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NBA, in Cina si torna in campo, e vogliono i giocatori USA. Non tutti sono convinti

NBA

Lance Stephenson e Ty Lawson, Jeremy Lin e Tyler Hansbrough: sono circa 40 i giocatori USA (molti ex NBA) sotto contratto con squadre del campionato cinese. Che è stato il primo a fermarsi ma (sembra) sarà il primo anche a riprendere. Dalla Cina vogliono i giocatori USA in campo, non tutti sono convinti di voler tornare

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Jeremy, Lance, Tyler, Ty, fate le valigie e chiudete le borse. È arrivato il momento di tornare in campo. In Cina, però.
Il picco legato all’epidemia del coronavirus – secondo quanto dichiarato dal portavoce della Commissione sanitaria nazionale, Mi Feng – è stato superato. Il numero di nuovi casi è in continua diminuzione e il paese più popoloso del mondo ha cominciato a intravedere il ritorno alla normalità. Una normalità che passa anche dalla ripresa dell’attività sportiva. Se nel Vecchio Continente e nel Nuovo Mondo si stanno fermando uno dopo l’altro campionati, tornei e manifestazioni, il Regno di Mezzo è invece pronto a riaprire stadi e arene.
Come è noto la pallacanestro in Cina è lo sport più popolare e la CBA (Chinese Basketball Association) è divenuta, soprattutto negli ultimi anni, un approdo sicuro per tutti quei giocatori americani che per un motivo o per un altro non rientravano più nei piani delle franchigie della NBA. Tifosi entusiasti, impianti all’avanguardia, ottimi contratti, lo status di semidei garantito ai campioni più amati (un nome su tutti: Stephon Marbury). Difficile resistere.
Anche nell’ultima stagione erano circa 40 i giocatori americani sotto contratto. Tra questi Jeremy Lin, Lance Stephenson, Tyler Hansbrough e Ty Lawson. Tutti erano stati rimandati a casa alla fine di gennaio [qualcuno non senza difficoltà, come Chasson Randle], quando in Cina era esplosa l’emergenza legata al Covid-19. “Tenetevi pronti a tornare verso la fine di febbraio”, era stato detto loro. Ora, con qualche settimana sulla tabella di marcia, quel momento è arrivato.

Quarantena e poi in campo. Forse

La CBA potrebbe riaprire i battenti all’inizio del mese prossimo e sono allo studio diverse misure per portare a termine la stagione. Una di queste prevede la cancellazione di un certo numero di gare della regular season e lo svolgimento dei playoff in una, forse due città al massimo. In un documento redatto dalla Chinese Basketball Association e pubblicato da ESPN si richiede esplicitamente alle 20 squadre della CBA di farsi trovare pronte per scendere in campo a partire dal 2 aprile.
La palla ora passa ai giocatori americani, già informati del fatto che — al rientro in Cina — sarà chiesto loro di trascorrere un periodo di due settimane in quarantena. In questo momento predominano incertezza e preoccupazione. Anche economica. Secondo quanto dichiarato in forma ufficiosa da alcuni agenti, in caso di rifiuto a tornare in Cina i giocatori potrebbero essere banditi a vita dal campionato. Peraltro, da quando è stato deciso lo stop alle partite gli stessi giocatori hanno anche smesso di ricevere lo stipendio. Molti temono di essere fermati in aeroporto al momento del ritorno in patria e tutti vorrebbero evitare una seconda quarantena, questa volta su suolo americano. A dare un po’ di coraggio a Jeremy, Lance, Ty e a tutti gli altri è una clausola sempre presente in qualsiasi contratto professionistico: un giocatore non può essere messo in una condizione che possa causargli danno o pericolo.
È possibile che la FIBA (la Federazione Internazionale) venga chiamata in causa per fare da paciere e dirimere la questione, proprio come fatto con Randle. Nell’attesa, borse e valigie restano lì, sulla porta di casa. Non si sa mai.