NBA: i risultati dei tamponi in Florida sono un problema per molti, non per la lega
coronavirusLa capacità di analisi dei test da parte degli Stati Uniti è cresciuta notevolmente (così come il numero dei positivi), ma il lavoro fatto per velocizzare l’ottenimento dei risultati è ancora complesso. Le persone, soprattutto in Florida, aspettano una decina di giorni prima conoscere l'esito dell'esame, mentre nella bolla di Disney World bastano poche ore
“La risposta messa in piedi dagli stati federali degli USA per contenere il contagio da Covid-19 è simile al contributo che spesso viene profuso dalle difese NBA contro LeBron James: inutile”. Questo uno dei primi passaggi di un approfondimento pubblicato dal Wall Street Journal che si chiede quanto sia opportuno da parte dello sport professionistico ritornare in campo proprio nel momento di massima impennata del contagio. La NBA ha sospeso prima che divenisse obbligatorio, ha atteso per poi ritrovarsi nuovamente in una situazione complicata per ragioni economiche da un lato e sanitarie dall’altro, con la Florida che continua a essere lo stato che fa registrare il maggior numero di contagi su base giornaliera ormai da settimane. Testimonianze di comuni cittadini, entrati più o meno a contatto con altri positivi e a rischio contagio, raccontano di come una volta fatto il tampone siano costretti ad aspettare almeno dieci giorni prima di ottenere l’esito e il risultato definitivo del test. Il tutto mentre a poche decine di chilometri da loro, al Disney World Resort di Orlando, i giocatori NBA tenuti all’interno della bolla ricevono i risultati in meno di 24 ore. La differenza di tempi e di accesso ai test sta facendo discutere e ponendo degli interrogativi. Il business deve andare avanti, ma a discapito dei servizi sanitari essenziali forniti alla comunità? La domanda è la stessa che ha portato la NBA a un’attesa superiore ai quattro mesi prima della ripartenza. La questione però resta: tornare in campo non danneggia e sottrae risorse alla collettività?
Il contagio non si ferma, come deve comportarsi lo sport?
I dati del contagio negli Stati Uniti non aiutano di certo - superata quota 70.000 al giorno, con il numero dei decessi che è tornato a crescere - mentre le indicazioni del presidente Donald Trump continuano a minimizzare la pericolosità della pandemia e chiedono a gran voce la ripartenza economica. Diverse decine di stati federali invece hanno fatto marcia indietro, chiudendo di nuovo bar, ristoranti e negozi in attesa che si arrivi a una soluzione. La prima ondata di Covid-19 negli Stati Uniti in fondo non è mai passata. Le testimonianze raccolte dal Wall Street Journal non nascondono il controsenso, ma lo sviscerano a caccia di una conclusione che rimetta a posto e dia un senso compiuto alle scelte fatte: “È essenziale che lo sport professionistico riparta, ma dobbiamo porci il problema della scarsità delle risorse e dei rischi sanitari a cui andiamo incontro. Stiamo continuando a chiudere gli occhi di fronte a un’emergenza”, ripetono gli esperti delle università della Florida. Per mesi è mancata la capacità di dare risposte rapide alle persone, ma adesso che il numero e la disponibilità di test è stata incrementata, lo hanno fatto in maniera esponenziale anche il numero dei contagi. Il teorema Trump del “Facciamo più tamponi, per questo troviamo più positivi”, non ha fondamento statistico. Il numero di persone positive negli USA ha ormai raggiunto valori preoccupanti: rendersene conto e agire in maniera drastica è l’unica soluzione, a prescindere dalle decisioni prese dalla NBA.
Il funzionamento dei test negli USA: un sistema disomogeneo, e privato
Nella realtà dei fatti però gli sportivi e la NBA in particolare non sta “superando la fila”, lasciando indietro gli altri che sono costretti ad aspettare prima di ottenere risultati. Il sistema di controllo e di gestione dei tamponi negli USA non è unificato, non esistono delle linee guida. Il laboratorio (ovviamente privato) a cui la NBA si è rivolta spiega che in realtà non stanno venendo meno a nessun obbligo o indicazione: “Nessuno ci ha detto come procedere. Noi parliamo con tutti quelli che si rivolgono alle nostre strutture e cerchiamo di mettere in piedi la soluzione migliore e più pratica per i clienti”. L’azienda BioReference continua a fare in maniera autonoma le proprie scelte, come dimostrato da quanto accaduto qualche settimana fa proprio con la NBA: i test di alcune decine di giocatori sono rimasti in stand-by per un paio di settimane perché i laboratori hanno dato precedenza ai tamponi fatti sul personale ospedaliero di New York. Come decidere quali analizzare prima? La società sottolinea che il lavoro fatto per la NBA è “minimo rispetto alle capacità di analisi dell’azienda”, ma nel frattempo in Florida i ritardi continuano ad aumentare di pari passo con l’impennata dei casi. “Su una capacità di 750.000 campioni giornalieri, la NBA ne richiede circa 2.000”. Il sistema però non sembra perfettamente oleato, visto che è difficile giustificare dei ritardi che non colpiscono mai determinate strutture, ma soltanto i cittadini comuni. Ricominciare a giocare insomma sarà anche una questione di opportunità e la NBA continuerà di certo a monitorare con attenzione quanto sta succedendo fuori dai cancelli di Disney World: sottovalutare il contagio sarebbe un gravissimo errore.