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NBA, Avery Bradley: "Basta parole, servono fatti. Da parte di tutti, proprietari compresi"

NBA
©Getty

La guardia dei Lakers conferma il suo ruolo di spicco nella coalizione di giocatori che chiedono cambiamenti e impegno da parte di tutti, "non solo di noi giocatori: non si può restare in silenzio nelle retrovie", dice ai proprietari NBA. Tra le richieste: più ruoli di potere nella lega, maggior donazioni, partnership con aziende di proprietà afroamericana

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Una delle posizioni più interessanti emerse dalla coalizione di giocatori molto attenti al significato di un ritorno in campo durante un periodo segnato dalla pandemia e da forti tensioni sociali è quella sostenuta da Avery Bradley, con Kyrie Irving tra i giocatori maggiormente sotto i riflettori. La guardia dei Lakers — che aveva ispirato il messaggio unico “Se non siete con noi, allora anche noi non stiamo dalla vostra parte” apparso sui profili social di tutti i gialloviola — ha dichiarato che tra le priorità per i giocatori prima del ritorno in campo a Orlando c’è quella “di chiedere alla lega quali azioni concrete intende mettere in campo per aiutare le comunità di colore in tutta America”. In particolare, la coalizione vorrebbe “nuovi, e migliori, processi di assunzione di allenatori e dirigenti di colore, tali da riflettere in maniera più accurata la composizione a fortissima maggioranza afroamericana tra i giocatori NBA; una serie di donazioni verso organizzazioni che lavorano nelle comunità; una partnership con aziende di proprietà afroamericana nei settore di business (ristorazione, merchandising e non solo) legati alle varie arene NBA”. “Non abbiamo bisogno di dire altre parole, dobbiamo ottenere risultati. Protestare all’inno va bene, indossare maglie di denuncia anche — dichiara Bradley — ma ora è il momento di vedere i fatti, azioni concrete. E questi sforzi — aggiunge la guardia dei Lakers — avrebbero un impatto maggiore con l'aiuto dei nostri proprietari”. Perché, si chiede Bradley, “tutti gli sforzi pensati per aiutare la comunità afroamericana devono ricadere solo su noi giocatori? Siamo davvero così concentrati soltanto su noi stessi da pensare che nessun altro sia consapevole del razzismo che ancora permea questa società, e che i temi razziali si possano risolvere solo con la nostra protesta? Non voglio che il peso di risolvere tali problemi sia messo solo sulle nostre spalle: se la questione interessa a tutti, non si può restare in silenzio nelle retrovie”. Per questo Bradley ha apprezzato le generose donazioni fatte da Michael Jordan e Mark Cuban, due dei proprietari più vocali sull'attuale situazione, ma vuole estendere la chiamata a un maggiore impegno “a tutti quelli che hanno più potere finanziario di noi ma non stanno facendo un granché per aiutare le comunità”.

Più equilibrio nella lega

A Bradley e agli altri giocatori della coalizione non sfugge come in tutta la lega ci sia un solo proprietario di colore (e risponde al nome di Michael Jordan), otto general manager su trenta (ma solo quattro con potere decisionale), sette allenatori e un solo presidente con piena autorità (Masai Ujiri, a Toronto). “Credo che la lega abbia una responsabilità quando si tratta di assicurare alla componente afroamericana maggior potere, perché è sotto gli occhi di tutti che senza noi atleti di colore la NBA non sarebbe il brand globale che è diventato oggi”. Una presa di coscienza decisa che è però anche una mano tesa verso la controparte — lega e proprietari — al fine di lavorare assieme e ottenere i maggiori progressi sociali e razziali possibili dalla situazione che si è venuta a creare: “Se ci sono iniziative del genere da parte della lega non ci sono ancora state comunicate con chiarezza”, ha detto Bradley, convinto però che il dialogo e la collaborazione possano presto portare a importanti risultati.