26/30: il futuro di Denver in tre lettere: si scrive MPJ, si legge Michael Porter Jr.
FOCUS NBASolo tre partite nella sua unica stagione di college, poi un anno intero ai box nella NBA: quest'anno - schiena, ginocchia e caviglie permettendo - i Denver Nuggets si son fatti una prima idea di cosa possono ottenere dal prodotto di Missouri, ex n°1 dei licei di tutta America. E le prospettive sono intriganti
“Un’incredibile combinazione di stazza, altezza, doti atletiche e talento che lo rende unico nella sua classe”. Gli scouting report liceali, si sa, sono una scienza inesatta — altrimenti Lenny Cooke sarebbe più forte di LeBron James, Sebastian Telfair il miglior playmaker mai uscito da New York City e Korleone Young famoso non solo per uno strepitoso nome di battesimo. Detto questo, Michael Porter Jr. — il giocatore così descritto dalle parole d’apertura — a 19 anni neppure compiuti segnava 19 punti al Nike Hoop Summit di Portland dopo essersi messo in tasca anche il premio di MVP del McDonald’s All-American Game, cementando così la sua posizione al primo posto tra i liceali di tutta America già convalidata dal premio di Naismith Player of the Year (vinto da Chris Webber, Jason Kidd, Kobe Bryant, LeBron James e molti altri prima di lui). Il suo nome era famoso già da tempo: ultimo anno di liceo a Seattle (oltre i 36 e 13 rimbalzi di media allenato da Brandon Roy, dopo aver già vinto un titolo statale in Missouri), aveva scelto l’università di Washington per giocare sotto Lorenzo Romar, che i giocatori del Pacific northwest li controlla tutti. A Washington poi — guarda caso — in panchina da assistente c’era anche Porter Sr., ma quando il licenziamento di Romar sconvolge tutto, il padre è svelto a riciclarsi sulla panchina di casa, proprio a Missouri al fianco del capo allenatore Cuonzo Martin. Così, quando Michael Porter Jr. viene incoronato da ESPN “preseason national freshman of the year” — ovvero il debuttante più atteso nel mondo del college basket — l’esordio lo fa con la maglia dei Tigers di Missouri. Un esordio disastroso, perché dopo due minuti la sua schiena fa crack e il miglior freshman d’America va ai box per lunghi mesi. Rientra in campo solo dopo un’operazione alle vertebre L3 e L4, in tempo per disputare soltanto due altre partite, il quarto di finale del torneo di conference e il primo turno del torneo NCAA, che i Tigers perdono contro Florida State. Fine dell’annata e fine della carriera collegiale di Michael Porter Jr., che si dichiara per il Draft 2018.
Un anno di attesa
Fosse stato lontano dagli infortuni, sarebbe andato davanti a Deandre Ayton, Luka Doncic e Trae Young, giurano in molti — gli stessi che sono pronti a giurare che se a un liceale fosse stato ancora concesso di fare il salto diretto nella NBA Michael Porter Jr. (o MPJ) sarebbe stata la prima scelta assoluta già al Draft 2017. Ma quella schiena così malconcia in un giocatore così giovane preoccupa tanti: gli scout NBA la chiamano “bandiera rossa”, red flag, e accompagna MPJ fino al giorno del Daft, quando non va alla n°1, né alla 2 e neppure alla 3. Le sue quotazioni precipitano man mano che ogni squadra vede quella precedente non fidarsi a sceglierlo, e così resta una lottery pick solo per miracolo — scelto alla n°14 da parte dei Denver Nuggets. Che mettono subito le cose in chiaro: ci potrebbe volere anche un anno prima di vederlo in campo nella NBA, perché il rookie finisce ancora sotto i ferri, un mese dopo il Draft. E un anno ci è voluto, perché in Colorado hanno una squadra già competitiva — 54 vittorie e un’eliminazione in gara-7 a un passo dalla finale di conference — e così decidono di aver pazienza con il ragazzo del Missouri. Ma la stagione 2019-20 è quella del suo esordio nella lega.
