo periodo avrei voluto giocare qualche minuto di più e avere qualche opportunità in più, però mi rendo conto che sono appena arrivato, e che sono l’unico europeo a roster. Con tutti gli infortunati che abbiamo non è facile trovare un equilibrio: il nostro assetto è ancora tutto da ricercare. Ora però spero arrivi qualche occasione importante per riuscirmi a ritagliare un ruolo all’interno delle rotazioni”. 

Unico europeo del roster: conta? 

“Io sono tanti anni che sono fuori dall’Italia e ho sempre avuto a che fare con compagni e gruppi di diverse nazionalità. Sono stato l’unico italiano a Bamberg, con Gigi [Datome] eravamo gli unici al Fener, quindi per me non c’è davvero nessun problema. Fa parte del gioco, ed è bello che sia così”. 

Curiosità: come si passa dal segnare 30 punti in una finale di Eurolega ai DNP-CD [Did Not Play-Coach Decision] della NBA? 

“Ovvio che non fa piacere non alzarsi neanche dalla panchina — e mi è capitato già un paio di volte — però sapevo che era uno scotto che avrei potuto pagare. Lo prendo come uno stimolo per lavorare di più in palestra e, non vuole essere una banalità, farmi trovare pronto quando sarò chiamato in campo con regolarità. In realtà poi i punti in finale erano 29 non 30, me lo ripete sempre Gigi [Datome] e aggiunge che se ne avessi segnati 40 avremmo vinto”. 

A Datome però puoi replicare — a proposito di punti — di essere l’italiano che ne ha segnati di più al debutto NBA.

“Gli ho mandato subito un messaggio dagli spogliatoi quella sera stessa. Gli ho scritto immediatamente!”. 

Primo anno a New Orleans: qual è l’obiettivo stagionale di Nicolò Melli, al suo esordio NBA? 

“Quello di prendere il massimo da questa esperienza. Può voler dire tutto e niente, ma essendo un mondo talmente diverso, essendo davvero all’inizio, qui è tutto un lavoro in corso. Non so esattamente cosa posso prendere dal campo, ma voglio vivere al meglio questa esperienza e levarmi il massimo delle soddisfazioni possibili all’interno del campo”. 

Gli infortuni, come detto, fin qui non hanno aiutato, soprattutto quello a Zion Williamson. 

“ In questo momento ci manca tanto lui, ma ci mancano tanto anche gli altri. Troppi infortunati, davvero, anche per una questione di chimica, di rotazioni, di possibilità di conoscersi. Siamo una squadra totalmente diversa rispetto al training camp dove, per quello che può contare, avevamo concluso la preseason vincendo 5 partite su 5. Il che non vuol dire che poi le avremmo vinte tutte in campionato, ovvio, ma adesso viviamo una realtà diversa e le assenze pesano tutte. In generale poi è chiaro che Zion è una forza della natura: basta guardare due clip sue per capirlo, ma vi assicuro che dal vivo è ancora più impressionante. Pesa 130 chili comodi però ha un’esplosività, un’agilità, un controllo del corpo veramente incredibili”. 

Un’occhiata a New Orleans tra un viaggio e l’altra sei riuscito a darla?

“Sì, certo che ho avuto modo. Lì ci troviamo molto bene, anche se in quei pochi giorni che non sono in giro me ne sto spesso sdraiato sul divano di casa. E poi vengono parecchie persone a trovarmi dall’Italia: quando abbiamo due o addirittura tre giorni di fila a casa ho spesso ospiti, quindi in giro non ci vado tantissimo, ma per adesso a New Orleans mi trovo davvero bene. La NBA poi è davvero il mondo dei balocchi: come giocatori viviamo in una meravigliosa realtà a parte — una realtà di vita talmente facile che è impossibile non apprezzarla a pieno”.

Parlando di realtà di vita mi dici una cosa che ti è piaciuta molto e una che ti è piaciuta meno degli Stati Uniti?

“Io l’America in realtà la conoscevo già benino, avendo mia mamma americana, quindi non tutto è stata una scoperta”. 

Allora — con la mamma americana — non puoi dire che non sanno guidare…

“No, no, quello lo dico sempre anch’io a mia madre, ma ormai lei da quel punto di vista è diventata italiana. Io poi — venendo da Istanbul — ho avuto una deformazione importante: al volante ormai sono un mezzo criminale. Quello che mi ha colpito davvero però è la diseguaglianza sociale che c’è qui. C’è anche in Europa, ce l’abbiamo anche in Italia, è vero, ma qui è veramente incredibile ed è la cosa che mi ha colpito di più, da subito. Questo, insieme a un’altra cosa un pochino più frivola: l’aria condizionata qui è da abolire! Quello che mi piace invece è il fatto che gli americani sono sempre positivi, entusiasti. Cercano sempre il lato positivo delle cose e questa convinzione è la loro grande forza mentale”. 

Non possiamo chiudere senza due parole sul futuro in nazionale. 

“Io per la maglia azzurra, se sto bene, ci sono sempre. Purtroppo le mie gambe son due, le mie braccia anche e a volte i problemi fisici ci sono, e devo prendermene cura. Quest’estate ad esempio mi sono dovuto operare, altrimenti chiaramente al Mondiale sarei andato. Adesso speriamo la stagione vada bene e senza problemi, per essere a disposizioni per il preolimpico”.