È un'idea che sembra ormai aver trovato attuazione, con NBA, NBPA e Nike (sponsor tecnico e produttrice delle divise) a lavorare assieme per permettere ai giocatori di scendere in campo a Orlando personalizzando la propria canotta e sostituendo il nome sulla propria schiena con un messaggio di unità e giustizia sociale. I precedenti della Premier League e della NBA stessa in passato
Per adesso manca l’ufficialità, ma sembra che la NBA e l’associazione giocatori vadano verso la decisione di permettere ai giocatori — al ritorno in campo nella bolla di Orlando — di sostituire il proprio cognome sul retro delle proprie divise con un messaggio di giustizia sociale. E da qualche parte Metta World Peace probabilmente sta sorridendo. L’eccentrico giocatore campione NBA con i Lakers scelse addirittura di cambiare legalmente il proprio nome — da Ron Artest a Metta World Peace, dove metta è un termine buddista per descrivere “bontà compassionevole” — per avere la possibilità attraverso il proprio nome di lanciare un messaggio di pace. Oggi NBA, NBPA e Nike — lo sponsor tecnico che produce le divise per la lega — sembrano orientate a fare proprio questo, anche raccogliendo forse la proposta avanzata dalla giocatrice WNBA delle Las Vegas Aces, Angel McCoughtry, che aveva chiesto di poter rimpiazzare il proprio nome con quello delle vittime della brutalità della polizia e dell’odio razziale in America. Da questa parte dell’oceano, la Premier League ha permesso ai propri giocatori — alla prima partita dopo lo stop — di sostituire il proprio nome con la scritta “Black Lives Matter”, ma anche in NBA stessa non sono mancati in passato diversi utilizzi di maglie e sopramaglie a scopi sociali. Nel 2014 i giocatori scesero in campo vestendo una t-shirt con la scritta “I can’t breathe” nel riscaldamento prepartita per ricordare l’uccisione di Eric Garner mentre prima ancora i Clippers scelsero di indossare la loro sopramaglia al contrario per protestare contro l’allora proprietario Donald Sterling e i suoi commenti razzisti (che portarono alla sua radiazione dalla NBA). In tono più leggero, la stessa NBA aveva organizzate alcune "nicknames night" nelle quali i giocatori al posto del nome esibivano il proprio soprannome - da "King James" per LeBron a "Jesus Shuttlesworth" per Ray Allen - per la gioia dei loro tifosi.