Il primo anno di NBA, tra alti e bassi
La preseason dà segnali incoraggianti — più di 9 punti e 4 rimbalzi di media con il 56% al tiro in 16 minuti — ma nelle prime quattro gare stagionali coach Michael Malone non lo mette mai in campo. Poi arriva la quinta, contro New Orleans: sono passati 594 giorni da quel primo turno di torneo NCAA ma una cosa non è cambiata, Porter Jr. sa ancora giocare a pallacanestro. Chiude come miglior marcatore dei suoi, 15 punti con 5/8 al tiro in 21 minuti. Il potenziale è lì, tutto da vedere. Solo che nel frattempo l’estate ha portato in Colorado — nel suo ruolo — Jerami Grant (arrivato ai Nuggets in una trade con Oklahoma City) e a Los Angeles Anthony Davis (a far coppia con LeBron ai Lakers), Kawhi Leonard e Paul George (ai Clippers). Morale: i Nuggets non hanno troppi minuti per sperimentare e così a dicembre lo utilizzano ancora pochissimo, mai oltre i 20 minuti di campo fino alla gara del 29 contro Sacramento. C’è fuori Paul Millsap e coach Malone regala il primo quintetto base NBA a Michael Porter Jr.: i suoi 19 punti con 8/10 al tiro in 26 minuti sono il secondo miglior esordio di sempre per un giocatore dei Nuggets. Nella prima gara del 2020 fa ancora meglio: Denver è sul parquet di Indiana e in 23 minuti di gioco colleziona 25 punti, sbagliando un solo tiro (11/12) in tutta la partita. Da metà mese Porter Jr. entra con consistenza in rotazione, primo cambio in ala dietro Grant, che nel frattempo si è preso un posto in quintetto. A Minnesota, il 20 gennaio, resta in campo 30 minuti, suo massimo da quando è nella lega: produce 20 punti, fa segnare il suo career-high a rimbalzo con 14 e distribuisce anche 4 assist, cifre che da un rookie a Denver non vedevano dai tempi di Dikembe Mutombo. Gennaio è il suo mese migliore — oltre 12 punti e quasi 7 rimbalzi di media, con più del 52% dal campo e il 48% da tre punti su oltre 3 tentativi a sera — ma la dea bendata sembra avercela col ragazzo del Missouri, che si gira una caviglia e deve star fuori 10 giorni all’inizio di febbraio. Rientra dopo la pausa per l’All-Star Game ma il ritmo preso a gennaio se n’è andato e così anche i minuti, che tra febbraio e marzo oscillano tra i 5 e i 20. Poi, l’11 marzo, lo stop per il momento definitivo.
Pro e contro, un primo giudizio e le scelte estive
Quello che aveva fatto di Michael Porter Jr. il liceale più forte di tutti gli Stati Uniti è ancora lì da vedere: sono 208 centimetri a cui è abbinato un tiro da fuori eccezionale — sopra il 42% da tre punti, è settimo tra tutte le ali della lega per efficienza offensiva in spot up (minimo 50 possessi, produce più di 1.2 punti a possesso) — ma nonostante gli infortuni a schiena e ginocchia ha mantenuto anche impressionanti doti atletiche, che in campo aperto ne fanno una seria minaccia e che lo rendono ancora spesso protagonista sopra il ferro. Altrettanti evidenti però sono quelle are del suo gioco che sollevano legittimi dubbi: in difesa è solo mediocre (troppo spesso accusa cali di concentrazione), le scelte offensive non sono sempre le più lucide e al momento tutta la sua carriera NBA ammonta a 670 minuti — e i dubbi su come potrebbe rispondere il suo corpo a una stagione da 2.000 e passa minuti rimangono. Che si riprenda o meno a giocare, che si concluda o meno la stagione, è evidente che la giuria sull’ex Tiger è ancora fuori, in attesa di formulare verdetto definitivo. L'estate potrebbe aiutare a capire i piani di Denver, con Paul Millsap unrestricted free agent e Jerami Grant con una player option da 9 milioni di dollari che potrebbe considerare insufficiente. L’impressione è che i Nuggets potrebbero anche lasciar andare il veterano n°4 e invece pareggiare ogni offerta (se non folle) per Grant, convinti però di avere in Porter Jr. un 3/4 con potenziale da titolare ma che possono ancora permettersi il lusso di far uscire dalla panchina alle spalle rispettivamente di Barton e Grant. Perché l’odissea sportiva di MPJ sembra già lunghissima, ma il ragazzo ha solo 21 anni: investire su un suo futuro da vero campione potrebbe essere la mossa più importante della dirigenza dei Nuggets.