In una lunga intervista ad Associated Press, il futuro Hall of Famer stupisce tutti confidando un suo sogno nel cassetto: quello di ridare una franchigia NBA ai tifosi di Seattle. "È essenziale, è un qualcosa di cui c'è assoluto bisogno"
Di messaggi di speranza a Seattle ne hanno sentiti tanti — tutti più o meno dello stesso tenore: “Abbiate pazienza, ma prima o poi la NBA tornerà in città”. A lanciare l’appello in passato quasi ogni giocatore o personaggio associato ai Sonics dei gloriosi anni ’90 (Gary Payton, Shawn Kemp, Detlef Schrempf, anche coach George Karl) o anche più tardi (Kevin Durant, che a Seattle ha disputato la sua annata da rookie NBA). Ma che una dichiarazione d’amore (e di intenti) così netta e chiara verso la cosiddetta “città dello smeraldo” e la sua squadra — quei Supersonics trasportati dalla nuova proprietà nell’Oklahoma e ribattezzati Thunder — arrivasse da un personaggio fuori dal giro come Kevin Garnett non era mai successo. “Se devo proprio dire un sogno che ho, è quello di riuscire a comprare i Seattle Supersonics e riportare la NBA nel nord-ovest del Paese. È qualcosa di cui c’è assoluto bisogno, è essenziale, a mio avviso: Seattle ha avuto un’importanza enorme per la nostra lega — non solo Portland, ma tutto il nord-ovest del Paese ce l’ha. Mi piacerebbe tantissimo riportare Seattle nella NBA”. L’ex superstar che ha legato la sua carriera soprattutto a due maglie — quella dei Minnesota Timberwolves e dei Boston Celtics, con cui ha vinto il titolo nel 2008 — sa bene ciò di cui parla: a Seattle ci ha giocato, da avversario, la bellezza di 27 volte in carriera, uscendo vincente dalla Key Arena soltanto in 8 occasioni: ha perso le sue prime tre gare giocate in città e in due occasioni — dal 2001 al 2003 e poi dal 2005 al 2007 — ha collezionato strisce di cinque ko in fila sul parquet dei Sonics, che nel 1998 hanno anche condannato all’eliminazione i Timberwolves di Garnett in una gara-5 decisiva (sul 2-2) al primo turno dei playoff, vinta 97-84 proprio alla Key Arena.