NBA, focus su Lou Williams, la chiave di volta degli L.A. Clippers
FOCUS NBANessuno all’interno del roster dei Clippers ha le doti offensive e la creatività di Lou Williams, ma le sue mancanze difensive saranno obiettivo primario di tutte le squadre avversarie. Renderlo sostenibile e produttivo anche al fianco di Kawhi Leonard e Paul George sarà il compito principale degli L.A. Clippers se vorranno arrivare al titolo NBA
A prima vista, il ruolo di Lou Williams all’interno degli L.A. Clippers può sembrare lo stesso. D’altronde sesto uomo era e sesto uomo è rimasto, ma le due versioni dei Clippers sono completamente diverse. Nella scorsa stagione, culminata con il terzo premio di Sesto Uomo della sua carriera, insieme a Danilo Gallinari era di fatto la prima opzione offensiva della squadra e i destini dei suoi, almeno in attacco, passavano dalle sue mani. Ora non è più così: con l’arrivo di Kawhi Leonard e Paul George il suo posto nella gerarchia della squadra è inevitabilmente cambiato, pur mantenendo un ruolo rilevante con la sua capacità di realizzare tanti punti in poco tempo e di giocare un pick and roll ormai mandato a memoria con Montrezl Harrell, rendendo la second unit dei Clippers una delle più pericolose di tutta la NBA. Questo non significa però che sia tutto semplice: le aspettative sui Clippers sono cresciute probabilmente come mai successo prima nella storia della franchigia e Williams deve dimostrare di poter essere un pezzo importante di una squadra che punta senza mezzi termini al titolo NBA. Non proprio un ruolo a cui è abituato, visto che nei suoi 15 anni di NBA non ha mai superato il secondo turno dei playoff e solo in un’occasione (lo scorso anno contro Golden State) ha migliorato il proprio rendimento in post-season rispetto alla regular season. Insomma, la domanda è lecita: Lou Williams — al netto delle sue doti realizzative e creative che non hanno eguali all’interno del roster dei Clippers — a 33 anni compiuti è pronto per essere un giocatore vincente?
I problemi in difesa e il dilemma sulla sua sostenibilità
Prima che la stagione venisse sospesa, la partita più importante disputata in NBA è stato probabilmente il terzo derby di Los Angeles tra Clippers e Lakers, l’unico che i gialloviola sono riusciti a vincere dopo le sconfitte nei primi due nel season opener e a Natale. Una partita che ha reso evidente come il piano di LeBron James e soci in una eventuale serie di playoff contro i “cugini” sia quello di puntare continuamente, incessantemente e ossessivamente Lou Williams in difesa, tanto da costringere coach Doc Rivers a toglierlo dal campo a intermittenza per non compromettere la tenuta difensiva dei suoi, sostituendolo con Patrick Beverley. Un dilemma che prima o poi si ripresenterà per i Clippers: in una NBA che va a caccia di accoppiamenti favorevoli in maniera feroce, avere un difensore sotto la media del ruolo come Williams è un lusso che bisogna riuscire in qualche modo a permettersi, e soprattutto bisogna rendere “sostenibile” con un contributo non rimpiazzabile nella metà campo offensiva. Ma in un quintetto che ha già due creatori di gioco come Leonard e George, quanto serve davvero Williams? Il suo contributo in attacco riesce a compensare quello che toglie in difesa? Per alcuni versi, sì: Williams anche senza il pallone tra le mani è un tiratore da 42.5% da tre punti in catch and shoot, costringendo le difese a non togliergli mai gli occhi di dosso e lasciando così maggiore spazio per operare a Leonard e George. Williams è però anche un realizzatore puro, uno che è al suo meglio quando può pensare solo a segnare e non ha compiti di distribuzione del pallone e coinvolgimento dei compagni, lo stesso difetto che condivide con le due stelle della squadra e che rende i Clippers un po’ prevedibili e "stagnanti" nei finali di gara — forse l’unico vero difetto di una squadra altrimenti attrezzatissima per arrivare fino in fondo.
La chimica con Reggie Jackson e l’unicità di “Sweet Lou”
Nonostante questi problemi, i Clippers sembravano abbastanza chiaramente la candidata numero 1 a vincere il titolo NBA, anche perché l’ingresso in rotazione di Reggie Jackson ha sorprendentemente aiutato il rendimento di Lou Williams. Nel corso della stagione molto spesso Williams si è ritrovato a “trascinare” offensivamente i suoi, sia perché utilizzato come creatore di gioco unico della second unit, sia per le assenze per infortunio di Leonard e George. Un ruolo di playmaker che non necessariamente gli si addice, specialmente perché lo obbliga a fare i conti con i continui raddoppi e trappole delle difese avversarie — situazioni che lo mettono in difficoltà, anche perché stiamo pur sempre parlando di un giocatore di 1.80. Con Jackson a portare il pallone, invece, Williams può agire lontano dalla palla e pensare solo a fare ciò che gli riesce meglio, cioè segnare: “Mi toglie il pallone dalle mani e non devo più dominarlo come prima, togliendomi pressione e rimettendomi nel mio ruolo naturale di 2” ha detto lui stesso su cosa cambia con un playmaker al suo fianco. Un’efficacia testimoniata anche dall’eccellente +22.9 di Net Rating quando i due sono insieme in campo, il miglior dato della squadra tra i giocatori con almeno 100 minuti assieme. “Prendere Reggie ci ha permesso di mettere Lou sul lato debole dell’azione, il che lo rende pressoché immarcabile” ha sottolineato invece coach Rivers. “Quando Lou è sul lato forte, la difesa può raddoppiarlo e togliergli ritmo. Ma quando riceve sul lato debole con una difesa già mossa? Auguri a tutti, perché non si può fermare”. Il passo successivo per i Clippers è proprio quello di amalgamare questa qualità di Williams anche con Leonard e George in campo, punendo le scelte delle difese che scelgono di raddoppiare sulle due stelle. Un ruolo che nessun altro può ricoprire nel roster dei Clippers con la sua qualità e creatività, e che lo rende un giocatore determinante per le sorti della candidata numero 1 al titolo NBA.